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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

ZANARDI

Alessandro (Alex) Boloa 23 ottobre 1966. Pilota. Il 15 settembre 2001 al Lausitzring
(Germania, gara valida per la formula Cart) è rimasto coinvolto in un incidente che gli è costato l’amputazione delle gambe • Dal 91 al 94 ha gareggiato in Formula 1 (Jordan, Minardi e Lotus), poi si è trasferito in America, dove ha vinto nel 97 e nel 98 il campionato Cart. Nel 99
di nuovo in F1 (Williams) • «Ogni pilota, quando siede nell’abitacolo, è consapevole dei rischi che affronta. Ma credo che questo aspetto, peraltro
ingigantito ad arte da organizzatori e media, non sia l’elettrizzante ragione che ti spinge a schiacciare l’acceleratore a tavoletta. Spesso, nel corso della carriera, mi sono trovato di
fronte a interlocutori che mi hanno posto questa domanda. Io credo che l’unica molla in grado di innescare quel meccanismo sia la passione, l’amore per sensazioni che solo percorrendo una curva a velocità folle riesci a provare. Il pilota pensa che non toccherà mai a lui. A me è toccato»
• «A tredici giri dalla fine ero in testa. Mancava l’ultimo rifornimento che il ritmo elevatissimo aveva reso necessario per tutti.
Uno splash & go, come si dice in gergo, una spruzzata di benzina per finire e via.
Ripartendo velocissimo, con i ragazzi del team che mi spingevano con gli occhi
e con la voce, ero sicuro di essermi messo dietro anche l’ultimo ostacolo. Ho imboccato l’uscita della corsia dei box, che corre parallela al tracciato, pensando: “è fatta!”. Per qualche motivo a metà di quella striscia di asfalto, irregolare e sconnessa, la macchina si è girata. Ho attraversato un pezzo di prato e sono finito in pista, cercando di
controllare la monoposto in testacoda, mentre il gruppo arrivava a 340
chilometri orari. Poi, improvvisamente, è sceso il buio. Capii qualcosa. Fu un attimo. Una parte della macchina rimase
con me, l’altra se ne andò con una parte di me. Non so se mi resi conto di qualcosa, non me lo ricordo.
Ma, riguardando le immagini, si capisce che tentai di fare quello che
solitamente si fa dopo un incidente con poche conseguenze, poco cruento. Cercai
di aprirmi la visiera del casco, tentai di slacciarmi le cinture nei pochi
attimi di lucidità seguiti alla botta che per me, francamente, non deve essere stata molto
intensa. Se la macchina avesse resistito avrei preso una sventola mostruosa,
soprattutto per la decelerazione che il mio corpo avrebbe dovuto sopportare.
Invece la monoposto cedette di schianto, un colpo secco: io quasi non sentii l’energia dell’impatto, ne assorbii poco o niente, tanto che
il casco non aveva nemmeno un segno. Devo aver realizzato qualcosa solo quando,
a un certo punto, guardai davanti: non c’era più la macchina e nemmeno le mie gambe» (da La Gazzetta dello Sport) • Nell’ottobre 2003 il ritorno alle gare (è arrivato a vincere il campionato italiano di superturismo): «Con i miei meccanici ho parlato della quantità dei pedali realizzati per aiutarmi a guidare. Sono così tanti che si può riempire il pavimento di una stanza!» • «In tutta onestà, le mie vere soddisfazioni sono quelle di mettermi le gambe al mattino e
togliermele quando è finita la giornata. Cosa che molte volte capita all’una o alle due del mattino. Quando mi presentai il primo giorno al centro
ortopedico, i medici mi fecero vedere una persona amputata delle gambe all’altezza della coscia che secondo loro camminava bene. Io, lo confesso, mi dissi:
caspita. Poi quando cominciai a sentire quanto le persone mediamente riuscivano
a portare le protesi durante la giornata, mi demoralizzai un po’. Adesso non credo di essere l’unico al mondo che fa quello che faccio. Però, sicuramente, il 90 per cento delle persone nelle mie condizioni non camminano,
usano le protesi per una questione estetica: andare al ristorante su una sedia
a rotelle senza gambe è brutto. Io invece sono riuscito a tornare a una vita assolutamente normale,
questa è la grandissima conquista» (da un’intervista di Nestore Morosini).