Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SARTORI
Giovanni Firenze 13 maggio 1924. Politologo • Uno dei più noti studiosi di politologia a livello internazionale. Albert Schweitzer
Professor in the Humanities alla Columbia University di New York, professore
emerito di Scienza politica all’Università di Firenze, editorialista del Corriere della Sera, è tra i più autorevoli commentatori dell’attualità politica. Ha pubblicato numerosi volumi, che sono stati tradotti in oltre
trenta lingue • «Pochi studiosi italiani, certamente nessuno tra i politologi, godono all’estero del prestigio di Giovanni Sartori. A lungo docente negli Stati Uniti,
prima a Stanford e poi alla Columbia University di New York, ha scritto opere
tradotte in tutto il mondo su molti argomenti fondamentali: dalle definizioni
della democrazia all’analisi dei sistemi di partito; dall’ingegneria costituzionale all’influenza dei mass media sulla politica. A lui si deve, per fare solo un
esempio, la più convincente interpretazione della cosiddetta prima Repubblica italiana, vista
come un caso di “pluralismo polarizzato” per l’ampia molteplicità delle forze presenti sulla scena e per l’enorme distanza ideologica esistente fra le ali estreme. Naturalmente, come
sanno bene i lettori del Corriere della Sera, Sartori non è soltanto un teorico e meno che mai un erudito asserragliato nella sua torre d’avorio. Al contrario lo si può legittimamente definire, come fa Stefano Passigli, “un politologo militante”. Dalle riforme elettorali alle ipotesi di trasformazione federale dello Stato,
dal conflitto d’interessi alle conseguenze dell’immigrazione, non si contano i temi attuali su cui l’autore di
Democrazia e definizioni (Il Mulino, 1957) ha levato la sua voce spesso caustica, con una chiarezza di
esposizione che non è poi così frequente tra gli studiosi di alto livello, soprattutto nel nostro Paese. Se c’è qualcosa che impressiona il profano, nella prosa giornalistica del Sartori
editorialista, è la sua capacità di adottare un linguaggio piano e accessibile anche quando si tratta di esporre
problemi caratterizzati da una notevole complessità. E desta ammirazione anche la sua vena creativa nel forgiare espressioni che
finiscono per entrare nell’uso comune: ad esempio “Mattarellum”, per designare l’ibrida legge elettorale; oppure “Homo videns” come prototipo del cittadino teledipendente, a suo avviso più facilmente condizionabile dell’elettore di una volta» (Antonio Carioti)
• «“Un rompiballe”, lo liquidò una volta Berlusconi, ed è stato sufficiente perché la sua armata lo accusi ripetutamente di “boria intellettuale”, cecità (“il politologo che non sa niente di politica”, scrive Baget Bozzo), presunzione arrogante (“crede di essere l’ombelico del mondo”, disse di lui Marcello Pera). è l’inventore delle scienze politiche nell’accademia italiana, ha messo in cattedra o formato più generazioni di politologi (tra cui Giuliano Urbani e Domenico Fisichella, ma è un terreno minato, alla cui soglia s’arresta), è autore di innumerevoli e ponderosi saggi sulla democrazia e sulla dottrina
dello Stato eppure nell’era di Berlusconi è trattato come un massimalista “piantagrane”, ribelle dispettoso da tenere a bada. La proscrizione non lo intimidisce, ma
qualche venatura di inquieta malinconia gliela procura» (Simonetta Fiori)
• Ha esordito sul Corriere «Con Giovanni Spadolini, negli anni della contestazione studentesca. Io ero sull’altro lato delle barricate: il Sessantotto, per me, non fu affatto formidabile.
Spadolini mi manca molto anche per una ragione: quando mi scappa una data, non
so più a chi rivolgermi. Aveva una memoria incredibile» • «Quando devo scrivere un articolo, di regola sessantasei righe, preferisco
dormirci sopra. Lo devo tranquillizzare, rendere meno concitato. Così lo metto al riparo da querele» • «Se faccio un pezzo senza boccacce, finisce che m’annoio».