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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

GALASSO

Pasquale Poggiomarino (Napoli) 17 maggio 1955. Camorrista. Membro del direttivo della Nuova Famiglia. Pentito • Figlio di papà, nella specie di Sabato Galasso, ex proprietario terriero diventato ricco
vendendo autocarri della Fiat, è cresciuto nella bambagia. Il padre non gli aveva fatto mancare proprio niente,
tutti i vizi (auto di lusso, abiti firmati, locali alla moda), pur di
realizzare il proprio sogno: Pasquale doveva prendersi la laurea in Medicina
(il diploma glielo aveva fatto prendere a Benevento, all’istituto religioso La Salle). All’università Pasquale si iscrive, ma non va oltre. Tutto perché la sera del 24 settembre 1975, mentre sta rientrando a casa con la sorella
Consiglia a bordo di una Porsche, nelle campagne di Poggiomarino, un’auto gli sbarra la strada, tre uomini armati scendono e gli dicono che è un rapimento (non una rapina). Pasquale fa quello che nessuno si aspetta,
strattona uno dei tre rapitori, gli sottrae la pistola, e si mette a sparare
all’impazzata, uccidendone due (Agostino Bifulco e Domenico Rendine), mentre il
terzo scappa. Una settimana dopo, su consiglio di don Sabatino, si costituisce,
ma nessuno gli crede, e lo sbattono in carcere, a Poggioreale, due mesi in
cella di isolamento, poi nel padiglione Milano, lo stesso dove sono rinchiusi
Raffaele Cutolo, e i fratelli Michele e Salvatore Zaza (i due contrabbandieri
legati alla Mafia siciliana)
• «Mi trovai in un contesto di giungla, dove c’era una sola legge, quella della prepotenza e della violenza. In quel momento ho
cominciato ad avere in me la metamorfosi, anche se più che altro lo facevo per difendermi. …In quella situazione o bisognava subire, o eventualmente reagire e accollarsi
tutte le responsabilità. E per “subire” intendo tutto, tutti gli abusi che si possono subire in un contesto di
ignoranza e violenza» (audizione alla commissione parlamentare Antimafia, 13 luglio 1993)
• Visto l’ambientino, don Sabatino pensa bene di raccomandare il figlio a una sua vecchia
conoscenza, Alfonso Rosanova, imprenditore di Sant’Antonio Abate, che essendo braccio destro di Raffaele Cutolo ha agio di fargli
pervenire un messaggio: «Pasquale è il figlio di un amico mio, trattalo bene». Tanto che Cutolo chiede e ottiene che il ragazzo sia sistemato proprio nella
cella accanto alla sua, e interviene in sua difesa ogni volta che rischia di
prenderle. Pasquale stesso non è uno che le manda a dire, e il suo caratterino fa presa sul boss
• «Durante il mio trascorso a Poggioreale, Cutolo, Michele Zaza e un po’ tutti mi corteggiavano. Più di una volta mi hanno invitato a legarmi a loro, ma io ho sempre riferito, a
Cutolo anche in prima persona, che l’unica cosa cui tenevo era mio padre e la mia famiglia. Non cercavo altre
famiglie. Quindi, in quell’anno di detenzione con Cutolo avevo rapporti normali. Ma se di tanto in tanto
litigavo con altri detenuti, era Cutolo ad intervenire in mio favore» (audizione alla commissione parlamentare Antimafia, 13 luglio 1993)
• In carcere invece scopre subito una certa affinità con un altro detenuto, Carmine Alfieri (ufficialmente commerciante di mobili,
invece fa lo strozzino e gestisce bische clandestine), e in sala colloqui piano
piano prende confidenza anche col di lui fratello che lo va a trovare,
Salvatore Alfieri; a loro volta il padre e il fratello di Pasquale, don
Sabatino e Nino, quando lo vanno a trovare, fanno conoscenza con Salvatore
Alfieri, e insomma va a finire che si fanno delle belle chiacchierate tutti
insieme
• Dodici mesi Pasquale Galasso resta in prigione, fuori lo attende il processo
per eccesso di legittima difesa. Si fa difendere da Giuliano Vassalli (ex
senatore socialista, futuro ministro di Grazia e giustizia nei governi Craxi e
Andreotti), e Vincenzo Siniscalchi (figlio di un famoso penalista napoletano e
futuro parlamentare ds). Ma ciononostante Pasquale è preoccupato, per sei mesi non esce più con gli amici, non scorrazza in giro con la Ferrari e la Porsche. E poi c’è anche la paura delle ritorsioni dei familiari di Rendina e Bifulco
• A complicare le cose il corteggiamento di Raffaele Cutolo, che prima gli invia
a casa sua sorella Rosetta, col messaggio di andare a trovarlo nel manicomio
giudiziario di Aversa (Pasquale rifiuta), poi, evaso dal manicomio, si presenta
personalmente a casa sua manifestandogli la propria stima e promettendogli di
riempirlo di soldi, e in chiusura, dicendogli: «Tu nella Nco devi essere il mio Paolo Rossi» (Pasquale risponde che lui di soldi non ne ha bisogno perché ne ha già tantissimi). Cutolo lo convoca qualche settimana dopo ad Albanella, nel
Salernitano, dov’è latitante, ribadendo che deve entrare nel suo gruppo, e con l’avvertimento di lasciare gli Alfieri, perché quelli «non sono uomini» (per l’ennesima volta Pasquale rifiuta). Finché don Sabatino non è colpito da una scarica partita da un fucile da caccia (è solo un avvertimento), e nell’occasione confessa al figlio che da tempo i cutoliani gli stanno chiedendo il
pizzo
• A questo punto Pasquale si riavvicina ai fratelli Alfieri conosciuti in
carcere, e chiede protezione a Angelo Moccia, detto Enzuccio, che appartiene
alla dinastia malavitosa di Afragola, anche per salvaguardarsi dalla vendetta
dei parenti dei suoi rapitori. Ma così facendo compie un altro sgarbo a Cutolo, perché si tratta di anticutoliani. Comunque, venendo a sapere che Luigi Bifulco
(cugino di Agostino) sta assoldando dei killer per farlo fuori, prima di essere
ammazzato organizza lui stesso un agguato (con Pasquale Langella e Antonio
Federico) e il 29 agosto 1980, di proprio pugno, lo uccide e per poco non
ammazza anche il figlio. Questo atto gli fa conquistare definitivamente la
stima di Carmine Alfieri, che se lo porta dietro, a Marano, nella tenuta di
Lorenzo Nuvoletta, per discutere le strategie da attuare per contrastare la
Nuova Camorra Organizzata
• Il 21 gennaio 1982 viene ammazzato suo fratello Nino, con le mozzarelle in
mano, appena uscito dalla salumeria (lui con la malavita non c’entrava proprio niente, aiutava il babbo in azienda). Pasquale, disperato: prima
tenta il suicidio tagliandosi le vene, poi va dai suoi e annuncia che dedicherà il resto della sua vita a vendicare il fratello («Fate conto che io sia morto»). Per riuscirci entra pienamente nell’organizzazione di Alfieri
• La rappresaglia comincia il 7 aprile 1982, con Antonio Annunziata (prima ferito
con una pistola, poi finito a colpi di cric in testa), e continua senza
risparmiare nessuno. Basta aver avuto un ruolo minimo nell’uccisione di Nino. L’ultima vendetta è consumata il 30 dicembre 1983, vittima Giovanni Bifulco, detto ’o Bisonte, che, aspettandosela, sta sempre rintanato a casa, salvo uscire a portare in
giro il suo cucciolo di leone. Lo ammazzano nel suo appartamento, armati di un
Benelli calibro 12, un mitra Mab calibro 9, una pistola calibro 38 special e
una pistola calibro 7.65 • Passa gli anni successivi al servizio di Carmine Alfieri, diventando uno dei
suoi più fidi collaboratori. Trova una fidanzata in Francia, e si dedica agli affari,
stabilendosi per un certo periodo a Roma. Perde alcuni miliardi. Compra il
Kursaal di Montecatini Terme, un complesso immobiliare-alberghiero di
quattordicimila metri quadri, un centro commerciale a Osmannoro, vicino a
Firenze, poi tenta di comprare gli stabilimenti cinematografici De Paolis, ma
viene ostacolato da Enrico Nicoletti (considerato il cassiere della banda della
Magliana), tale Giuseppe Cillari, detto “Pin” (ammanicato coi Servizi Segreti), e soprattutto due affiliati della Nuova
Famiglia, Ferdinando Cesarano e Marzio Sepe. Nel 1991 arriva la prima condanna
per estorsione e associazione camorristica (a nove anni), e Galasso lascia
perdere gli affari e pensa solo a nascondersi
• Il 9 maggio 1992 è arrestato, in una villa al confine tra Sarno e Palma Campania, durante un
summit a cui partecipano altre dodici persone. Galasso verrà a sapere di essere stato venduto, proprio dal Cillari e dall’avv. Antonelli di Roma, suoi soci nell’acquisto dell’immobile Kursaal e degli stabilimenti cinematografici. Il suo arresto è il segnale che c’è una spaccatura all’interno della NF. Tanto è vero che, dopo, Carmine Alfieri, che insieme a Marzio Sepe aveva prestato a
Pasquale 400 milioni, manda a chiamare il fratello di Pasquale, Martino, per
chiedergli indietro i soldi. Scaricato dai suoi compari, Galasso si pente. All’inizio non convince completamente gli inquirenti (dice e non dice), finché, l’11 settembre, le sue dichiarazioni portano dritto all’arresto di Carmine Alfieri
• I boss ancora in libertà cominciano a sospettare che l’infame sia lui, soprattutto dopo l’arresto di Alfieri, quando Galasso ottiene gli arresti domiciliari a
Poggiomarino. A questo punto deve avvertire i familiari (il fratello Martino lo
aggredisce, e da allora va in giro a dire che il capo del gruppo ora è lui). Il 29 settembre muore il padre, ricoverato a Montecarlo per un male
incurabile • Ferdinando Cesarano, Luigi Moccia, Giuseppe Cillari e Ciro Maresca gli fanno
sapere che se smette di parlare gli rendono tutti i miliardi che ha perso con
gli affari Kursaal e De Paolis. Ma Galasso non ha ripensamenti • Intanto i suoi parenti vengono messi sotto protezione, e dal marzo 1993 Galasso
svela uno per uno i segreti dell’organizzazione, i nomi dei politici collusi, i processi che sono stati
aggiustati • Intanto la Guardia di Finanza scopre che il suo patrimonio si aggira sui 150
miliardi di lire. Progressivamente gli sequestrano tutto. Nel 92 Villa Bretta,
un castello del 1890 appartenuto ai marchesi Solaroli di Briana, e i 45 mila
metri quadri di bosco che lo circondano, sulle coste del Lago d’Orta, in provincia di Novara. Da un mese ci vivevano la vedova di Antonio
Galasso e la moglie di Pasquale • A Luigi Moccia (fratello di Enzuccio), che lo chiama al telefono, Galasso
spergiura di essere un uomo d’onore: «Io non accuserò nessuno di omicidio, cerco di limitare i danni all’associazione a delinquere, nei primissimi tempi», ma quando i quotidiani pubblicano la notizia del ritrovamento di due cadaveri
in mezzo alla campagna, gli ex compagni di malavita non gli credono più, e attraverso le loro talpe riescono a individuare di volta in volta le località segrete dove Galasso è nascosto
• «Non si faceva altro che parlare tutti i giorni si parlava di Galasso, Galasso,
Galasso, per cercare di ucciderlo. Si parlava solo di Galasso. Negli ultimi
incontri che ho fatto a Nola con Autorino, Sepe, Pasquale Russo e con i Moccia
si parlava solo di Galasso, di come fare per ammazzarlo» (Dario De Simone, esponente dei casalesi, processo “Maglio”, udienza del 7 luglio 1998) • «Noi le avevamo tentate tutte per quanto riguarda Galasso e Pepe, volevamo fare
degli attentati a Roma con delle armi anche di una certa importanza, ma dopo
avere tentato tutte queste cose non riuscite, si decise di cambiare strategia,
di colpire i familiari» (Fiore D’Avino) • Nel marzo 1994 si pente anche Carmine Alfieri, che precisa ulteriormente le
dichiarazioni del suo ex vice di Poggiomarino. Le loro dichiarazioni, integrate
con quelle di altri collaboratori consentono ai pubblici ministeri di varare l’operazione “Maglio”: con una maxiretata sono portati in carcere gli autori di decine di omicidi e
politici (Antonio Gava, Vincenzo Meo, Raffaele Russo, Francesco Patriarca e
Raffaele Mastrantuono) • Galasso continua a cambiare residenza • Il suo tenore di vita è incompatibile con lo stipendio di collaboratore di giustizia, e a fine gennaio
1997 la Procura di Napoli chiede per Galasso il soggiorno obbligato di quattro
anni e un sequestro di beni per altri venti miliardi • Il 9 settembre 2005 viene ucciso il cugino Ninuccio Galasso (a colpi di
kalashnikov, a Sarno, ma per gli inquirenti non si tratta di vendetta
trasversale, bensì di un regolamento di conti). Il giorno dopo Antonio Orza scrive sul Mattino: «Pasquale Galasso passerà alla storia criminale come il collaboratore di giustizia che è costato maggiormente allo Stato, con tre milioni di euro spesi dal 95 al 2002.
Il pentimento di Pasquale Galasso, in meno di dieci anni, ha portato via molto
denaro alle casse dello Stato, ma allo stesso tempo ha portato in carcere o nei
tribunali camorristi (molti condannati), politici (molti assolti, clamorosa l’assoluzione di Antonio Gava)» (Bruno De Stefano)
• Collezionista di antiquariato, nella sua villa custodiva trecento pezzi, il più prezioso il trono di Francesco I di Borbone (Roberto Saviano). [Paola Bellone] [bbk]