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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

RALLI Giovanna Roma 2 gennaio 1935. Attrice. Esordio al cinema a otto anni ne I bambini ci guardano (De Sica, 43), poi Racconti romani (Franciolini, 55), Il generale della Rovere (Rossellini, 59), La vita agra (Lizzani, 63), C’eravamo tanto amati (Scola, 74) ecc

RALLI Giovanna Roma 2 gennaio 1935. Attrice. Esordio al cinema a otto anni ne I bambini ci guardano (De Sica, 43), poi Racconti romani (Franciolini, 55), Il generale della Rovere (Rossellini, 59), La vita agra (Lizzani, 63), C’eravamo tanto amati (Scola, 74) ecc. A teatro va ricordato almeno Un paio d’ali (Garinei&Giovannini, 57, con Renato Rascel) • «Alla carriera cinematografica non ci pensavo proprio. La mia più grande aspirazione era entrare in una fabbrica e fare l’operaia, comprarmi una bicicletta, sposare un operaio, fare figli, ogni sera quando il maritino tornava stanco fargli trovare la cena pronta. Questo sognavo. Tanto che avevo fatto domanda alla fabbrica della Chlorodont e allora non era come adesso, ti potevano assumere anche se avevi tredici, quattordici anni. Fatto sta che nel frattempo facevo la comparsa. E ogni volta c’era qualcuno che mi incoraggiava, che mi diceva: “Ma sai che sei proprio brava? Poi venne fuori che Peppino De Filippo cercava delle attrici e io mi presentai. “Le piacerebbe fare l’attrice”, fa De Filippo. E io: “No, io vorrei lavorare”. Lui sorrise e mi fece fare la fioraia. Avevo quindici anni ed ero già molto procace con un bel seno di cui mi vergognavo, tanto che me ne stavo sempre curva per nasconderlo. Vennero a vederci Federico Fellini e Alberto Lattuada perché dovevano fare Luci del varietà. Anche Fellini mi chiese: “Le piacerebbe fare il cinema?” e io subito: “Ma quanto se guadagna?”. La mia idea era sempre la stessa: trovare un lavoro. Feci così Luci del varietà, il primo lavoro che durasse più di una giornata. Per due mesi ho lavorato. Di seguito. Una manna» (da un’intervista di Daniele Scalise) • «Essere adolescente nel dopoguerra per una ragazzina romana bella e procace cresciuta nel popolare quartiere di Testaccio significava camminare per strada sopportando i commenti pesanti dei maschi o, quando andava bene, un lungo fischio di ammirazione; provare imbarazzo per il seno che con ostinazione spuntava sotto la camicetta nonostante ci si sforzasse di incurvare le spalle per non farlo vedere; guardare con invidia e disagio le donne più adulte che sfacciatamente avanzavano sui tacchi, fiere del busto costretto in uno stringivita e della gonna a ruota che oscillava a ogni passo. Più di ogni altra cosa, a Giovanna Ralli, però, facevano rabbia le prime signore che sulla spiaggia di Ostia sfilavano nei loro due pezzi di cotone di ispirazione caraibica, col fiocco a reggere le coppe del petto. “Io arrivavo al mare da casa, con in mano un sacchettino dentro il quale c’era l’asciugamano e uno di quei costumi interi, di lanetta, che si riempivano di sabbia appena mi sedevo. Ci andavo in treno, insieme al mio primo ragazzino. E vedere che lui allungava il collo a guardar la scollatura delle signore in due pezzi mi faceva rabbia perché nel mio costumino nero che mi segava le spalle mi sentivo goffa e sporca. Per non soffrire troppo i granelli di sabbia tra le cosce e l’impari confronto con le belle di Ostia, mi buttavo in acqua continuamente e lui mi sfotteva: ‘Sempre a mare stai?’. Ero piccola”. Più tardi, diventata una delle attrici più richieste dal nostro cinema, anche a Giovanna Ralli toccò, finalmente, indossare in scena dei bei costumi da bagno. Anzi una foto di lei in costume, lungo il Tevere, le fruttò addirittura una copertina su Epoca. Era una foto presa sul set di Un eroe dei nostri tempi girato a fianco di Alberto Sordi. Lei era una ragazza del popolo che aveva accettato una gita al fiume con l’uomo più maturo perché voleva chiedergli un lavoro per il fidanzato. “Hai mai baciato un uomo?”, le domandava Sordi e lei, pronta: “Ah dottò, che dice? Io sono incinta”» (La Stampa) • «In teatro recitare nella lingua italiana è terribile perché la lingua italiana è inventata. Il teatro è quello di Eduardo, di Goldoni, di Pirandello che se anche recitato in italiano è pieno di Sicilia. Recitare in italiano porta al birignao mentre io ho sempre cercato di evitare i virtuosismi, la voce impostata».