Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CANFORA
Luciano Bari 5 giugno 1942. Storico • «Oltreché uno degli storici italiani più letti e tradotti nel mondo, uno dei critici più liberi e antidogmatici della politica del nostro paese: dall’apertura al revisionismo per il caso Gentile alla polemica sulla riforma
universitaria di Berlinguer, contro cui non ha esitato a schierarsi, invocando
la “disobbedienza civile” dei professori ed evocando i millenari pericoli della demagogia» (Silvia Ronchey) • «Oltranzista dell’ortodossia stalinista anche se postuma, proietta nella politica la miopia
intemporale del filologo classico. Dotato di proverbiale capacità di giudizio storico per aver liquidato come “idiozia” la svolta nel Pci di Achille Occhetto e per aver preferito a Michail Gorbaciov
i regimi dell’Est esaltando la funzione anticapitalistica della Germania Est, guata ogni
occasione per gettarsi - foruncolo del Corriere qual è — nell’agone giornalistico con puntualizzazioni, paradossi, corsivi polemici diretti
per lo più contro Sergio Romano, ma anche contro Norberto Bobbio. All’esegesi dei classici greci e alla rievocazione dei grandi miti dell’Antichità, alterna saggi di storia contemporanea, da quello in cui difese la “giusta sentenza” (l’assassinio del filosofo Giovanni Gentile) a quello su Palmiro Togliatti in cui
accusò Paolo Spriano di incompetenza e malafede; un intervento orale, al Festival dell’Unità, sull’idea comunista secondo François Furet, gli valse da parte del compianto storico francese una definizione
memorabile, “à la limite du grotesque”» (Pietrangelo Buttafuoco)
• «La politica è stata presente fin dall’inizio nella mia vita. Sono convinto che sia la forma più alta di moralità e riassume l’intera attività umana» • Il rifiuto, da parte dell’editore tedesco Beck, di pubblicargli il saggio La democrazia. Storia di un’ideologia ha innescato, nel novembre 2005, una polemica internazionale. Il testo faceva
parte di una collana, “Fare l’Europa”, diretta da Jacques Le Goff, a cui partecipano gli editori di cinque paesi (l’italiana Laterza, la francese Seuil, la britannica Blackwell, la spagnola
Critica, la tedesca Beck). Era già uscito in italiano e spagnolo e Beck aveva firmato il contratto. Ricevuta la
traduzione, Beck ha deciso di respingere il libro «sulla base di una lunga lista di dieci pagine di obiezioni ed errori di merito»: «Canfora definisce un “mito” la divisione della Polonia nella Seconda guerra mondiale quale risultato del
patto Hitler-Stalin. Il Protocollo segreto aggiuntivo, conosciuto da decenni
nell’ambito della ricerca storica, non viene invece nemmeno preso in considerazione
[...] Nel libro di Canfora non si fa menzione dei 4.400 ufficiali polacchi
eliminati dall’Armata Rossa a Katyn in conseguenza del Patto succitato, né tanto meno della deportazione di più di due milioni di polacchi nella Russia settentrionale e in Siberia. In
compenso a Stalin viene attestato di aver agito da “buon realista”. Luciano Canfora critica il fatto che il “laboratorio” dell’Unione Sovietica venga ormai rappresentato esclusivamente come un unico enorme
gulag. Esprime invece apprezzamento per la sua trasformazione in un moderno
Stato industriale nonché per gli aspetti positivi contenuti nella Costituzione sovietica. Questa è la sua visione delle cose e noi non la censuriamo, pur sollevando forti dubbi
riguardo alle condizioni della democrazia nei Paesi dell’ex blocco orientale. Che però Canfora non menzioni e nemmeno condanni anche una sola volta con parole
esplicite le 685 mila vittime e i due milioni di internati, i processi farsa e
il terrore paranoico instaurato da Stalin, ci risulta inaccettabile». Lo ha difeso, con un articolo sulla Franfurter Allgemeine Zeitung, Dirk Schümer: è vero, dice in sostanza Schümer, Canfora è un autore di parte che non mette nel giusto rilievo la tragedia dei gulag o le
responsabilità sovietiche nel massacro di Katyn, ma d’altro canto ha il merito di puntare il dito su questioni sulle quali i tedeschi
sono abituati a sorvolare, come il coinvolgimento di ex nazisti nel dopoguerra
ai vertici del governo federale guidato da Adenauer. Ma poi c’è la questione del metodo scelto da Canfora nello scrivere una storia della
democrazia: se l’autore si fosse limitato - dice Schümer - a narrare «l’evoluzione della libertà individuale e del suffragio universale, certamente avrebbe scritto un libro
noioso» su cui nessun editore fatto obiezioni. Invece ha scelto una strada diversa, non
una «equilibrata storia delle idee, ma un pamphlet, come preannuncia l’impertinente sottotitolo
Storia di un’ideologia». Canfora - conclude Schümer - descrive «la democrazia come una lunga serie di sistemi repressivi. è una tesi che fa male, qua e là forzata e polemica, ma anche una chiave di lettura per nulla priva di interesse».