Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
VATTIMO
Gianni Torino 4 gennaio 1936. Filosofo • Dopo gli studi nella sua città e all’università di Heidelberg (con Gadamer e Loewith), ha insegnato in atenei italiani e, come
visiting professor, in varie università dell’Europa, degli Stati Uniti e del Sud America • Quando è nata la scelta per la filosofia? «Subito dopo la terza liceo, non avendo soldi, dovevo lavorare, per cui una
facoltà umanistica mi era più comoda. Ho lavorato alla Rai di Torino, avrò fatto cento trasmissioni, tutte in diretta, e scappavo a lezione nel tempo
libero. Detto questo, certo Filosofia era la facoltà più affine ai miei interessi. Allora militavo nell’Azione Cattolica, che voleva dire, a quell’epoca, Mario Rossi contro Gedda, o Carlo Caretto contro Gedda. Erano gli anni
delle prime ricerche di sociologia religiosa, con Bolgiani e Barbano. C’era questa Torino altra, non strettamente einaudiana, perché gli einaudiani erano una genìa a parte. Però incontravo Franco Venturi in un comitato di appoggio ai ribelli algerini, tutto
per me era impegno politico e impegno religioso insieme. Ricordo che dopo che
ero stato fermato in un picchettaggio, Pajetta mi diede la tessera ad honorem
della gioventù comunista. Poi è stato importante l’incontro con Umberto Eco, che si era laureato su San Tommaso con il mio maestro
Pareyson. Infine, ho vinto una borsa di studio per la Germania, la prestigiosa
Humboldt. A quel punto i giochi erano fatti» (da un’intervista di Alberto Papuzzi)
• «“Diciamocelo: sono più intelligente di Eco. Lui però è più versatile”. Polymekanos, come Ulisse: più furbo. Forse lo pensava anche Luigi Pareyson, il loro maestro, ferreo cattolico
che nonostante la dolorosa scoperta dell’omosessualità dell’allievo prediletto volle lasciargli la cattedra di Estetica a Torino, esiliando
Eco a Milano. “O forse no. Pareyson riteneva Umberto più intelligente di me. Però non lo considerava fedele, costante. Si lamentava perché non gli aveva mandato neanche un biglietto per Natale. E io gli spiegavo: non è per trascuratezza, è che Eco ritiene banale scrivere cose tipo: porgo i migliori auguri...”» (Aldo Cazzullo)
• «Filosofo del pensiero debole. Allievo prediletto del filosofo cattolico Luigi
Pareyson, sale in cattedra nel 68, ma abbandona giacca e cravatta per vestire
casual e scoprire il beneficio del permissivismo. Da allora tenta, con alterni
successi e in sedi varie, di combinare il nichilismo nicciano-heideggeriano col
messaggio cristiano, e conciliare il cristianesimo creaturale, professato in
gioventù, con l’universo secolarizzato della tarda modernità, dove i diritti dell’uomo, la tolleranza, la permissività, vengono secondo lui a “trascrivere” la rivelazione cristiana, essendo ormai l’Incarnazione, secondo lui, non più il segno del mistero, la via della verità che entra nella storia, ma semplice ideologia, valori, religione universale,
poesia senza drammi. Imperativo etico, non parola: norma di comportamento, non
dogma: compassione, non verità rivelata. Proclive a entrare in rotta di collisione con i cattolici militanti,
alterna con sagacia la polemica contro gli integralisti timorati di Dio, come
Renato Farina, a quella contro i libertari dionisiaci, come Aldo Busi. Ama
soprattutto Torino, il liceo D’Azeglio, il busto di Norberto Bobbio, le comparsate in tv, i gatti. Salvo poi
pentirsene (non dei gatti). Augusto Del Noce nutriva dubbi: “Questo Vattimo ci fa o ci è?”. Come dire, è socratico o è platonico?» (Pietrangelo Buttafuoco)
• «Il pensiero debole è una riduzione delle perentorietà. Si definisce in opposizione al pensiero forte, di chi ritiene di enunciare
principi fondamentali, basilari: come quelli di Aristotele o Cartesio. Secondo
me queste proposizioni forti sono socialmente pericolose, basta pensare a tutte
le obiezioni di Popper a Platone. E in più non corrispondono all’attualità del pensiero. Da un lato il pensiero forte è legato a posizioni autoritarie. Dall’altro la filosofia del Novecento - con Nietzsche, Heidegger, Gadamer, forse
anche Habermas - si basa sull’idea che la verità è questione di interpretazioni. è così, anche se pensi al Wittgenstein non del Tractatus ma quello dei giochi
linguistici. L’idea da cui parte il pensiero debole è che la verità di una proposizione si mostra solo dentro un sistema, un linguaggio, le regole
di un gioco, un paradigma»
• Omosessuale: «Mi mandarono dallo psichiatra, poi dalla psicanalista, che venne ad aprirmi la
porta con un dobermann al guinzaglio. Poi mi presentarono una bellissima
ragazza di una famiglia tra le più ricche di Torino. Le volevo bene, pensavo che una donna altoborghese avrebbe
potuto sposare un gay. Ma il padre prese informazioni su di me in questura. Finì» • «Sono cresciuto nell’Azione Cattolica. Ho fatto la campagna elettorale del 53 per la Dc, accompagnavo
le vecchiette ai seggi. Quando ci siamo ritrovati nell’Ulivo a Gargonza, con Eco e Prodi abbiamo cantato le nostre vecchie canzoni: “Bianco Padre che da Roma/ ci sei luce, meta e guida/ su ciascun di noi
confida...”. Ho sempre avuto a che fare con i preti. Ebbene: non uno, dico uno! che abbia
allungato le mani. Nessuno mi voleva. Un’indecenza!» • L’outing nel 76 tramite Angelo Pezzana, padre del movimento gay italiano: «Scoprii dalla Stampa di essere candidato radicale in quota Fuori, Fronte
unitario omosessuali rivoluzionari. Mia sorella nascose il giornale a mia madre». Pareyson sapeva già: «Gli avevo presentato Giampiero, il mio compagno. Morto di Aids. Poi è venuto Sergio. Ucciso dal cancro. Ho avuto una vita sentimentale tragica» • «Mi vergogno di essere omosessuale come Cecchi Paone. Eravamo insieme a un
dibattito tv. Lui è stato intellettualmente dominato da Borghezio. Non è che basta essere gay per essere intelligenti» • Ex militante radicale, poi vicino ai Ds, nelle cui file è stato parlamentare europeo, prima delle politiche 2006 ha dichiarato di voler
votare per i comunisti di Diliberto: «Sono stato tra i primi ad affermare che Massimo D’Alema era un personaggio politicamente da rottamare per le scelte sbagliate che
aveva fatto, dalla Bicamerale alla mancata legge sul conflitto di interessi. E
ho pagato per questa posizione, perché il partito non ha più voluto ricandidarmi nel 2004 al Parlamento europeo. Non so se si può scrivere, perché è un po’ osceno, ma ogni tanto avrei voglia di proporre a un giornale una rubrica
intitolata “Il coglione sinistro”. Sì, interpretare la parte del rompiscatole, di chi è fuori dal coro» (da un’intervista di Dino Messina)
• «Mi riservo il ruolo di un Ceronetti della sinistra».