Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
TETTAMANZI
Dionigi Renate (Milano) 14 marzo 1934. Cardinale. Dal 2002 arcivescovo di Milano • Ordinato sacerdote dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini nel 57 e mandato al Seminario Lombardo per
seguire i corsi alla Gregoriana, ha insegnato Teologia a Masnago e Seveso e per
oltre vent’anni Teologia morale nel seminario di Venegono Inferiore. L’11 settembre 87 è stato nominato rettore del Lombardo. Il primo luglio 89 è stato eletto arcivescovo di Ancona-Osimo e ordinato dal cardinale Martini in
Duomo; due anni dopo è stato nominato segretario generale della Conferenza episcopale italiana. Nel 95
la nomina ad arcivescovo di Genova e nel concistoro successivo — 21 febbraio 98 — la porpora
• «La parrocchia di Renate sta sempre lì, campi da calcio, basket, pallavolo, una quantità di ragazzini che tirano pedate al pallone reggendo ghiaccioli in equilibrio
instabile, castagni, faggi e abeti sullo sfondo del Resegone. Non fosse per l’abbondanza di aziende, capannoni e bancomat, per la teoria di “villette otto locali doppi servissi” che inorridivano Carlo Emilio Gadda e flagellano la profonda Brianza tra Como e
Lecco, il panorama sarebbe lo stesso di prima della guerra, quando don Pasquale
Zanzi notò Dionigi Tettamanzi e il suo amico Tranquillo Colombo che rifiatavano su un
muricciolo, se li prese in braccio e profetizzò: “Tranquillo, ti te sarèt un bel pret! Ti no, Dionigi, te se tropp furb !”. Don Pasquale non poteva immaginare che Tranquillo avrebbe fondato un’industria di maniglie e Dionigi sarebbe diventato cardinale e arcivescovo di
Milano, ma fa lo stesso, del resto fu proprio lui a favorire la vocazione del
ragazzo che a undici anni decise di en
trare nel seminario di Seveso San Pietro. L’essenziale è vedere questo mondo piccolo, la gente che lo chiama ancora “Don Dionigi”, gli dà del tu e lo paragona a Papa Giovanni (“è come lui! Guardi che sorriso!”)» (Gianguido Vecchi) • «Gli occhi del cardinale Tettamanzi brillano di luce quando stringe le mani della
gente comune, “trasmette calore” dicono tutti, si avvicina e comunica affetto, speranza, attenzione, era così a Genova e succede a Milano, lui va sempre incontro a una storia, a un pianto o
a un sorriso. Lo attendono a messa finita, dopo una visita, alla fine di un
raduno, e questa disponibilità è paziente e infinita se incontra i giovani (“Da voi ci aspettiamo un passo avanti per una società meno arida e più umana”) , i malati (“Il mondo sembra un oceano di dolore ma quando il dolore sembra cancellare la
speranza interviene la fede, dono di Dio, a ridarci forza e dignità”) , i disoccupati (“Un uomo non è più un uomo se perde il proprio lavoro”) o i detenuti (“Dovete credere nel riscatto senza cedere alla tentazione di lasciarvi morire”). Nella sua lunga missione, Dionigi Tettamanzi è un instancabile messaggero della Chiesa partecipata e i suoi discorsi segnano
un percorso di apertura e rigore che il contatto con i fedeli amplifica e
diffonde. “Estensore segreto dei documenti vaticani”, teologo morale, collaboratore di Papa Wojtyla in encicliche come la
Evangelium vitae e la Veritatis splendor, predica il Vangelo anche con la semplicità dei gesti (“A me per primo capita di dimenticare un discorso, ma non una stretta di mano”). “Mi ricorda Papa Giovanni per la sua bontà e la grande forza trascinatrice”, dice Carlo Edoardo Valli, presidente degli industriali brianzoli. La terra
conta, nella formazione del cardinale, perché la Brianza è etica del lavoro e senso del dovere, e Renate, dov’è nato, è ancora tutto questo, come quando Dionigi aveva undici anni ed entrò nel seminario di Seveso San Pietro. Il senso della famiglia, la fede della
madre, il padre operaio, un fratello falegname, l’appartenenza a un luogo che si ritrova nella domenica a messa e nei fioretti di
maggio, nel catechismo e nell’oratorio, non si perdono negli anni di studio che portano il futuro cardinale a
laurearsi in Teologia, a insegnare per anni fino a diventare rettore del
Pontificio seminario lombardo e una delle voci più ascoltate dei cattolici sui temi della bioetica. Arcivescovo di Ancona,
segretario della Cei, la Conferenza episcopale dei vescovi con Ruini
presidente, poi la nomina a Genova, città difficile, in crisi con il suo passato, lacerata dalla battaglia con i camalli
del vecchio porto. è un’investitura questa per Tettamanzi che rafforza il suo ruolo e amplifica la sua
influenza in Vaticano. Ha fama di studioso e ghostwriter di encicliche, è guardato con diffidenza dalle correnti progressiste e moderniste della Chiesa,
ma a Genova si cala nel sociale, predica un Vangelo che invita alla
concretezza, si mostra attento alle questioni legate al lavoro. Entra con forza
sui temi dell’immigrazione e predica
l’accoglienza, l’integrazione, ma allunga lo sguardo anche sui fermenti no global: il movimento
dei giovani che contestano i totem del capitalismo mondiale stimola alcune sue
riflessioni. è la vigilia del G8, dei giorni neri per la città. Lui scrive su Avvenire: “Assistiamo a una contrapposizione netta fra capitale e lavoro. Nel bazar del
villaggio globale a farne le spese sono non gli imprenditori ma le donne e gli
uomini che lavorano”. Dice ancora: “Il profitto non è il valore assoluto dell’uomo”. è in linea con Papa Wojtyla, ma quando aggiunge che “il deficit politico deriva da una carenza etica in chi detiene il potere” qualcuno lo giudica un rivoluzionario. è gia considerato papabile quando si fa il suo nome per la diocesi di Milano. Non
è poliglotta, dicono i maligni, ma l’approdo alla sede cardinalizia più importante d’Italia, e forse del mondo, segnala che per Dionigi Tettamanzi in Vaticano l’apprezzamento è pieno. Nella geopolitica della Curia, c’è chi legge il passaggio come una tappa di avvicinamento a qualcosa di più importante. Ma Tettamanzi a Milano deve riempire il vuoto lasciato dai vent’anni di Carlo Maria Martini, un cardinale nella storia. Lui entra in punta di
piedi. Si muove nella continuità. Poi il suo attivismo si manifesta. Apre le porte del Duomo, invita i milanesi “a viverlo di più”. Scrive agli operai dell’Alfa in crisi per sostenere “i valori e la dignità della persona umana”. Richiama la città, capitale economica, a una maggiore attenzione verso i poveri e gli emarginati.
Scuote i politici: “La gente ha bisogno di testimonianze fatte di onestà, schiettezza e pulizia morale. La classe politica non è sempre all’altezza”. Richiama anche i suoi preti: “Andate nelle case degli islamici”. E sogna: “A partire dalle nuove generazioni, cristiani e musulmani che vivono nello stesso
territorio devono sperimentare possibilità di incontro e dialogo, per smentire le voci che parlano di scontro di civiltà”. Il senso dell’accoglienza diventa il suo messaggio globale. Ma non trascura i piccoli segni. “I bambini non sanno più farsi il segno della croce”, scrive nella lettera alla diocesi. Predica il dialogo, è duro con gli eccessi. Il Foglio, dopo la sua requisitoria su Milano “troppo attenta ai muri e poco alle persone”, virgoletta: “è l’ultimo comunista”. Lui continua, nei richiami: “Certe messe sono troppo noiose”. Conservatore, innovatore o terzista?» (Giangiacomo Schiavi)
• «Non ha la forza e la libertà di parola del cardinale Martini. Ma non si tira indietro, quando deve
affrontare questioni spinose: in cinque anni di segreteria della Cei, le sue
conferenze stampa hanno sempre fatto notizia, senza che compisse mai un passo
falso. è l’unico cardinale di casa nostra ad aver preso una posizione possibilista sull’uso del profilattico in funzione anti-Aids. Più volte ha invitato la Chiesa italiana a osservare un anno di “silenzio” nella produzione di documenti, per “concentrarsi nell’ascolto del Vangelo”. E con ciò siamo agli input evangelici che caratterizzano la sua predicazione. In
occasione del Grande Giubileo ha indicato ai genovesi come “luogo giubilare” per l’acquisto dell’indulgenza, insieme ai santuari, anche un ospizio per vecchi, ai quali fare
visita “quasi pellegrinando verso il Cristo presente in loro”. Al Sinodo sull’Europa del 99 (quello stesso dove Martini parlò dei suoi “sogni” sul domani della comunità cattolica), invitò a “dare volto concreto a una Chiesa più snella, disposta a riformare le sue strutture e a vivere come seme e lievito
nel mondo, perché risplenda sempre il primato del Vangelo”. In occasione del G8 di Genova ha fatto risuonare la sua corda
evangelico-sociale, guadagnandosi una fama di amico dei “no global” del tutto abusiva. In quell’occasione disse meno del Papa, ma fu descritto come un contestatore radicale da
chi aveva interesse ad alimentare una polemica tutta nostrana, dopo quei gravi
incidenti di piazza» (Luigi Accattoli).