Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SANTORO
Michele Salerno 2 luglio 1951. Giornalista tv. Primo grande successo il programma di
Raitre Samarcanda (87). Poi Il rosso e il nero (92), Tempo reale (94), Moby Dick (96, Italia 1), Sciuscià (2000, di nuovo sulla Rai) ecc. • «Tutto sono io tranne l’intellettuale organico togliattiano. Ricordo, per inciso, che quando vinse l’Ulivo non fui certo “premiato” in Rai e fui costretto a cambiare azienda televisiva» • «È sempre stato un ricercatore di quel che si muove nella pancia del Paese. Attiva
le differenze, non le assonanze» (Carlo Freccero) • Fu cacciato dal liceo perché aveva rigato la macchina di una professoressa: «Ero il più turbolento e mi attribuivano qualsiasi malefatta. Non ho rigato nessuna
macchina. Ero un tipo molto difficile, sempre al centro di quel poco di
effervescenza che c’era nella scuola. Mio padre ferroviere ha fatto laureare cinque figli. Per lui
era insopportabile il mio atteggiamento ribelle. Avevamo grandissimi litigi, ma
eravamo molto legati. Sono stato cacciato dal mio liceo, ho perso un anno e ne
ho dovuti fare due in uno. Ma bene o male mi sono diplomato. Anche se con il
minimo dei voti. Politicamente? Anarchico puro. Un disordinato, divoratore di
letture della beat generation. Ero molto popolare in città. Un capo vero. A Salerno, nel mio piccolo, ero adorato, avevo legioni di fan.
Ai miei esami di maturità vennero ad assistere centinaia di persone. Avevo il massimo della visibilità, ero di moda, era facile avere tutte le donne che volevo. Come succede ai
fenomeni popolari, ai cantanti, agli attori. Mi laureai in Filosofia con 110 e
lode, prestissimo, al contrario di Giuliano Ferrara che credo non si sia
nemmeno laureato. Che c’entra Ferrara? C’È uno strano parallelismo fra noi. Entrambi abbiamo lavorato a giornali nati dopo
il 76, dopo i successi elettorali del Pci, lui Nuova Società, io Voce della Campania. Il suo era più ponderoso, più di riflessione. Il mio era più venduto. Il confronto È sempre a vantaggio mio, sul mercato. Il 68? Fu una stagione molto allegra, di
grandissimi rapporti umani»
• È stato in Servire il Popolo (il movimento maoista italiano di Aldo Brandirali): «Ero giovanissimo, ubriaco della felicità di vedere questo movimento studentesco che si sviluppava, preoccupato di
vederlo rifluire a causa dello spontaneismo. Bisognava fare il partito e c’era questo modellino pronto, Servire il Popolo, tutto incentrato sull’organizzazione e sul Libretto Rosso di Mao. Anche tra i maoisti ero considerato
un eterodosso. Le mie avventure sentimentali mi avevano fatto mantenere sempre
un certo legame con la borghesia. I maoisti mi consideravano con sufficienza. E
alla fine mi cacciarono»
• Il Pci: «Eterodosso anche lì, nella solita posizione scomoda. Un giorno, a un congresso, c’era anche Achille Occhetto, parlai ed ebbi un grosso successo, standing ovation
e cose del genere. Il giorno dopo fui trasferito da Salerno a Napoli. Nel Pci
di allora, se pensavi troppo con la tua testa, zac, te la tagliavano. Allora mi
inventai una occupazione: la comunicazione. Per gli altri era inutile e
sconosciuta. Riuscii a farla diventare importantissima. Poi cominciai a
lavorare per la Voce della Campania dove alla fine divenni direttore. Lo feci
diverso, senza rispetto per le istituzioni, aperto ai radicali, alla Napoli di
Lucio Amelio, all’arte contemporanea. La Napoli comunista legata all’esperienza del realismo scalpitava. Non piaceva che io intervistassi su sette
pagine Achille Bonito Oliva. O che recensissi Martone per primo in Italia.
Volevano che facessi servizi sulla pittura del sindaco Valenzi»
• La Rai: «Al Tg3 c’erano molti giovani interessanti: Giovanni Mantovani, Paola Spinelli, Paola
Sensini, un gruppetto di persone volute dal condirettore Curzi. Direttore era
Luca Di Schiena preoccupato di far passare recensioni di mostre di amici suoi,
nei dieci minuti dell’unica edizione. Però c’era anche un settimanale e io andai lì» • Mediaset: «Mi facevano sentire un re. A Mediaset coccolano le loro star, le vezzeggiano. È lo star system. In Rai nessuno coccola nessuno. Ero la prova della loro
indipendenza ed imparzialità. Detto questo, non sono un eversore. Non ho mai dato al mio lavoro in Mediaset
una interpretazione provocatoria nei confronti di Berlusconi» (da un’intervista di Claudio Sabelli Fioretti) • Fermo dal 2002 al 2006, epurato dagli uomini di Berlusconi (dopo il suo
cosiddetto “editto di Sofia”) insieme a Enzo Biagi e Daniele Luttazzi. Nel frattempo ha fatto il
parlamentare europeo, ma ha lasciato il seggio per partecipare a Rockpolitik (vedi CELENTANO Adriano). Intervento molto criticato anche da sinistra (da Lucia
Annunziata a Gianni Mura) perché «non si prendono in giro gli elettori mollando l’Europarlamento per poter apparire in uno spettacolo di canzonette. Se si È scelto, facendosi eleggere, l’impegno politico non si può venire in televisione a fare un discorso che può essere riassunto in quattro sole parole: “Rivoglio il mio microfono”» (Giorgio Dell’Arti)
• «Quando dico “rivendico il mio microfono” ribadisco che ogni autore dovrebbe avere il diritto di potersi esprimere
liberamente. È un principio di qualunque sana democrazia» • «Come Braccio di ferro con gli spinaci, si rinforza nello scontro e sulla strada
del martirio. Il partigiano Bella ciao sembra un uomo fatto di fuoco. E invece,
quando È fuori dal campo della lucetta rossa delle telecamere, diventa di ghiaccio.
Riesce a far convivere sinistra e destra, a passare da Rai a Mediaset, a far
digerire gli accenti da tribuno del popolo con abiti firmati da grandi
stilisti. Un uomo capace di demonizzare il Cavaliere e l’entourage di Arcore. Ma anche di aprire il ristorante Furore nel centro di Roma
(che poi ha chiuso) con l’armatore Mariano Pane e sua moglie Rita, molto vicini a Marcello Dell’Utri e Lino Jannuzzi. Inquisitore dei politici della Prima Repubblica, ma amico
fraterno di Gianni De Michelis. D’altra parte È stato lui stesso a dirlo: “Sono un uomo ambiguo”. Un grande negoziatore di contratti. Attento anche al centesimo. Capace di
mescolare nella discussione del suo stipendio cifre a sei zeri e grandi ideali.
A Mediaset ricordano ancora la determinazione nel definire il suo stipendio (si
parlò di un miliardo l’anno), i suoi fringe benefits, l’assunzione in blocco di tutta la squadra con compensi al massimo livello. Stessa
storia in Rai, quando tornò dopo l’esilio al Biscione dove non era riuscito a ripetere il successo che gli aveva
dato viale Mazzini. Al settimo piano della Rai raccontano di come riuscì a spuntarla su tutto (quasi le stesse condizioni di Mediaset) con uno tosto
come il direttore generale Pier Luigi Celli, formidabile tagliatore di costi,
tra l’altro nemmeno tra i fautori del suo ritorno. Un grande affabulatore. Che al
tempo della prima vittoria di Berlusconi nel 94, lui esponente principe di
Telekabul, riuscì subito a stringere un formidabile rapporto con Letizia Moratti, neo presidente
della tv pubblica. Così stretto da poter raccomandare alla lady di ferro Agostino Saccà, conosciuto al tempo del Tg3, e caduto in disgrazia con l’epurazione dei socialisti. Lui, Saccà e Maurizio Costanzo erano allora un terzetto inseparabile» (Primo Di Nicola e Denise Pardo)
• È tornato in tv il 14 settembre 2006, con un programma intitolato Anno zero. Per l’occasione s’È tinto i capelli di biondo. Ascolti normali, buone critiche (a parte Giuliano
Ferrara: «Mi sono addormentato dopo dieci minuti»).