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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MIELI Paolo Milano 25 febbraio 1949. Giornalista. Direttore del Corriere della Sera (dal dicembre 2004, e già dal 92 al 97)

MIELI Paolo Milano 25 febbraio 1949. Giornalista. Direttore del Corriere della Sera (dal dicembre 2004, e già dal 92 al 97). «Considero più elegante guardare la trave nel mio occhio, anche se l’avversario ha negli occhi una fabbrica di legname. Si chiama fair play, ma è anche un modo per essere credibili» • Laurea in Storia moderna con una tesi sul fascismo, è stato assistente alla cattedra di Storia dei partiti politici. Negli anni Settanta ha svolto un’intensa attività didattica, lavorando contemporaneamente come giornalista. Nel 67 è entrato all’Espresso come corrispondente per l’estero e commentatore politico, per poi diventare capo della redazione cultura. Nell’85 è passato a Repubblica. Editorialista della Stampa dall’86, nel 90 ne è diventato direttore • «Oggi il potere di un quotidiano o meglio del suo direttore, come potrebbe essere ad esempio Paolo Mieli, è molto più forte di quello di un grande manager, di un padrone o di un boiardo di Stato» (Francesco Micheli) • «Diciottenne a L’Espresso, a soli quarantun anni alla guida de La Stampa. Poi un’avventura di cinque anni al timone del Corriere della Sera, una serie di cariche societarie di rilievo sempre nel gruppo Rcs e anche la rinuncia a una presidenza: quella della Rai, per la quale era stato designato come figura di garanzia nel marzo 2003. Una gran carriera fuori e dentro — ma soprattutto dentro — i giornali, quella di Paolo Mieli e una passione mai messa da parte — la storia — che segna i suoi studi giovanili, un avvio di carriera universitaria e molti degli scritti anche di questi ultimi anni. è un figlio d’arte — suo padre Renato Mieli fu direttore de l’Unità e di Rinascita. Studia a un liceo di gran nome come il Tasso, milita in Potere operaio e prosegue gli studi alla Sapienza con due storici come Rosario Romeo e Renzo De Felice. Si laurea proprio con De Felice, di cui diviene poi assistente, con una tesi sul fascismo. Ma giovanissimo, mentre comincia l’università, imbocca anche la strada del giornalismo: lo fa a L’Espresso, allora sotto la direzione di Eugenio Scalfari, che passa presto la mano a Gianni Corbi e poi a Livio Zanetti. Al settimanale di via Po Mieli rimarrà per diciotto anni prima di passare a Repubblica e poi a La Stampa. E la Stampa sarà la sua prima direzione, retta dal maggio 90 al settembre 92. Una scommessa per il presidente della Fiat Giovanni Agnelli, affidare a un giornalista giovane, affiancato dal coetaneo Ezio Mauro, la guida del quotidiano. E una scommessa che Mieli vince, visto che proprio l’Avvocato lo vuole alla guida del Corriere della Sera dopo poco più di due anni di esperienza torinese. In via Solferino Mieli si insedia il 10 settembre del 92, all’inizio del periodo di Tangentopoli, con un editoriale di presentazione ai lettori in cui sottolinea la responsabilità di prendere “un’eredità preziosa in termini editoriali” e sottolinea come “l’autorevolezza di un grande quotidiano di informazione e il suo peso nella vita nazionale dipendono dalla capacità di far pervenire al Palazzo la voce del paese, di essere l’espressione fedele dell’opinione pubblica che in una società democratica rappresenta la difesa naturale contro ogni pericolo di arroganza dei centri di potere”. Una linea che avrà modo di ripetere più volte e nella quale si inserisce anche il famoso episodio della notizia pubblicata dal Corriere sull’avviso di garanzia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel giorno in cui Berlusconi presenzia all’apertura del G7 a Napoli. Fautore del “terzismo”, una posizione che lo vede in cerca di distanze da entrambi gli schieramenti politici, Mieli dichiara: “Se sei un guardiano devi continuare ad esserlo anche quando sono i tuoi a governare. Non è possibile usare un doppio peso, una doppia misura”. Una posizione che gli attira non poche critiche, specie da sinistra, e in particolare gli strali del suo ex direttore Scalfari. La prima direzione di Mieli al Corriere della Sera finisce nel maggio 97, quando assume la carica di direttore editoriale di Rcs. Da quel momento ha posizioni di rilievo nel gruppo fino ad assumerne la vicepresidenza, pur non perdendo mai il contatto con il giornalismo: prima con le pagine nella sezione Società e Cultura de La Stampa, poi con le risposte alla posta dei lettori — nello spazio che era occupato dalla Stanza di Indro Montanelli — sul Corriere. Da queste esperienze arrivano anche libri di successo come La goccia cinese, Risorgimento, fascismo e comunismo, Diario di un anno tra storia e presente. Numerosi anche i riconoscimenti che Mieli ha ricevuto nella sua carriera, dal Premio Saint-Vincent a quello Ischia, al Premio Pannunzio» (La Stampa) • «Oggi Scalfari riconosce al suo vecchio allievo di avere trasferito la lezione di Repubblica al quotidiano milanese. Di avervi introdotto la maggiore invenzione stilistica di Scalfari, la “settimanalizzazione”. Gianni Agnelli l’aveva definita più icasticamente: “Mieli ha messo la minigonna a una vecchia signora”. Cioè aveva inventato il “mielismo”. Termine che non gli piace: “è stato usato per mettere alla berlina il mio stile, esagerandone i tratti, a partire dalla sdolcinatura del cognome che porto”. Lui lo chiama “metodo Mieli”. Filippo Ceccarelli ne ha dato una definizione memorabile, che cominciava così: “Inconfondibile miscela di spirito alto e materia bassa”, e si concludeva citando il gusto per il gossip e il mielistico “spargimento di polpettine di zizzania” fra intellettuali e politici. Dove ancora oggi, passate le tempeste, Scalfari e il suo ex allievo non vanno per nulla d’accordo è sul concetto di “terzismo”, coniato da Mieli per definire chi non si schiera politicamente da una parte o dall’altra, ma è disposto ad ascoltare le ragioni degli altri. Per Scalfari tutto questo è figlio del cerchiobottismo: “Assai labile mi appare il confine tra terzismo, opportunismo e trasformismo”. Eppure il vecchio pupillo, figlio del comunista apostata Renato Mieli, non si era tirato indietro nei momenti cruciali della politica italiana. Se Scalfari aveva accolto la discesa in campo di Berlusconi, nel gennaio del 94, titolando beffardamente sul “ragazzo Coccodè”, poco prima delle elezioni del 96, insediato sulla massima poltrona di via Solferino, Mieli si era espresso con franchezza: “Val la pena di dire subito il più chiaro possibile quel che pensiamo noi: noi non ci auguriamo la vittoria del Polo se, come sembra, questo sarà guidato da Silvio Berlusconi e questi si candiderà a tornare a Palazzo Chigi. Inutile far giri di parole: come questo giornale non si è stancato di ripetere dall’inizio del 94, Berlusconi non può fare il presidente del Consiglio”» (Edmondo Berselli) • Il 7 marzo 2003 è stato designato alla presidenza della Rai. Prima di accettare ha fatto sapere che avrebbe riportato in video Biagi e Santoro, che avrebbe sostituito il direttore generale Saccà (in quota An) con Francesco Mengozzi o Claudio Cappon, che avrebbe preteso per sé lo stesso stipendio che percepiva in Rcs, cioè 700 mila euro l’anno. Il 12 marzo — constatato che a tutt’e tre le richieste il governo rispondeva di no — ha rinunciato all’incarico, lasciando via libera alla nomina di Lucia Annunziata • Richiamato alla direzione del Corriere della Sera nel dicembre 2004, ha governato l’introduzione del colore in tutte le pagine e il cambio di formato (luglio 2005). L’11 marzo 2006, a due mesi dalle elezioni politiche, ha schierato pubblicamente il giornale dalla parte di Prodi e contro Berlusconi e la Lega, al punto di augurarsi, all’interno di una sconfitta del centrodestra, una crescita però dei partiti «guidati da Gianfranco Casini e Pier Ferdinando Casini», cioè An e Udc. A causa di questo endorsement (parola venuta di moda in quell’occasione e che significa “appoggio”), il giornale avrebbe perso fra le 30 e le 50 mila copie (cifre non ufficiali) • Interista.