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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

TARDELLI

Marco Capanne di Careggine (Lucca) 24 settembre 1954. Ex calciatore. Con la Juventus
ha vinto cinque scudetti (77, 78, 81, 82, 84) una coppa Uefa (77), una coppa
delle Coppe (84), una coppa dei Campioni (85), con la Nazionale è stato campione del mondo nell’82 (in tutto 81 presenze e 6 gol). 15° nella classifica del Pallone d’Oro 82. Ha finito la carriera italiana nell’Inter (poi ha giocato in Svizzera, nel San Gallo). Da allenatore ha guidato la
Nazionale under 21 alla conquista del titolo europeo 2000, non ha avuto invece
fortuna sulla panchina dell’Inter. Dal 2006 consigliere d’amministrazione della Juve
• «Il giocatore più universale che il calcio italiano abbia mai espresso. Celebra il gol ai
tedeschi nella finale di Madrid consegnando alla storia il leggendario “urlo”. Si fa le ossa nel Pisa, poi passa al Como. La Juventus lo sfila all’Inter nel 75. Terzino sino all’intuizione di Trapattoni che lo avanza al ruolo di mezz’ala. Lo chiamano “Schizzo”: è un fascio di nervi, un Fregoli del calcio, capacissimo di neutralizzare Keegan
e di fare gol. Un purosangue. Ha accelerazioni superbe, recuperi straordinari.
Con Furino e Benetti, cementa il centrocampo juventino. Calciatore totale in
tutti i sensi, avrebbe fatto la sua figura nell’Ajax di Johann Cruijff» (La Stampa)
• «A 28 anni ha conquistato il mondo con un gol da urlo ma soprattutto con un urlo
dopo il gol. Suo padre era un operaio cattolico e democristiano, in prima fila
contro le ingiustizie... “Senza contraddizioni, del resto Gesù Cristo non ha predicato l’uguaglianza? Nella mia famiglia c’erano le idee più diverse, io servivo messa e avevo un fratello seminarista e uno di Lotta
continua”» (Roberto Perrone) • «Avevo, ho, un fratello, che era bravissimo a giocare al calcio. Più bravo di me. Ma non aveva tanta voglia, non ha mai voluto diventare un
giocatore quanto l’ho voluto io. Certo, io sognavo di arrivare a giocare nel Pisa, nient’altro, quello sarebbe stato il più grande successo: scendere in campo con la squadra della mia città» • «Io vengo dal calcio dell’oratorio e dall’Italia contadina, rubavo il pallone all’avversario e le susine dagli alberi del vicino. Il calcio per me era tutto.
Anche se ho dovuto faticare per farlo capire in casa: ero magrolino, sudavo
sempre, e mia madre, preoccupata, mi nascondeva le scarpe da gioco. Poi, un
giorno, la professoressa di matematica le spiegò che non ero fatto per studiare, che non ne avevo voglia, anche se il diploma da
geometra alla fine l’ho preso, e che insomma, era meglio lasciarmi fare altro. Solo allora lei si è convinta» (da un’intervista di Cesare Fiumi)
• «Nei momenti più duri ho sempre pensato a mio padre, che ogni mattina si svegliava alle sei per
andare a lavorare, che non aveva mai visto una partita di calcio, che ha
buttato via la mia prima maglia, tanto poco gli importava che io giocassi» • «Appena smisi di giocare andai alla posta a pagare delle bollette telefoniche.
Prego, signor Tardelli da questa parte, mi dissero. Volevano farmi una
gentilezza, farmi passare avanti. Ma io volevo fare la fila, provare ad essere
uno qualunque» (da un’intervista di Emanuela Audisio) • Duro attacco del Milan nel luglio 2006: avendo lamentato la mano troppo leggera
del giudice verso Galliani (sentenza dopo lo scandalo Moggi), il Milan lo definì, tra l’altro, “piccolo uomo” • Due figli, Sara e Nicola. Alle spalle una lunga storia con la giornalista Stella
Pende.