Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
FLORES D’ARCAIS
Paolo Cervignano del Friuli (Udine) 11 luglio 1944. Politologo. Direttore di Micromega. Leader del
cosiddetto “partito giustizialista” ossia di un gruppo di intellettuali e uomini politici che individua nella
questione morale e nell’applicazione inflessibile del principio di legalità i momenti chiave della rigenerazione del Paese. L’epoca di Tangentopoli come primo, non completato passo in quella direzione. I
magistrati come depositari assoluti del Bene pubblico • Pizzicato dagli avversari politici perché fa l’estremista di sinistra e appartiene a una famiglia di sangue blu (i Flores erano
marchesi) • «Nelle polemiche ci sguazza. Sono il sale della vita politica e culturale. Una
volta Bettino Craxi lo insultò pesantemente: “Paolo Flores D’Arcais è uno stronzo. Anzi, mi correggo: è due volte stronzo. E adesso vediamo se mi querela”. Flores D’Arcais non lo querelò: “Craxi visse la mia rottura come un tradimento. Pensava che avendo io accettato
di fare Mondoperaio avessi fatto una specie di patto di sangue con lui”. Prima comunista, poi gruppettaro, poi socialista» (Claudio Sabelli Fioretti)
• «I miei valori, giustizia, libertà e metodo della trasparenza sono sempre rimasti gli stessi. Io credo al dovere
della ingenuità: dare credito ai politici quando promettono qualche cosa. E lasciarli quando
tradiscono. Nel Pci ero entrato giovanissimo, all’università, Filosofia. Diventai segretario del circolo universitario comunista, feci due
settimane alla scuola di partito Marabini a Bologna. C’era molto fermento nella Fgci di allora. Frequentavamo la parte più viva del movimento giovanile comunista mondiale, come Krivine e Weber che
sarebbero stati i dirigenti dell’ala trotzkista durante il Maggio francese. Nel circolo universitario io
accentuai la fronda già tradizionale che divenne opposizione, critica della linea di partito da
posizioni di sinistra libertarie, utilizzando ideologie interne alla storia del
movimento operaio, da Rosa Luxemburg a Trotzkij, al Gramsci dei
Consigli Operai. Poi scrissi un articolo su Rinascita, firmato anche da Renato Nicolini, che
cominciava: “Siamo in dissenso con le tesi del congresso”. Violava tutte le regole non scritte del centralismo democratico. La risposta
durissima di Pavolini ci trattava da provocatori. Poi diffondemmo il documento
di Kuron e Modzelewski, i dissidenti polacchi. Infine il congresso dell’Ugi, la sinistra universitaria, nel 67. Con i brogli di Petruccioli. Relatore
per l’espulsione fu Renato Nicolini, che era stato a lungo sulle mie posizioni. La
logica classica del Pci era che ti doveva accusare uno che era stato dissidente
e che poi ci aveva ripensato. Ma dalla Fgci non riuscirono a cacciarmi. La
pensavano in maggioranza come me. Allora mi cacciarono dal Pci, dalla sezione
Balduina. Votarono per la mia espulsione anche quelli che un anno dopo avrebbe
dato vita al manifesto»
• «L’editore Massimo Pini mi portò a conoscere Bettino Craxi. L’incontro fu semplice. Io dissi: “Voi avete questo progetto socialista, nenniani e lombardiani, ma perché oltre a lanciare questo progetto i socialisti rubano?”. Mi fu proposto di organizzare un centro culturale, Mondoperaio, mi furono date
garanzie di autonomia. Craxi e Martelli mi dissero: la nostra politica è quella degli intellettuali disorganici. Nell’80, quando Craxi divenne craxiano, io scrissi sull’Europeo un articolo intitolato “Dal progetto alle poltrone”. Il giorno dopo venivo cacciato da Mondoperaio. Per continuare a essere critico
nei confronti del Pci e della Dc non restava che mettermi in proprio, con una
rivista tutta mia. è nata così Micromega» (che è finanziata dal gruppo Espresso)
• Nel gennaio 2006 ha sostenuto che «l’elettorato di centrosinistra è moralmente di gran lunga superiore a quello di centrodestra».