Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GIBILISCO
Giuseppe Siracusa 5 gennaio 1979. Saltatore con l’asta. Medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene (2004). Campione del mondo
2003. Primatista italiano (5,90 m a Parigi il 28 agosto 2003) • «Aveva da poco compiuto 18 anni quando, nel 1997, scelse di trasferirsi a Formia
ripercorrendo il cammino di un altro grande atleta meridionale, il pugliese
Pietro Paolo Mennea da Barletta. Lui, Giuseppe Gibilisco, siciliano della bella
Siracusa, seguì l’ispirazione spinto dalla determinazione ereditata dal padre Carmelo, carpentiere
che usciva all’alba di casa per fare ritorno a notte fonda, svuotato di ogni energia dal duro
lavoro ma consapevole di aver fatto fino in fondo, e senz’altro anche qualcosa di più, il proprio dovere. L’esempio paterno ha insegnato a Beppe la caparbia risolutezza che occorre quando
si vogliono raggiungere precisi obiettivi, nonostante i timori della madre che
tremava al solo pensiero di quel figlio che, dello sport e dell’atletica, aveva scelto una delle specialità più pericolose, quel farsi catapultare verso il cielo da un’asta flessibile, poi volteggiare sopra un’asticella e tornare a terra finendo sui sacconi che, pur attutendo la caduta,
non sono certo un letto di piume. Ammesso che al giovane Gibilisco, già a 16 anni campione italiano e primatista (con 5,05) della categoria allievi,
occorresse una motivazione in più per continuare a librarsi nell’aria secondo i dettami impartitigli dal suo primo maestro, Silvio Lentini, anche
lui ex astista, a convincerlo che valeva la pena coltivare il sogno di essere
un giorno qualcuno nell’atletica, ci pensò Vitaly Petrov, il mentore di Sergei Bubka, che dopo aver visto un filmato del
ragazzo e averne valutato da esperto le qualità, gli propose di trasferirsi a Formia dove avrebbe potuto seguirlo con continuità. La maturazione fu rapida, i risultati non tardarono anche se gli Europei
juniores di Lubiana 97 furono un fallimento. Pur tra i favoriti, Beppe mise
insieme 3 “nulli” alla misura d’entrata. Ma l’anno successivo si sarebbe rifatto con il bronzo ai Mondiali Under 20 di Annecy,
cui seguì un altro 3º posto agli Europei Under 23 del 2001 ad Amsterdam, mentre a livello assoluto fu
decimo ai Giochi di Sydney (2000) e agli Europei di Monaco (2002) e quindi
ottavo ai Mondiali indoor di Birmingham nel marzo 2003» (La Stampa)
• «“A dieci anni mio padre mi ha comprato un motorino da cross. Ci andavo matto. Ma
allora già guidavo anche la macchina di papà. Andavo in giro per i vicoli intorno a casa mia. Mi inseguivano le urla della
mamma. Sì, ero un piccolo fenomeno. Mio padre aveva anche uno di quei muletti per
scaricare il materiale edile. Io, a dieci anni o poco più, lo sapevo usare. Ero uno scricciolo, un cosino su quel mezzo grande,
massiccio, ma lo sapevo comandare”. Un fatto è certo: a 14 anni era un abile truccatore di motorini. Un meccanico geniale. “A Siracusa c’è una pista motociclistica allora in disuso. Avevamo aperto un varco nel muro di
cinta e andavamo a fare le nostre corse. Ricordo che una volta lavorai a lungo
per mettere a punto il cinquantino che mi aveva prestato un amico, ero
orgoglioso perché poteva filare fino a 120 all’ora. L’appuntamento era per il mattino presto. Alle sei uscii dal garage, dopo avere
lavorato. Avevo ancora addosso la tuta blu, le mani sporche di grasso. Ma sulla
strada fui fermato da una pattuglia della Polstrada. Non avevo documenti. Mi
portarono a casa. Mia madre mi vide arrivare accompagnato dai poliziotti.
Sbiancò. Gli agenti spiegarono. Poi mi presero da parte e mi dissero: ‘Non ti diamo la multa, perché la pagherebbe tua madre e non è giusto. Non sequestriamo il motorino perché non è il tuo, ma adesso ti curiamo. Stai accorto’. Fu una grande lezione di vita”. Non è diventato pilota di moto solo perché non aveva soldi. Così, visto che aveva l’argento vivo addosso, cominciò a frequentare il campo sportivo» (Gianni Merlo).