Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
ARPE Matteo Milano 3 novembre 1964. Banchiere. Amministratore delegato di Capitalia (dal luglio 2003) • «Il più giovane banchiere italiano mai arrivato al timone di un grande colosso del credito
ARPE Matteo Milano 3 novembre 1964. Banchiere. Amministratore delegato di Capitalia (dal luglio 2003) • «Il più giovane banchiere italiano mai arrivato al timone di un grande colosso del credito. Si è laureato in Economia aziendale alla Bocconi nel 1987 per entrare immediatamente in Mediobanca, dove da capo dell’area finanza ha seguito, tra l’altro, la “madre di tutte le Opa”, la scalata a Telecom di Roberto Colaninno. Lasciata Piazzetta Cuccia nel 2000, è diventato membro del comitato esecutivo del gruppo Lehman Brothers con la responsabilità dell’attività di strategic equity. Ma nell’ottobre 2001 è tornato in Italia, diventando prima amministratore delegato e direttore generale del Mediocredito Centrale (oggi Mcc) e poi (il 16 maggio 2002) direttore generale di Capitalia, la Holding di controllo di tutto il gruppo messo insieme da Geronzi, operativa dal 1 luglio 2002» (Fabio Massimo Signoretti) • Secondo il Financial Times è un misto tra uno «sfacciato banchiere della City ed uno scaltro dirigente di Mediobanca» • «è un rottweiler. Guai a incontrarlo come avversario sul proprio cammino. Chi lo ha incrociato, sa che con Arpe è difficile spuntarla, soprattutto quando si tratta di affari. Prende di petto l’antagonista e non molla la presa. Finché quello non ha scampo. E lui può celebrare con la sua frase preferita: “The game is over”, il gioco è chiuso. Lo stile muscolare di Arpe ha creato a volte qualche imbarazzo. Come quando, dopo il collocamento di Astaldi in Borsa, lui voleva per il Mediocredito tutte le commissioni, lasciando a secco gli altri global coordinators Interbanca e Commerzbank. Poco mancò che si arrivasse alle mani. E Astaldi dovette riconoscere un’extra-ricompensa per la banca di Matteo. L’abitudine a non darla vinta l’ha avuta da sempre. Quando era al liceo, lo scientifico Paolo Frisi di Monza, in terza fu rimandato a settembre con un cinque in italiano. Preferì non presentarsi all’esame di riparazione e recuperò l’anno in una scuola privata. A Lehman, dicono le male lingue, qualcuno dopo la sua uscita brindò. Ma Arpe aveva un altro sodalizio da utilizzare. Cesare Geronzi era suo estimatore dai tempi di Cuccia, e lo portò a Roma. Lui lascia moglie e due figli nella villa di Monza per la sua prima destinazione, la palazzina del Mediocredito: fa subito costruire una palestra e si mette al lavoro. E poiché al suo talento non è mancato anche un bel pizzico di fortuna, Matteo si ritrova presto sulla sua strada un altro protettore, Giorgio Brambilla, amministratore delegato della Banca di Roma. Brambilla era una conoscenza di famiglia e di vacanze: passate da tutti a Bonassola, in Liguria. Il banchiere più navigato prende sotto l’ala il giovanotto e lo porta sotto di sé, alla direzione generale. Arpe è un vulcano di attività. Quando Brambilla muore, la strada è spianata per prendere il suo posto. Manca solo il colpo finale: mettere insieme il patto di sindacato che dia a Geronzi la sicurezza di continuare a governare alla presidenza. Lui si dà da fare. Alfio Marchini è suo amico (sodale di calcetto e pizze insieme agli altri due moschettieri, Nino Tronchetti e un rampollo Colaiacovo, cementieri in quel di Gubbio), e non si tira indietro. Poi c’è Pierluigi Toti, ancora Colaninno... Il gioco è fatto. E Arpe diventa l’amministratore delegato di banca più giovane d’Italia. Ma, ambizioso com’è, non si fermerà qui» (Paola Pilati) • Tra i suoi grandi rivali il direttore generale di Mediobanca Alberto Nagel: «Sono nati nello stesso vaso e cresciuti nella stessa terra. Si sono formati alla scuola di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi. Laureati in Bocconi con il massimo dei voti, sono quasi coetanei visto che Arpe è nato nel novembre del 1964 e Nagel nel giugno del 1965. Arpe è entrato in Mediobanca immediatamente dopo la laurea, nel 1987, Nagel quattro anni dopo. La maggiore anzianità di servizio, e soprattutto la stima di Enrico Cuccia che lo considerava suo pupillo, rendevano l’attuale amministratore delegato di Capitalia il predestinato, quello che avrebbe affiancato Vincenzo Maranghi. Non è andata così. Nel 1999 Arpe, già in odore di eresia per il suo atteggiamento molto critico nei confronti del capitalismo famigliare, compie peccato mortale. Forte dei 200 miliardi di lire fatti guadagnare alla società grazie alla consulenza prestata alla razza padana nell’opa Telecom (è nella sua stanza che si contano le adesioni all’offerta di Roberto Colaninno e si festeggia), chiede un avanzamento di grado. Per Maranghi, abituato a dare le promozioni senza che queste venissero richieste, si tratta di un gesto inconcepibile. Su questo rompono. Fu Nagel a diventare direttore generale. La poca simpatia dell’uno è ricambiata dall’altro: Nagel giudica un po’ eccessiva la cura di Arpe per se stesso. Ma tolte queste contrapposizioni, frutto di vecchie ruggini e di un differente modo di vedere la vita, rimane il fatto che i due hanno più punti di contatto che differenze» (Il Foglio) • «Fuori dalla politica. Qualche tempo fa è arrivato addirittura a spedire una garbata lettera di contestazione a Panorama che lo aveva inserito in un elenco di banchieri attribuendogli sostanzialmente l’etichetta di bipartisan. Nemmeno quella» (Francesco Manacorda).