Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
GAMBA Sandro Milano 3 giugno 1932. Ex giocatore di basket. Allenatore. Nel 2006 è entrato nella Hall of Fame (terzo italiano dopo Rubini e Meneghin) • Da giocatore (Olimpia Milano) ha vinto 10 scudetti; come assistente di Rubini, ne ha vinti 3, oltre alla prima coppa dei Campioni italiana (66) e a due coppe delle Coppe (71 e 72)
GAMBA Sandro Milano 3 giugno 1932. Ex giocatore di basket. Allenatore. Nel 2006 è entrato nella Hall of Fame (terzo italiano dopo Rubini e Meneghin) • Da giocatore (Olimpia Milano) ha vinto 10 scudetti; come assistente di Rubini, ne ha vinti 3, oltre alla prima coppa dei Campioni italiana (66) e a due coppe delle Coppe (71 e 72). Ha costruito però il suo mito di allenatore di club, un duro della panchina, alla Ignis Varese (dal 73 al 77): 2 scudetti e 2 coppe dei Campioni. Ha anche allenato a Torino e la Virtus Bologna. Con la Nazionale ha vinto l’Europeo 83 e la medaglia d’argento alle Olimpiadi dell’80 • «Da una pallottola vagante che gli ferì la mano nella Milano ormai liberata nell’aprile del 45 all’elezione nella Hall of Fame di Springfield, massimo onore mondiale per un cestista: la carriera di Sandro Gamba, iniziata per caso, per rieducare la mano di un ragazzino ammalato di ciclismo, ha trovato l’epilogo più glorioso. Gamba è stato eletto come allenatore, anche se la sua carriera in campo, culminata con l’Olimpiade di Roma, non è stata trascurabile: solo Dino Meneghin ha vinto più scudetti di lui, Pieri e Riminucci. Ma erano altri tempi. Tra i grandi nomi del basket, è entrato come allenatore: è il coach che ha vinto di più alla guida della Nazionale italiana (4 medaglie), il primo ad aver portato gli azzurri al titolo continentale e a conquistare una medaglia all’Olimpiade. Ma agli americani interessa ancora poco quanto grande uno sia stato nel basket internazionale. La differenza, in questo caso, è che Sandro Gamba sia un tecnico conosciuto e stimato anche negli Stati Uniti. è amico di Bobby Knight, di Lou Carnesecca, di grandi santoni con i quali, dagli anni Sessanta, ha tessuto una serie di contatti che sono risultati decisivi per l’affermazione e la modernizzazione tecnica del basket italiano. Esperto di jazz, cultore del mito di Fausto Coppi, ha vissuto il periodo più alto della carriera negli anni Ottanta, assieme a un assistente di prestigio come Riccardo Sales, non solo per l’argento di Mosca e l’oro di Nantes ma, anche, per le intuizioni (l’utilizzo di Sacchetti in azzurro, ad esempio) e il fatto che la sua Italia fosse una squadra che faceva tendenza. Molti nostri giochi erano nei “playbook” di tanti allenatori» (Luca Chiabotti) • «Il 25 aprile 1945: la Liberazione. Mi beccai una raffica di mitra alla mano destra. I medici dissero: “Va amputata”. I miei genitori replicarono: “Non se ne parla”. Il 1 agosto la Borletti iniziava una leva: mi presentai. Il basket mi permise di recuperare. Non solo: imparai ad essere ambidestro. Si giocava in condizioni infami: ricordo che il mio debutto in serie A avvenne a Ravenna su un campo in terra, dove c’era il mercato dei cavalli. Ma tra polvere e buche, si imparava a trattare la palla divinamente. Quando gli americani se ne andarono e portarono via i cesti da via Washington, noi tracciammo due circonferenze per terra, alle estremità del campo. Per segnare, occorreva tirare in alto e fare sì che la palla cadesse nel cerchio... L’argento olimpico a Mosca. Eliminammo l’Urss in semifinale e l’impresa fu poi ricordata dallo speaker del Madison Square Garden: “Ecco Gamba, l’uomo che ha battuto i sovietici a casa loro”. E il segretario del Pci, Berlinguer, mi mandò un telegramma di complimenti: buffo, no? L’Europeo dell’81. Travolti dalla pressione. Ma dagli errori, s’impara: due anni dopo vincemmo noi. Il colpo di genio? La marcatura di Yelverton su Brabender nella finale della coppa dei Campioni del 75: Charlie nascose la palla al fuoriclasse del Real, la Ignis vinse. Una volta Meneghin uscì dal campo applaudendo e dicendo: “Toglimi, sì toglimi, bravo pirla”. In spogliatoio gli spiegai, a muso duro, che si faceva come dicevo io. Conquistai la stima di Dino perché avevo parlato davanti a tutti» (Flavio Vanetti).