Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
PREVITI
Cesare Reggio Calabria 21 ottobre 1934. Politico. Deputato (dal 96, nel 94 era stato
eletto al Senato). Di Forza Italia. Avvocato, già vicepresidente della Fininvest, è stato ministro della Difesa nel Berlusconi I. Condanna definitiva a sei anni
per corruzione in atti giudiziari (una tangente di 67 miliardi per la vicenda
Imi-Sir), a maggio 2006 ha trascorso cinque giorni a Rebibbia (scarcerato in
virtù della ex Cirielli: arresti domiciliari a chi ha più di 70 anni)
• «I fatti sono noti, ma vale la pena di riassumerli nella loro essenzialità. Previti era stato condannato a pesanti pene detentive dal Tribunale e dalla
Corte di Appello di Milano per un grave episodio di corruzione in atti
giudiziari: la corruzione del giudice Metta del Tribunale di Roma per favorire
la Sir degli eredi Rovelli in una rilevante vertenza giudiziaria con l’Imi. Era stato assolto, in un altro processo, dalla Corte di Appello di Milano
per un episodio di asserita corruzione dello stesso giudice Metta, concernente,
questa volta, la vicenda giudiziaria relativa al cosiddetto lodo Mondadori:
vicenda che aveva consegnato a una delle società di Silvio Berlusconi una delle più importanti case editrici del Paese a danno della Cir di Carlo De Benedetti. La
Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il caso Imi-Sir, rifiutando a
Previti anche la concessione delle circostanze attenuanti generiche che
avrebbero potuto aprirgli la strada della prescrizione. Ha annullato con rinvio
ad altra sezione della Corte di Appello di Milano l’assoluzione per il caso relativo al lodo Mondadori. Una doppia decisione che da
un lato ha suggellato in termini di definitività la condanna per un episodio (vicenda Imi-Sir) che era stato considerato dai
giudici che avevano emesso la sentenza di primo grado “la più grande corruzione della storia”; che ha dall’altro riaperto la vicenda per la quale vi era stata assoluzione di secondo
grado, ordinando che si ripeta il giudizio di appello sulle tangenti che i
pubblici ministeri di Milano sostenevano essere state pagate a Metta con i
soldi di Fininvest, per il tramite di alcuni avvocati fra i quali Previti, nell’interesse di Berlusconi» (Carlo Federico Grosso)
• «Le aragoste nella vasca, come l’imperatore Tiberio. La Jaguar verde, lo studio foderato in pelle, l’armadio elettronico con i vestiti che ruotano. Il gran colpo della villa dei
poveri Casati ad Arcore. Le crociere sul brigantino d’epoca “Barbarossa” e le magliette a strisce fatte indossare agli ospiti di riguardo. Gli occhiali
scuri: “Faremo piazza pulita”. E poi, se non si fosse capito bene: “Non faremo prigionieri”. Sempre un po’ esagerato, Cesare Previti. Dopo tutto il suo angolo visuale era quello che era.
Il tribunale di Roma, con le sue inevitabili disfunzioni e magagne. Il circolo
Canottieri Lazio, con il socio Fifì che per fare lo spiritoso rivelò al Messaggero di accogliere il suo presidente al grido, decisamente sadomaso: “Calpestami, presidè, sarò il tuo tappetino”. Si scherzava e si rideva, negli spogliatoi del calcetto, o al bagno turco. E
poi? Beh, c’era la collezione dei soldatini: da fare invidia, per certi pezzi, a Franco
Evangelisti e a Peppino Ciarrapico. Quindi la torre all’Argentario, il dissalatore, la piscina riscaldata, e quella “scala segreta che conduce al Paradiso”. Lo scrivevano le riviste illustrate, con sinottica traduzione inglese. Qui “la proverbiale grinta di Cesare si diluisce e addolcisce” (it eases off and softens). La piaggeria dei giornalisti, naturalmente. Quella
non manca mai davanti al potere e ai soldi. Ma alla lunga dispensa gocce di
arsenico a chi l’asseconda, e se ne compiace: “Sì, effettivamente ho giocato a pallanuoto e ancora oggi mi tuffo e gioco...”. L’euforia dei comizi. Uno lo preparò Ambra Orfei: “Appena entra in scena l’onorevole — così catechizzava il pubblico — accoglietelo con un grande boato”. Gli inviti ai talk-show, il controllo di Forza Italia, la poltrona di
ministro, militari che scattavano, facevano il saluto, portavano armi e
sventolavano bandiere. Disse allora Cesare Previti per spiegare come mai: “Mi si offriva l’opportunità di mettere al servizio delle istituzioni, avvilite da anni di malgoverno, il
mio bagaglio di esperienze professionali e la mia voglia di contribuire a un
nuovo miracolo italiano”» (Filippo Ceccarelli)
• «La terrificante pagina del Foglio, uscita la mattina del 2 ottobre 2002, e
titolata “Gli affari del signor Cesare”, conteneva sei commenti. Quello di Oscar Giannino: “Anche Cicerone fece assolvere il corrotto Lucio Licinio Murone. Ma così salvò la Repubblica”; non propongo l’accostamento, scriveva Giannino accostando. Quello di Giampiero Mughini: “Il suo ghigno non può essere il volto di un intero partito”; il pezzo cominciava così: “Vale la pena morire per Cesare Previti?”. Quello di Filippo Facci: “Veda di farsi assolvere, vinca anche per noi e poi si tolga di mezzo. Ci lasci
fare i giornalisti”. Facci, amico di Bettino Craxi e avversario fierissimo del pool milanese e di
Antonio Di Pietro, scrisse: “Lo diciamo con parole sue, visto che dopo dieci anni di garantismo siamo qui a
meriggiare attorno alle parole per dirlo: negli anni Novanta non abbiamo fatto
tutto questo casino per vendere infine il culo a Cesare Previti”. Fra i tanti, Previti ha avuto un problema in più: piace poco anche a destra, poco anche ai nemici della giustizia militante.
Nell’occasione, in quell’ottobre del 2002, durante un dibattimento e per difendersi dall’accusa di corruzione, Previti aveva confessato una ciclopica evasione fiscale.
Su Libero, il direttore Vittorio Feltri scrisse: “è inammissibile per uno che è stato ministro aver ricoverato in Svizzera venti miliardi dribblando il fisco”. E Angelo Panebianco, politologo non acrimonioso col centrodestra, sul Corriere
della Sera invitò Previti alle dimissioni» (Mattia Feltri).