Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
VALLANZASCA
Renato Milano 4 maggio 1950. Ex bandito. Celebre per le evasioni e per il successo con
le donne • Nato da Marie, dalla quale prende il cognome, e da Osvaldo. Il primo arresto, a
otto anni, non è per furto ma per aver liberato gli animali di un circo. A 21 anni è già un ladro affermato e pieno di soldi. Vive con Consuelo in un appartamento di 13
stanze. Il 14 febbraio 72 la rapina organizzata dalla sua banda (detta della
Comasina) in un supermercato a Milano lo porta in galera, dove rimane quattro
anni e mezzo partecipando a numerose rivolte. Sempre nel 72, mentre è in carcere, nasce suo figlio Massimiliano. Il 28 luglio 76 evade, complice un
agente, dall’ospedale dove si era fatto ricoverare procurandosi un’epatite con «iniezioni di urina (la mia) nel sangue e una cura di uova marce». Il 23 ottobre 76 viene accusato di aver ucciso un poliziotto a un posto di
blocco nei pressi di Montecatini. La sua banda si sposta al Sud e uccide
ancora: il 13 novembre ad Andria muore l’impiegato di una banca con seguito di sparatorie, morti e feriti. Tra le vittime
un medico, un vigile urbano e tre poliziotti. Il 13 dicembre 76 passa ai
sequestri: la prescelta è Emanuela Trapani, rilasciata il 22 gennaio 77 dopo il pagamento di un miliardo.
Vallanzasca medita di rapire ricchi industriali, tra cui Silvio Berlusconi. La
latitanza romana si conclude il 15 febbraio 77: i carabinieri lo arrestano e lo
trovano ferito. Il 14 luglio 79 sposa nel carcere di Rebibbia Giuliana Brusa.
Divorzierà nel 90. Il 28 aprile 80 evade da San Vittore e viene subito ricatturato. Il 20
marzo 81, nel carcere di Novara, durante una rivolta, taglia la testa a un
ragazzo di vent’anni, Massimo Loi, con cui gioca a pallone. Il 18 luglio 87 fugge dalla nave che
lo sta portando all’Asinara. Da Genova raggiunge Milano a piedi. Il 7 agosto viene catturato a
Grado. Il 31 dicembre 95 tenta, invano, la fuga dal carcere di Nuoro. Dal 97 è nel carcere di Novara
• «Quattro ergastoli gli hanno dato. Non ha smesso un attimo di pensare alla fuga.
Arrivato a Novara ha gettato la spugna» (Pier Mario Fasanotti) • «Mai fottuto un compagno, mai scopato la donna dell’amico. Ho cominciato da bambino, rubando le figurine Panini. E ho continuato
finché non mi hanno ingabbiato. E sono uscito e ho ricominciato. è stato il mio lavoro, l’unico che sapessi e volessi fare. Io non sono una vittima della società. Tanti ragazzi sì, ma io no. Rubare mi è sempre piaciuto. Ero gentile, educato, facevo il baciamano. Loro mi pagavano il
gelato. Rubavo la roba, la stivavo in un magazzino e poi la davo via gratis
alle massaie. Avevo nove anni. Tanti uomini mi hanno fregato, nella vita, ma
nessuna donna. Dopo la fuga dalla nave ho contattato 30 persone, ma solo cinque
mi hanno aiutato. Tutte donne. Loro hanno sentimenti, sono più vere. Io mi sento molto donna. Mi mandavano fotografie pazzesche: con me
vivevano fantasie inconfessabili al partner o al marito. Per loro ero una
specie di “puttano virtuale”. Ad alcune di loro dicevo: certe cose falle con tuo marito. No, rispondevano,
le farei solo con te. Molte sono le cose che non rifarei, soprattutto quelle
che, direttamente o indirettamente, hanno coinvolto persone che non c’entravano nulla, che non erano lì per morire. Non intendo poliziotti: io non ho mai sparato per primo e per il
mio codice sono a posto. Parlo dei morti civili. E sono morti che pesano. Come
quel medico ucciso durante una rapina: al processo non riuscivo a guardare in
faccia la vedova, anche se non ero stato io materialmente a sparare. Mi sono
accorto che il dolore degli altri era uguale al mio. Per la morte dei
disgraziati che si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato, non
do la colpa al caso ma me l’accollo totalmente: quando ho deciso di portare una pistola, sapevo che ci
sarebbe stato il momento in cui l’avrei usata»
• «Non sono del tutto convinto di avere un futuro. Me lo auguro, ci spero, ma visto
che dopo 35 anni di galera sono ancora molte le persone a pensare che “i tempi non sono maturi”, forse sarà il caso che consideri che i miei debiti con la giustizia siano giudicati — anche a ragione — inestinguibili. Di certo non mi toglierò la vita per questo».