Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CIANCIMINO
Massimo Palermo 16 febbraio 1963. Imprenditore. Quarto e ultimo figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito (Corleone 2 aprile 1924 — Roma 19 novembre 2002), il primo uomo politico condannato per mafia. «Provenzano si faceva chiamare ingegner Loverde. Un giorno da ragazzino sfogliai
Epoca e riconobbi nell’identikit di Provenzano, già superlatitante, proprio l’ingegner Loverde, l’unica persona che incontrava mio padre a casa senza appuntamento. A volte lo
riceveva in pigiama. Si chiudevano in camera da letto e discutevano per ore»
• Uomo del jet set che «frequenta politici, organizza incontri tra monsignori e autorità cinesi, e vertici con i dirigenti di Gazprom» (Marco Lillo), nel marzo 2007 è stato condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi per riciclaggio e
intestazione fittizia dei beni (per la Procura di Palermo ha nascosto il tesoro
del padre intestandolo a un professore universitario palermitano). «Pensate quello che volete ma io non ho mai avuto benefici dal chiamarmi
Ciancimino, anzi. Andavo a scuola quando mio padre, il 4 novembre dell’84, venne arrestato e finì l’epoca Ciancimino. Da quel giorno mi buttarono fuori dai circoli, le donne mi
tenevano lontano. Sono stato fidanzato con una ragazza romana per 4 anni senza
dire ai genitori che mi chiamavo Ciancimino. Mi ero costruito un’altra identità. Io pago certe omissioni da parte dello Stato, che non è mai andato a chiedere a mio padre ragione dei suoi denari e proprietà». Il 27 settembre sulla Stampa Alfio Caruso dà la notizia che da nuove dichiarazioni rese da Ciancimino jr alla Procura di
Palermo, emergerebbe il coinvolgimento del padre nella trattativa tra Stato e
Antistato già nel periodo compreso tra la strage di Capaci (23 maggio 92) e la strage di via
D’Amelio (19 luglio 92). Stando al verbale agli atti della Procura, ai primi di
giugno, sul volo Palermo-Roma, Ciancimino jr incontra il capitano De Donno
(conosciuto durante gli interrogatori di Falcone al genitore), che gli domanda
se al padre può interessare «una chiacchierata con lui». Vito Ciancimino incontra prima De Donno, poi De Donno e l’allora colonnello del Ros Mario Mori, che gli chiede la cattura dei
superlatitanti. Successivamente Vito Ciancimino prende in consegna da una
persona distinta (coperta da omissis nel verbale), un manoscritto con dodici
richieste di Cosa Nostra allo Stato per non compiere più attentati (il papello, vedi RIINA Totò), e pur sapendo che la maggior parte delle richieste non sono trattabili, lo
passa a Mori, che nell’occasione restringe la richiesta alla cattura di Riina (circostanza negata da
Mori, che ha sempre affermato di avere incontrato Ciancimino ai primi di agosto
92). Segue la strage di via D’Amelio, che convince Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano a eliminare Riina.
Secondo Ciancimino jr Provenzano comincia allora a scrivere pizzini al padre,
che dopo averli letti li strappa in mille pezzi e poi si fa consegnare da De
Donno alcune cartine topografiche di Palermo sulle quali segna la zona dov’è nascosto Riina. Il 19 dicembre viene arrestato Vito Ciancimino, e il 15 gennaio
1993 Totò Riina (fino alle dichiarazioni di Ciancimino jr., ufficialmente grazie a
Balduccio Di Maggio), ma tutti sanno che il suo nascondiglio, la villa di via
Bernini, fu perquisita solo dopo due settimane (vedi LA BARBERA Gioacchino). «Così Provenzano, garante di una mafia che non sfiderà più lo Stato, s’incammina verso il potere assoluto. […] Ma le rievocazioni di Ciancimino jr riaprono anche il lato oscuro dell’assassinio di Borsellino. Dopo sedici anni sono ancora ignoti il movente
preciso, l’esecutore, il luogo da dove fu azionato il timer. E se Borsellino avesse avuto
sentore della trattativa in corso fra lo Stato e l’Antistato? E se l’Antistato avesse deciso di eliminare un ostacolo a questa trattativa?» (Alfio Caruso).