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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

DRAGHI MARIO

Roma 3 settembre 1947. Economista. Banchiere. Governatore della Banca d’Italia. «I giornalisti vogliono notizie su di me? E che devono fare, il coccodrillo?».



Ultime Rinuncia all’assenso preventivo e vincolante della Banca d’Italia per le acquisizioni bancarie, e rende possibili fusioni bancarie di
rilievo storico (Unicredit con Capitalia, Intesa con SanPaolo Imi, Banca
Popolare di Verona e Novara con il gruppo Popolare di Lodi, Banche Popolari
Unite con Banca Lombarda ecc.). «La politica di movimento, auspicata dal governatore Mario Draghi, sembra
soddisfare il patriottismo economico assai più della difesa statica del precedente inquilino di palazzo Koch» (Massimo Mucchetti). «Rovescia totalmente, e in poche ore l’impostazione di Fazio. Non solo dichiarò pubblicamente che non sarebbe mai intervenuto per influenzare operazioni di
mercato, neanche nei casi in cui la legge glielo consentiva, ma precisò anche che se uno straniero si fosse voluto comprare una banca italiana lui lo
avrebbe lasciato fare. Aggiunse: proprio per questo, invito le banche italiane
a far accordi e a fondersi o ad aggregarsi comunque in qualche modo. Le banche
italiane sono tutte troppo piccole, e i ricchi istituti stranieri, se non si
sbrigano, ne faranno un sol boccone. Dopo diciassette mesi da quel discorso ci
sono state molte aggregazioni anche di piccolo calibro e due operazioni enormi:
la fusione tra Banca Intesa e San Paolo e quella tra Unicredit e Capitalia.
Quello che è istruttivo è questo: col suo atteggiamento liberale, Draghi ha di fatto impedito agli
stranieri di entrare. Col suo atteggiamento di chiusura, invece, Fazio alla
fine ha consegnato la Banca Antonveneta agli olandesi e la Banca Nazionale del
Lavoro ai Francesi» (Giorgio Dell’Arti). Contemporaneamente si batte per la revisione delle regole sui rapporti
tra banche e imprese: «In ballo c’è l’innalzamento dei limiti sia alle partecipazioni che le banche possono detenere
in gruppi industriali sia alle partecipazioni nelle banche da parte di soggetti
non finanziari» (Il Foglio)
• Come presidente del Financial Stability Forum prepara un rapporto sulle cause
delle turbolenze che hanno investito i mercati mondiali in seguito alla crisi
dei mutui subprime statunitensi. E indica anche i rimedi. Nell’aprile 2007 presenta al G7 a Washington il suo piano per migliorare la
trasparenza dei mercati finanziari mondiali: «Ripercorre i giri tortuosi dei famigerati subprime, nati negli Usa, quindi
impacchettati in sofisticati strumenti finanziari e poi veicolati nel pianeta.
La loro crisi, secondo gli ultimi calcoli, incorpora perdite potenziali di
quasi mille miliardi di euro, con gravi contraccolpi nell’economia reale, dei paesi più industrializzati come nel Terzo Mondo. Di qui, il piano d’emergenza, quasi un’armatura tecnica fatta di regole di trasparenza, iniezioni di liquidità, rating e policy varie che mira soprattutto a rafforzare il sistema e ad
evitare che episodi del genere si ripetano in futuro» (Elena Polidori). Sono 65 raccomandazioni alle banche e alle autorità di controllo da attuarsi in cento giorni. Giulio Tremonti è molto freddo: «Un’aspirina per una malattia grave»
• Sul fronte interno è alle prese con un difficile piano di riassetto della Banca d’Italia (chiusura di numerose sedi periferiche e messa a frutto del patrimonio
immobiliare). La riorganizzazione cancellerà (nei prossimi 10 anni) 33 filiali su 97 e ne snellirà altre 37, smobilitando più del 70 per cento del personale. Su questo piano di ristrutturazione ci sono
stati momenti di tensione col governatore siciliano Cuffaro • Le sue annuali Considerazioni finali esortano a: riduzione delle tasse,
riduzione del debito pubblico, taglio delle spese correnti, aumento degli
investimenti, riforma della previdenza (2007); freno all’inflazione, riforma del mercato del lavoro, riforma del risparmio gestito,
abolizione del massimo scoperto (2008). Forte richiamo al dovere di
modernizzare la scuola, contenuto specialmente nelle 23 considerazioni del
2007. Il concetto di fondo è: un Paese senza scuola è sull’orlo della miseria. Nel discorso del 2008 ha messo in evidenza lo scarto di
produttività tra il Mezzogiorno e il Nord
• Non ha risparmiato critiche alla manovra finanziaria presentata dal governo
Berlusconi nel 2008, entrando così in polemica con il ministro Tremonti, Sergio Rizzo: «In questi ultimi mesi Draghi si è specializzato nell’uso dello scudo, attrezzo indispensabile per parare i colpi. Alle provocazioni,
com’è costume della Banca d’Italia, non risponde. E dopo aver lanciato l’allarme sui salari italiani, i più bassi d’Europa, il governatore ha anche una sponda robusta nel sindacato, che chiede
sgravi fiscali per i lavoratori dipendenti. Perché i colpi di fioretto di Tremonti arrivino anche a via Nazionale, non è ancora chiarissimo. Ma arrivano, e sempre meno sporadicamente. La ragione non
può essere certamente quella blanda apertura di credito che Draghi fece ai
provvedimenti di Bersani. Né le critiche, che ancora non ci sono state, alla politica economica di
Berlusconi. E neppure qualcosa di personale, anche se difficilmente si
incontreranno Draghi e Tremonti in pizzeria. Le loro strade si sono incrociate
per un breve periodo. Draghi lasciò la direzione generale del Tesoro nel 2001, dopo l’arrivo di Tremonti, considerando chiuso il suo ciclo. Quando l’ex direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli gli chiese in una intervista se
la causa dell’abbandono fosse una diversità di vedute con il ministro, lui rispose: “No, il rapporto personale e professionale è ottimo”. E quando Draghi approdò alla Goldman Sachs Tremonti commentò: “è una conferma dell’alta professionalità dell’ex direttore generale del Tesoro”. Ma alla fine del 2005 il candidato di Tremonti al posto di Antonio Fazio, le
cui dimissioni furono il vero grande successo del superministro dell’Economia, era Vittorio Grilli. Prevalse invece Draghi, sostenuto da Gianni
Letta, anche per le considerazioni del Quirinale circa la giovane età di Grilli. La verità è che l’analisi di Tremonti confligge naturalmente, oggi come nel 2001, con quella delle
“tecnocrazie” delle banche centrali, alle quali il ministro dell’Economia imputa una profonda miopia nel non aver saputo prevedere i rischi della
globalizzazione. Ma il duello ad alta quota rischia inevitabilmente di
trasferirsi sul terreno. Draghi, come detto, non replica».
[auk]


Vita «A 15 anni ha perso il padre, Carlo, uomo di incarichi pubblici: in Bankitalia,
liquidatore con Donato Menichella della Banca di Sconto, in Bnl nel dopoguerra.
Poco dopo è mancata anche la madre. Draghi ha dovuto fare il capofamiglia, prendersi cura
dei fratelli minori: Andreina, la storica dell’arte che nel 1999 ha scoperto a Roma un ciclo di affreschi medievali nel
complesso dei Santi Quattro Coronati; e Marcello, oggi piccolo imprenditore» (Aldo Cazzullo). Studente alla scuola romana dei gesuiti, l’istituto Massimo (vedi ROZZI Franco), ebbe per compagni Luca Cordero di
Montezemolo e Giancarlo Magalli (stessa classe), Gianni De Gennaro, Luigi Abete
ecc. (secondo i ricordi di un ex compagno di classe, l’orafo Giuseppe Petochi: «Mario era molto bravo in latino e matematica, uno di quelli che quando sei in
difficoltà ti aiutano»)
• Laurea a Roma nel 1970, allievo di Federico Caffè. «Roma, estate 1971. Fa un caldo opprimente a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Nel suo studio il Governatore Guido Carli sta ricevendo Franco
Modigliani, futuro premio Nobel e già allora l’economista più influente in Italia dal suo osservatorio al Massachusetts Institute of
Technology. Fuori dalla porta un giovane laureato della Sapienza parlotta con
lo staff del Governatore. è Mario Draghi: vuole parlare con Modigliani, che non ha mai incontrato prima. Il
personale della Banca d’Italia prova a dissuaderlo, ma Draghi abborda il professore di Boston all’uscita dello studio di Carli; e senza giri di parole gli chiede di ammetterlo ai
corsi di dottorato del Mit. Non solo le scadenze per l’iscrizione erano passate da un pezzo, ricorda Serena Modigliani, “ma Mario non aveva neanche i soldi della borsa di studio”. La prima risposta dell’economista fuggito dall’Italia durante il fascismo fu secca: “Non hai nessuna speranza”. O meglio: “Nessuna, a meno che non riusciamo a cambiare la stupida legge”, quella che impediva di utilizzare borse di studio italiane all’estero. Ci riuscirono. E già quell’insistenza di Draghi, racconta la moglie del premio Nobel dalla sua casa nel
Massachusetts, fu il primo segno della sua determinazione ad andare avanti
malgrado le difficoltà familiari» (Federico Fubini).
[aul]


A Caffè aveva promesso che non avrebbe mai fatto altro che il professore universitario.
Ma appena due anni dopo aver ottenuto la cattedra di Economia internazionale a
Firenze, nel 1983 divenne consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro
nel governo Craxi. Poco dopo il balzo internazionale: direttore esecutivo della
Banca Mondiale a Washington a 37 anni (dal 1984 al 90), presidente del Comitato
economico e finanziario dell’Unione europea, docente a Harvard. Il curriculum italiano, prima di ottenere il
timone a via Nazionale, si sostanzia soprattutto nella direzione generale al
ministero del Tesoro (1991-2001): dieci anni «drammatici» ma anche «indimenticabili», li definì poi. Chiamato da Guido Carli, ministro del Tesoro di Andreotti, su suggerimento
di Ciampi (allora governatore), confermato da tutti i governi successivi (Amato
I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato II, Berlusconi II), fu prima di tutto l’uomo delle privatizzazioni (ne presiedette il Comitato fino al 2003). In
silenzio, senza fare dichiarazioni o rilasciare interviste, piazzò sul mercato Iri, Telecom, Eni, Enel, Comit, Credit e decine di altre aziende
possedute o partecipate dallo Stato. Licenziando i vecchi boiardi, fece
infuriare gli statalisti più accesi. Nel 1992, prima di dare inizio alla vendita delle società pubbliche, incontrò sul panfilo Britannia della regina Elisabetta la comunità finanziaria, fatto che scatenò una ridda di voci, secondo le quali Draghi non è altro che l’uomo assai ben pagato dei poteri forti internazionali per svendere il patrimonio
italiano. Ancora nel gennaio 2008, intervenendo a
Unomattina, Francesco Cossiga lo bollò come «vile affarista», parlò di «svendita dell’industria pubblica» e respinse l’ipotesi di vederlo a capo del governo dopo la caduta di Prodi perché a suo dire avrebbe venduto tutto agli amici americani. I risultati delle
privatizzazioni non sembrano però quelli di una svendita: i 182 mila miliardi di lire incassati fecero scendere
il debito pubblico dal 125 per cento sul Pil del 1991 al 115 del 2001 (meglio
solo le privatizzazioni inglesi). Fu quindi alla guida della commissione
governativa che scrisse la nuova legge sul diritto societario (chi sale al 30
per cento deve lanciare un’Opa totale ecc.), che si chiama, appunto, “legge Draghi”. Infine, Ciampi lo incaricò di fare il giro delle capitali europee per convincere i nostri partner che l’Italia era affidabile e poteva essere ammessa nell’area euro
• Tra le sue imprese meno note, la ristrutturazione del debito italiano: avendo
capito che, con l’inflazione in picchiata, sarebbe finita l’abitudine italiana di mettere tutti i risparmi in Bot, volle che si passasse al
capitalismo popolare dei fondi d’investimento e dei prodotti finanziari complessi. Nel 1991 il 70 per cento del
debito statale era a tasso variabile e a breve termine (i Bot, appunto), nel
2001, quando Draghi lasciò il ministero, il 70 per cento del debito era a tasso fisso (quindi meno
pericoloso) e a medio-lungo termine. Il declino dei Bot spinse gli italiani ad
assaggiare quel che offriva il mercato propriamente detto, azioni,
obbligazioni, bond. Per questo il fronte degli oppositori di Draghi
(Bertinotti, Cirino Pomicino ecc.) gli imputa parte dei danni subiti dai
risparmiatori a causa dei crack Cirio, Parmalat ecc.
• Lasciato il Tesoro, l’ultimo dei “Ciampi boys” (così erano chiamati economisti e consiglieri che facevano parte della squadra del
ministro) sbarcò a Londra: dal 2002 al 2005 alla Goldman Sachs, quarta banca d’affari al mondo, per guidare le strategie europee dell’istituto. [aum]


Dal 29 dicembre 2005 è governatore della Banca d’Italia (il nono), nominato al termine della vicenda che costrinse alle
dimissioni Antonio Fazio. A differenza dei predecessori ha un mandato a
termine, di sei anni, rinnovabile una sola volta. La mattina del 30 dicembre il
nuovo governatore si presentò al Quirinale per salutare il Presidente. Il fatto eccezionale avvenne dopo:
Draghi andò a piedi dal Quirinale alla Banca d’Italia. Sono un centinaio di metri, ma non esiste uomo pubblico in Italia che
non li avrebbe percorsi con auto blu, scorta e sirene spiegate
• Sposato con Maria Serenella Cappello, esperta di letteratura inglese discendente
della Bianca Cappello che fu sposa di Francesco de’ Medici (XVI secolo). Due figli: Federica, biologa con master in business a New
York; Giacomo, laureato alla Bocconi con Francesco Giavazzi e poi trader in
Morgan Stanley • Dopo la nomina a via Nazionale vendette le sue azioni Goldman Sachs e affidò il ricavato a un “blind trust”, un fondo di cui non controlla la gestione. Ha fatto confluire gli immobili di
proprietà della famiglia nella società senza fini di lucro Serena: atto costitutivo del 17 novembre 2007, ne è socio amministratore con la moglie, le quote sono equamente suddivise, ma in
nuda proprietà, tra i due figli.


Politica All’inizio del 2007 girò voce che Napolitano avesse già pronto il nome di Draghi per sostituire Prodi in un governo tecnico di
transizione. Ma il governatore avrebbe espresso un sostanziale rifiuto • «Un sistema finanziario moderno non tollera commistioni tra politica e banche. La
separazione sia netta: entrambe ne usciranno rafforzate».



Frasi «Agli imprenditori si chiede coraggio. Subito dopo la guerra, su una piazza di
Norimberga distrutta, raccontava mio padre, c’era una lapide. “Se fai un cattivo affare, non ti preoccupare — diceva — recupererai il denaro con un secondo buon affare; se perdi l’onore, hai perso molto, ma con un atto eroico lo recupererai; ma se hai perso il
coraggio, hai perso tutto”» • «La povertà di conoscenze è l’anticamera della povertà economica» • «Un Paese col nostro debito non ha tesoretti».



Commenti «Cortese e affilato» (Marcello Veneziani), «algido, etico, atermico» (Alberto Statera) •«La nomina di Mario Draghi a governatore è uno schiaffo alla Banca d’Italia. Questa scelta mortifica le professionalità interne all’istituto che vanta curricula e profili eccellenti» (Antonio Fazio) • «Uno dei policymaker più influenti in Europa» (Financial Times) • «La reputazione di cui è circondato negli ambienti finanziari internazionali è decisamente superiore a quella dell’importanza che l’Italia ha nell’economia mondiale» (Wall Street Journal).



Vizi A scuola giocava a basket, è anche un buon giocatore di tennis. Ama la montagna, scala pareti difficili,
meglio se ghiacciate, ma sempre e solo con la guida • Secondo Vincino, si tinge i capelli • Passione per i cani, immortalato mentre correva col suo bracco ungherese • «Non usa il cappotto. è un’abitudine che hanno gli studenti di Harvard: anche sotto la neve, solo con la
sciarpa, forse a sottolineare la loro superiorità da futuri padroni del mondo. Anni fa il suocero gli regalò un soprabito. Per non fargli dispiacere se lo portò appresso piegato sul braccio. Ma, sublimemente eroico, non lo ha mai infilato» (Denise Pardo) • Nel settembre 2007, per tornare da Brescia a Milano, ha preso l’Intercity delle 15.05, scambiando quattro chiacchiere con un passeggero • In Goldman Sachs guadagnava 10 milioni di euro l’anno, in Banca d’Italia ha preteso che il suo stipendio si allineasse a quello degli altri
governatori europei: 350 mila euro l’anno contro i 622.347 percepiti da Fazio. Anche se poi è salito a 450 mila, mentre «il francese Noyer non supera i 142 mila e il tedesco Weber raggiunge appena i
101 mila» (Claudia Marin).


Tifo Romanista. [aun]