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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

MARINI

Franco San Pio delle Camere (L’Aquila) 9 aprile 1933. Politico. Presidente del Senato (eletto il 29 aprile 2006). «Io il mare l’ho visto per la prima volta durante una gita dell’Azione cattolica a Silvi Marina. Sono stato a Roma per la prima volta nel 50,
con un viaggio organizzato dai “baschi verdi” cattolici. Il primo calcio a un pallone di cuoio l’ho dato nell’oratorio. I primi corteggiamenti li ho fatti nella mia parrocchia. Come potevo
non essere democristiano?» • Laureato in Giurisprudenza. Dall’85 al 91 è stato segretario generale della Cisl. Deputato dal 92 al 2006 (Dc, Ppi,
Margherita). Ministro del Lavoro nell’Andreotti VII. Dal 97 al 99 è stato segretario generale del Ppi. L’elezione a presidente del Senato è avvenuta al termine di un testa a testa con Andreotti prolungato dalle
imboscate dei franchi tiratori (l’Udeur di Mastella?) che per non farlo passare prima di aver concluso le
trattative sulle poltrone nel futuro governo Prodi arrivarono a scrivere sulla
scheda “Francesco” invece di “Franco” (che non ne è il diminutivo, come si scoprì in quei giorni)
• «Tra il 90 e il 91, l’anziano Carlo Donat-Cattin, pure lui ex sindacalista, lo officia come suo
successore alla guida della corrente dc di Forze nuove (7 per cento dei voti
congressuali dello scudo crociato). Da giovane in pratica fa il commesso
viaggiatore della Cisl nelle unità sindacali di base di Rieti, l’Aquila, Agrigento, Biella. Insieme con Carniti, Crea e Colombo frequenta l’Istituto di formazione sindacale dedicato a Giulio Pastore. Poi lavora all’ufficio organizzativo e quindi guida i dipendenti pubblici, prima di entrare in
segreteria confederale dove Marini “depura” la Cisl di tutte le incrostazioni unitarie o fusioniste che dir si voglia» (Filippo Ceccarelli)
• Carlo Donat-Cattin, che fu il suo maestro, diceva: «Marini uccide col silenziatore»: «Non ho mai capito se fosse una battuta benevola o malevola. Comunque allora ero
giovane e ambizioso. Dopo il 68 Luciano Lama disse di me a Bruno Storti: “Convinci quello o l’unità sindacale non la realizziamo”. In effetti più avanti, nel 77, su dodici membri della segreteria della Cisl dieci furono
favorevoli all’unità sindacale e a opporci fummo in due, io e l’unico repubblicano. Sostenevamo che l’unità sarebbe stata egemonizzata dal Pci e in congresso prendemmo il 44 per cento dei
voti. L’unità sindacale non si fece. Lama aveva visto giusto. Io l’anticomunista l’ho fatto quando in piazza mi beccavo i fischi di 80 mila persone e aveva un
senso. Quando oggi vedo farlo a qualcuno del Polo, mentre il comunismo è un fantasma, mi viene da ridere» (da un’intervista di Maurizio Caprara)
• «San Pio delle Camere, 500 anime, arrampicato sulla Piana di Navelli, versante
sud del Gran Sasso, nella casa di famiglia riattata da poco. In festa ogni
volta che fa visita ai genitori, seppelliti nella cappella del cimitero
comunale; incontra i compagni che lasciò bambino nel 40, al seguito di papà Loreto (Tutuccio per gli amici) operaio della Snia a Rieti; passeggia nel bosco
col cugino rimasto, Daniele Leonello, o gioca a bocce, passione ereditata dal
padre campione durante il Ventennio. Mamma sarta, persa da adolescente, primo
di 4 fratelli che salgono a 7 quando Tutuccio si risposa, “è sempre stato serio, educato”, racconta Antonio Aloisio. “Non erano certo agiati, quanti sacrifici per far studiare i figli. Ci tenevano
alla laurea. Solo una volta si arrabbiarono, quando Franco andò coi pattini lungo la strada Nazionale”. Piccoli colpi di testa cui “l’onorevole” dovette rinunciare subito: col padre spedito in Sudamerica ad addestrare gli
operai delle fabbriche Snia, si ritrovò capofamiglia. Fra i più bravi al liceo classico, leggeva Salgari e non era secchione: specializzato,
anzi, in scherzi memorabili. Come quando convinse due amici che nella villa di
Antonio Belloni, futuro senatore Ccd, c’era una signorina assai disponibile; loro si precipitarono e trovarono davvero
una bionda tutta curve: era Marini con parrucca e trucco. Spirito burlone che
conserva ancora. Tra una frittata con cipolle e una cicoria selvatica di cui va
matto, si ferma spesso a far bisboccia con gli alpini di Barisciano, paesino a
pochi chilometri dal suo: socio grazie alla leva come sottotenente al
Battaglione Trento. Ed è proprio nella sede del gruppo che, alla fine dei 90, l’allora segretario del Ppi sfidò a sorsi di Moltepulciano d’Abruzzo il collega Oliviero Diliberto armato di Cannonau, vino sardo doc. “Ce ne scolammo una trentina”, sorride Antonello Di Nardo, capo delle penne nere, “finimmo a cantare Vola Vola, a Franco piace un sacco”. Lo fa spesso: il sindaco Costantini alla fisarmonica, il senatore Marini
solista» (Giovanna Vitale)
• «Si narra che nella lontana primavera del 96, quando il neonato Ulivo doveva
decidere come distribuire fra partiti e partitini i collegi “sicuri”, quelli “marginali” e quelli persi in partenza, Franco Marini per due giorni e una notte non si sia
mai mosso da una stanza del secondo piano di Botteghe Oscure — dove allora aveva sede il Pds —, proprio accanto a quella di D’Alema. L’allora segretario del Partito popolare aveva per dir così occupato gli uffici del suo collega della Quercia, intenzionato ad andarsene,
come effettivamente avvenne, soltanto ad accordo chiuso e a candidature decise.
L’aneddoto sembra perfetto per riassumere il carattere e la tenacia di Marini:
abruzzese, sindacalista e democristiano. Cresciuto nella Cisl “movimentista” e “gruppettara” di Pierre Carniti (di cui, ha scritto Massimo Franco, fu poi “l’erede e insieme il liquidatore”), non è uomo da ambizioni personali: o meglio, le ambizioni hanno un senso (e una
chance) se si collocano all’interno di un disegno politico. Se per D’Alema la politica è geometria e scienza esatta, per Marini, tutt’al contrario, è prassi, divenire continuo, adattamento. Forse i due sono andati (e vanno) d’accordo perché coltivano un’idea della politica così distante, eppure ugualmente forte. Nel pragmatismo di Marini non c’è soltanto l’orma della destra cislina, di cui fu leader, o il ricordo di una laurea in
Giurisprudenza: c’è anche un qualche imprinting andreottiano. Perché alla politica, di fatto, Marini arrivò con Andreotti, di cui fu ministro del Lavoro nel suo ultimo governo, e che poi
sostituì come capolista nel Lazio alle elezioni del 92 (Andreotti nel frattempo era
diventato senatore a vita): raccolse poco più di 100 mila preferenze, contro le 329 mila del “divo Giulio” cinque anni prima. Ma, va detto, era al debutto. Marini è (in pubblico, s’intende) un animale a sangue freddo. Come responsabile organizzativo, è stato di fatto il costruttore del Partito popolare all’indomani della dissoluzione politico-giudiziaria della Dc; ne è diventato segretario nel 97 e poi, da presidente, è stato tra i primi post-dc a rompere il tabù identitario e a lanciarsi nell’avventura della Margherita. Di cui è diventato rapidamente, e di nuovo grazie al lavoro organizzativo, un pilastro
fondamentale (Fabrizio Rondolino)
• Contrario alla lista unica dell’Ulivo • «Ammise di esser stato uno dei protagonisti del “complotto” contro il Professore, ora però è il tutor istituzionale di Romano Prodi» (Francesco Verderami) • «Quando c’era una vertenza difficile e bisognava trovare un compromesso scendevo giù e dicevo ai miei: ragazzi, o questo o niente. E li convincevo che l’accordo andava firmato» • Dopo il voto del 2006, ha dichiarato che non c’è strada alternativa al dialogo tra maggioranza e opposizione. è tra i candidati alla successione di Prodi nel caso di un governo che nasca da
una grande intesa • Sposato con Luisa D’Orazi: «Non sono mai andato a vederlo, nemmeno a un comizio o a un congresso. Anche
perché lavoravo in ospedale e non avevo proprio il tempo. Adesso sono in pensione, e
vado volentieri al Senato». Hanno un figlio.