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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

VIERI Christian Bologna 12 luglio 1973. Calciatore • Con la Juventus ha vinto lo scudetto del 97, con la Lazio la coppa delle Coppe del 99 (2-1 a Birmingham contro il Maiorca, suo il gol dell’1-0), con l’Atletico Madrid il titolo di capocannoniere del campionato spagnolo (98), con l’Inter quello del campionato italiano (2003) ecc

VIERI Christian Bologna 12 luglio 1973. Calciatore • Con la Juventus ha vinto lo scudetto del 97, con la Lazio la coppa delle Coppe del 99 (2-1 a Birmingham contro il Maiorca, suo il gol dell’1-0), con l’Atletico Madrid il titolo di capocannoniere del campionato spagnolo (98), con l’Inter quello del campionato italiano (2003) ecc. Ha giocato anche con Torino, Pisa, Atalanta, Venezia, Ravenna, Milan (sei mesi, giusto per vincere il “Bidone d’Oro” 2005), Monaco. Nell’estate di quest’anno ha firmato per la Sampdoria, ma poi il contratto è stato rescisso e ha accettato dall’Atalanta il minimo sindacale (1.500 euro al mese) pur di continuare a giocare. Con la Nazionale ha partecipato ai mondiali del 98 segnando cinque gol e a quelli del 2002 segnandone altri quattro (in tutto 9, miglior italiano di tutti i tempi a pari merito con Roberto Baggio e Paolo Rossi). Avrebbe certamente giocato anche quelli del 2006 se un infortunio non l’avesse costretto al forfait. Curiosamente, un infortunio gli aveva fatto saltare anche gli europei del 2000, conclusi dagli azzurri al secondo posto (è l’unico della sua generazione ad aver conosciuto in Nazionale solo delusioni). 7° nella classifica del Pallone d’oro 99, 10° nel 99, 26° nel 98, nomination anche nel 2002 e 2003 • Figlio di Roberto, «che trasmigrò in Australia per un tranquillo prolungamento di carriera. Aveva una fama duplice: da una parte allegro sodàle di goliardi, dall’altra ostinato, scabro difensore del proprio privato. Nato a Bologna, ma cresciuto nella terra dei canguri, ha dell’Australia lo spinto atletismo e quel pizzico di arcaico mistero che il regista autraliano Peter Weir (gli appassionati di cinema ricorderanno) ha versato a piene mani in un mitico film, Pic-nic ad Hanging Rock. Il primo ingaggio: ventimila lire dal nonno per aver segnato quattro reti con la maglia di una piccola squadra del circondario di Prato» (Rita Sala) • «Il gigante di cristallo del calcio italiano. Una carriera particolarmente ricca di gol, alcuni molto belli e importanti, ma anche di infortuni, arrivati con sistematicità nel suo girovagare da squadra a squadra. Forse ha ragione chi sostiene che il frenetico spostarsi da club a club, cambiando ogni anno sistemi di allenamento, modi di vivere, compagni, allenatori e avversari, abbia contribuito a rendere particolarmente fragili i suoi muscoli» (Gianni Piva) • «La sua grande forza è soprattutto nel fisico mostruoso e nella capacità di sopportare critiche e pressioni, che spesso a San Siro hanno demolito grandi campioni. Un attaccante come lui dà alla squadra la possibilità di sperare in un colpo di scena, anche in una giornata negativa o in una partita di sofferenza, quando gli avversari ti schiacciano in area per 90 minuti. Vieri è in grado di dare forza e motivazioni speciali ai compagni persino nei momenti più disperati. Uno come lui è capace di vincere la partita anche all’ultimo minuto, è un cuneo che apre la quercia più vecchia e più solida» (Aldo Serena alla vigilia dei mondiali 2002) • Prima stava con la velina Elisabetta Canalis, adesso sta con la velina Melissa Satta: «Se è poco abile a curare la sua immagine con i tifosi, è abilissimo a far girare i guadagni. è un lavoratore salariato, un dipendente di una società di calcio, ma è anche un imprenditore, uno capace di investire i soldi. La celebrità che gli deriva dalla prima attività gli fornisce la visibilità necessaria a mandare avanti la seconda. Vieri poi non disdegna le belle donne, e una sua relazione con una starlet di Striscia la Notizia dà l’avvio a un binomio, quello tra veline e calciatori, che segnerà per sempre i gossip dei giornali scandalistici. A questo punto l’amore dei tifosi comincia a venire meno. Il suo ostentare la bella vita - in un mondo dove il calciatore si vorrebbe puritano, tutto casa e campo da gioco - irrita. Intanto, intorno a lui, sono tutti deficienti: lo sono alcuni compagni - plateali i suoi insulti a Guly e a Sergio Concencao, rei di non passargli bene il pallone; lo sono i dirigenti, che vendono Ronaldo, Crespo e di calcio non capiscono nulla; lo sono i tifosi, persone frustrate che fischiano i giocatori e che “non si devono stupire se poi qualcuno a fine stagione se ne vuole andare” (chi, Guly e Concencao?)» (Gabriella Greison, Matteo Lunardini) • «Sei stato Mister 90 miliardi. Hai scorrazzato sul tuo jet-ski due diverse generazioni di Veline. Hai segnato 183 gol in cinque campionati tra Italia (Prato, Torino, Pisa, Ravenna, Venezia, Atalanta, Juve, Lazio, Inter, Milan), Spagna (Atletico Madrid) e Francia (Monaco). Hai perforato cuori e difese: tu, icona del bel vivere e del calcio. Ma sei infelice. L’avevamo sempre sospettato. Sotto quel muso lungo, c’è un’anima sensibile. Che non ha retto l’ultima umiliazione del destino: l’Italia che vince il Mondiale senza Christian Bobo Vieri, 33 anni, nato a Bologna alle quattro del pomeriggio di un 12 luglio afoso dopo otto mesi di gravidanza, il bomber con un grande avvenire alle spalle. “Rosico” disse alla vigilia della finale di Berlino, ermetico come sempre, il figlio di Bob e Nathalie (“Natalina!” grida lui ogni volta affacciandosi sull’uscio della casa di Prato, zona Le Badie), il centravanti venuto dall’Australia che down under imparò a coltivare il suo lato dolcemente selvaggio, quello che all’Ovest è piaciuto tanto alle ragazze. Il “mostro”, secondo i vicini di casa di Sydney. Novanta giorni di assenza filata da scuola prima di venire sgamato. Papà Bob: “L’ho menato una sola volta nella vita, quella. Gliene diedi tante che quando alzo il braccio, ancora oggi, mi fanno male le costole. Per punizione lo confinai in macchina fino all’alba...”. Maglietta e bermudini stirati la mattina, tagli in faccia e ginocchia sanguinanti la sera. Ogni sera. Mamma Nat: “Sfasciava tutto, una peste. Sette vetri rotti a settimana. Una volta lanciò Massimiliano, suo fratello, fuori dalla porta-finestra, un’altra gli spaccò l’arcata sopraccigliare”. E lui? “Da ragazzino era alto e magrino, ma non si rompeva mai”. Quella volta del vaso di spine: “Ci s’infilò cadendo. Passammo tre ore dal medico per togliergli gli aculei, uno a uno”. O delle scarpe: “Gliele tiravo in testa. Rimbalzavano”. Così robusto, così fragile. Capace di dribblare qualsiasi difensore e poi di cadere, a pancia in su come un cucciolo, davanti a Erika (“La prima cotta, non corrisposta, per una compagna di classe” ricordano i genitori), Elisabetta, Melissa, a chissà quante altre femmine che per una notte o per sempre hanno amato la sua sensibilità mascherata da furore, il suo corpaccione sgraziato, il suo essere introverso con spiragli di sole, la sua simpatia elargita a rate (“è che io, se non conosco, sono diffidente. Qualche fregatura l’ho presa e mi difendo. Ma, quando mi fido, mi lascio andare”), il suo portafoglio sconfinato. Chi ha avuto la ventura di varcare la soglia di casa Bobovieri — trovata, affittata e arredata a Milano, zona San Siro, da mamma Nathalie, che gli paga tutti i mesi le bollette —, ha scoperto tazze del caffelatte con scritto “The boss”, pigiami color pastello con gli orsetti, collezioni di cappellini, l’opera omnia di Sylvester Stallone, sette telecomandi per pilotare stereo, televisore al plasma e Dvd dal letto, la tana del campione che ha sempre segnato facile ma fa una fatica bestia a crescere. “è che sono un po’ bischero e dico sempre quello che penso. Però sono un puro. Hai notato che non vado mai in tv? Per forza, sento di quelle stupidaggini... Avrei da ridire su tutto”. Ha girato il mondo, ha gonfiato molte reti, ha umiliato i giornalisti (“Sono più uomo io...” in una conferenza stampa agli europei di Portogallo), è scappato dai ritiri, si è dannato l’anima ma ha vinto pochissimo» (Gaia Piccardi).