Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SERRA Michele Roma 10 luglio 1954. Giornalista (La Repubblica, L’Espresso). Scrittore. Autore tv (tra gli altri, di Celentano) • Cresciuto a Milano, vive sull’Appennino bolognese
SERRA Michele Roma 10 luglio 1954. Giornalista (La Repubblica, L’Espresso). Scrittore. Autore tv (tra gli altri, di Celentano) • Cresciuto a Milano, vive sull’Appennino bolognese. Nell’89 ha fondato il settimanale Cuore. Tra i suoi libri, le poesie Poetastro (93) e Canzoni politiche (2000), il romanzo Il ragazzo mucca (97), i racconti Il nuovo che avanza (90) • «Gode giustamente di grande notorietà e considerazione quale giornalista; in particolare per i suoi graffianti, esilaranti e fulminei corsivi satirici, nei quali si rivelano la leggerezza e la profondità dell’umorismo, che unisce disincantata demistificazione e umanissima comprensione della vita» (Claudio Magris) • «La giovinezza è molto confusa come fase della vita. L’unica cosa che ricordo con lucidità è che per me il vero tradimento è stato entrare nel Pci. Lì c’era l’altro mondo rispetto alle mie radici, la borghesia. Iscriversi al Pci era come sposarsi con la colf. Ho capito in ritardo gli aspetti barbogi, tromboneschi e moralistici del mondo comunista. Ammesso che io sia un moralista, come dicono, applico il moralismo a me stesso. Non potrei lavorare per Berlusconi. Ho solo tre certezze nella vita: non diventerò mai eroinomane, non mi farò mai prete e non lavorerò mai per Berlusconi. Una delle esperienze politiche più importanti della mia vita fu il 7 aprile, Toni Negri, il teorema Calogero. All’Unità ci scannammo. Gran parte della vecchia generazione era forcaiola. Amici veri, nel mondo dei cosiddetti vip, pochi: Antonio Albanese, De Gregori, Benigni. E Luca di Montezemolo, che è mio amico d’infanzia e mio vicino di casa» (da un’intervista di Claudio Sabelli Fioretti) • «La mia generazione prima viveva, accumulava esperienze, e poi cercava di raccontarle. Certo, magari anche in chiave comica. Prima di metterci alla macchina per scrivere o al tavolo da disegno, però, avevamo cercato di imparare qualcosa, di farci un’idea del mondo. Sono entrato all’Unità come stenografo, poi mi hanno passato alle pagine dello sport, a un certo punto ho fatto anche il cronista per l’edizione regionale del Piemonte. Sagra del tartufo, vendemmia del dolcetto, mi sono spiegato? Non sono nato umorista, mi ci hanno fatto diventare. L’umorismo è diventato un genere di consumo, soggetto a regole commerciali, per cui l’offerta deve sempre essere superiore alla richiesta, in una spirale che si alimenta di continuo. Il risultato è anzitutto un abbassamento della qualità. Quanti comici veramente bravi possono esserci in un Paese come l’Italia? Una decina, probabilmente, non di più. Ma se le tv, le radio, le case editrici ne chiedono cento, è giocoforza che si finisca per scendere di livello. Quando ho scritto un libro, ho sempre cercato di fare sul serio. Diciamo che, in questo, ho seguito le orme di Stefano Benni, che considero un maestro. Uno che non si è accontentato di fare l’umorista, ma ha dimostrato di essere un vero scrittore. Scrivere per far ridere è un’impresa molto faticosa. Bisogna scavare tra le pieghe del linguaggio, frantumarlo, individuarne le contraddizioni. è difficile» (da un’intervista di Alessandro Zaccuri) • «Forse ho lasciato dietro di me una scia spesso dozzinale (specie nel giornalismo); per dirla secca, ho scritto troppo e troppo in fretta. Ma non mi è affatto dispiaciuto avere un approccio alla scrittura così irrequieto e confusionario; mi ha impedito di cristallizzarmi e forse anche di prendermi troppo sul serio. Dico sempre di sentirmi un dilettante, magari nel senso francese di amateur, che mi gratifica...».