Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
BATTAGLIA
Letizia Palermo 1935. Fotografa. Nell’85 fu la prima europea a vincere il W. Eugene Smith Award • «Ho lavorato per L’Ora di Palermo dal 1974 al 1991. A ogni delitto ero obbligata a correre sul
posto e a scattare, ma non avrei voluto. Mi veniva da vomitare, continuavo a
sentire l’odore del sangue dappertutto, anche a casa mia. Mi costava molto dolore. Non ero
una fotografa che documentava un conflitto estraneo. Ero nella mia isola, in
mezzo a una guerra civile» • Cresciuta nell’ ambiente borghese palermitano, dopo il divorzio si era trasferita per qualche
tempo a Milano, dove scriveva per alcuni giornali. Poi era tornata in Sicilia,
con tre figlie a carico, perché aveva capito che le interessava soprattutto fotografare la vita nella sua
terra. Nel 75 incontra Franco Zecchin che per vent’anni diventa suo compagno nella vita e nel lavoro, in prima linea a documentare
la guerra tra cosche tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni
Ottanta. Il suo archivio racconta l’egemonia del clan dei corleonesi, contiene non solo storie di morti ammazzati ma
anche le altre violenze che hanno assediato Palermo e la Sicilia tutta: dai
palazzi che crollano alle montagne di spazzatura, dalla mancanza d’acqua al dramma dei senza tetto. Con l’assassinio del giudice Falcone (23 maggio 1992) prende le distanze dalla
fotografia. «Non riesco più ad avere a che fare con la violenza. Per molto tempo non ho avuto il coraggio
di ammetterlo, poi ho deciso. Un giorno, a New York, un mio amico che stava in
carcere mi chiese di fotografare i grattacieli. Io ci provai. Puntai l’obiettivo su quei palazzi immensi. Ma non scattai. Preferii fotografare i fili d’erba che crescevano davanti agli edifici. È di questo che ho voglia adesso, delle piccole cose che basterebbero per essere
felici»
• Daniela Zanzotto nel 96 ha girato un film sulla sua vita, Battaglia. Nel 1999 ha ricevuto il premio al fotogiornalismo The Mother Jones Achievement
for Life • Consigliere comunale nell’86 con i Verdi, poi assessore alla vivibilità urbana con Orlando e infine deputato regionale con La Rete. «Ho un ottimo ricordo del mio lavoro all’assessorato, perché ho potuto operare concretamente, pulire le piazze, sporcarmi le mani. Abbiamo
piantato molti alberi in quegli anni: mi piaceva avvicinare la gente a una città più ricca di verde. Finito l’incarico continuai a lavorare con Orlando come consulente esterno per il
carcere. Quando lavoravo al giornale provavo vergogna a fotografare la gente
ammanettata, sentivo di fargli violenza. Chiesi di lavorare nel carcere perché non provo odio verso chi lavora per la mafia, anzi penso che alcuni di loro
vorrebbero cambiare vita. Per questo ho sempre creduto che la lotta alla
criminalità non possa limitarsi alla via repressiva». [Lauretta Colonnelli]