Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CERAMI
Vincenzo Roma 2 novembre 1940. Scrittore. Drammaturgo. Sceneggiatore. «Ha scritto romanzi come Un borghese piccolo piccolo, film come Il piccolo diavolo e La vita è bella. Ma anche testi teatrali, libri, fumetti, reportage di cronaca nera, manuali di
scrittura» (Tommaso Pellizzari) • «Sono un narratore, un raccontatore di storie. Mi guardo intorno e cerco di
mostrare ciò che sta davanti agli occhi di tutti, ma non viene visto. Lo faccio con tutti i
linguaggi che uno scrittore ha a disposizione» • «Sono nato in una famiglia piccolo borghese, mio padre era maresciallo nella Roma
fuori le mura, verso San Giovanni, all’Alberone. A casa non c’erano libri, neanche uno. Lui era militare e quindi l’unica cosa da leggere a portata di mano era la collezione dell’Aquilone, una rivista di aeroplani: una di quelle cose tutte in bianco e nero,
con i piloti con quei baffoni ridicoli, con Francesco Baracca. Non solo non
conoscevo nulla, ma mi vedevo già nella carriera militare, strada sulla quale poi è finito mio fratello»
• «Mi iscrissi a una piccola scuola media che si chiamava Francesco Petrarca, in
via Pignatelli, una villettina che io mi ricordo liberty ma sicuramente, nella
realtà, deve essere stata una cosa orrenda. La memoria fa questi scherzi. Lì feci la prima media ed ero molto timido. Diventavo rosso, mi venivano i
brufoli, mi mettevo all’ultimo banco, nascosto il più possibile. La mia era timidezza cronica. Mi chiamavano per interrogarmi e io
non mi alzavo, facevo finta di non sentire. Dicevano: “Cerami, Cerami!” e io mi guardavo un po’ intorno, come a dire: “Ma chi cercano?”; e non mi alzavo. è passato un anno così. L’unica cosa un po’ simpatica era la ricreazione, che però durava un quarto d’ora. Si scendeva e si giocava a pallone nel giardinetto. E nel giardinetto c’era un professorino giovane che insegnava alla terza media, che giocava a
pallone e tirava bene, era molto bravo. Sì, con lui era un momento di disinvoltura, si correva. Mi piacque molto, e una
volta ho avuto addirittura il coraggio di avvicinarmi per chiedergli qualcosa,
ma poi sono scappato. Fatto sta che in un anno non avevo risposto una volta, e
fui bocciato. Allora tornai a fare la prima e quel professorino, che aveva
ventotto, ventinove anni, divenne il mio insegnante di lettere. Per noi era il
professor Pier Paolo Pasolini, ma era anche solo un ragazzo vestito come noi,
povero come noi, con la camicia tutta sdrucita e la cravatta che era uno
straccetto lacero» (da
Storia di altre storie).