Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
COSSIGA
Francesco Sassari 26 luglio 1928. Politico. Senatore a vita. Presidente della Repubblica
emerito. Ex presidente della Repubblica (85-92). «Un abate del convento di Cluny il venerdì si faceva portare in tavola la cacciagione, la benediceva con le parole Ego te baptizo in piscem e mangiava tranquillo».
VITA Ragazzo prodigio della politica del dopoguerra, è stato il più giovane sottosegretario alla Difesa, il più giovane ministro dell’Interno, il più giovane presidente del Consiglio, il più giovane presidente della Repubblica. Nel 1998 ha fondato un partito, l’Udr, poi confluito nell’Udeur di Clemente Mastella • La famiglia dovrebbe essere originaria della Corsica, dato che in dialetto
logudorese “Cossiga” (pronunciato “Còssiga”) significa “Corsica” (Enzo Caffarelli) • «La mia era una delle famiglie repubblicane del giro nobile e borghese di
Sassari, molto austera e severa, al punto che non si usava neanche il bacio
della buona notte… credo che io e mia sorella non ci siamo mai neanche abbracciati… Una famiglia dominata dalla figura del padre di mia madre, nonno Antonio
Zanfarino, massone, il quale morì a 99 anni, nel 1946, rammaricato di non aver visto nascere la Repubblica.
Quanto a me, ero un bambino molto bravo, molto educato, molto signorino di
famiglia borghese, non particolarmente vivace ma appassionatissimo di storia e
di soldatini, quelli di carta… che però non ho più. Ed ero anche molto studioso. A scuola ho bruciato le tappe. Le mie materie
preferite erano matematica, storia, filosofia e italiano, ma andavo bene un po’ in tutto. Solo in condotta non ebbi mai più di 6. Una volta fui anche espulso dalla scuola, per aver mangiato in classe,
durante la lezione, pane e frittata. Però ero bravissimo in tutte le materie. Al compito della licenza liceale, che presi
a 16 anni, mi dettero 10 meno. Il “meno” perché, come succede in Sardegna, sbagliavo le doppie, e non avevo voglia di
consultare il dizionario. A dire la verità le doppie sono una cosa che sbaglio ancora, ma per fortuna, adesso, ci sono i
ragazzi della mia scorta che mi correggono…»
• «Mio padre, diventato avvocato, sposa una Zanfarino. Gli Zanfarino erano un
incrocio tra una famiglia borghese benestante e una famiglia assai facoltosa ed
eminente di commercianti, i Solinas. Mia nonna Zanfarino aveva sei fratelli e
sorelle, dunque se in via ereditaria vi fosse stato un solo discendente
legittimo, cioè io, avrei potuto essere ricchissimo, ma non è andata così… La famiglia Zanfarino era, tra l’altro, anche una delle famiglie repubblicane del giro nobile e borghese di
Sassari, che il ramo paterno della mia famiglia frequentava, giacché mio nonno, diventato professore di Oculistica a Sassari, aveva un comune
interesse politico, essendo anche lui radicale, antigiolittiano e
cavallottiano. è per questo che io nasco naturalmente antifascista e repubblicano. Non avrei
potuto essere altro, avendo passato la mia giovinezza sotto il busto incombente
di Cavallotti che troneggiava nello studio di mio nonno»
• Frequenta la chiesa di San Giuseppe a Sassari, dove conosce Don Giovanni Masia,
unico sacerdote ad aver avuto tra i suoi parrocchiani due presidenti della
Repubblica e tre ministri dell’Interno. «Un uomo non di grande cultura, ma assolutamente eccezionale, tanto da rifiutare
di essere fatto vescovo proprio per non lasciare i suoi fedeli. Da quella
straordinaria parrocchia, che non ha riscontri nella storia della Repubblica,
siamo usciti io, il giovane Segni, Arturo Parisi, Giannino Angius e Luigi
Manconi. Abitavamo tutti nello stesso quadrato di palazzi, in un raggio di
cento metri: quello che viene ancora chiamato “il quadrilatero magico”» (da una serie di articoli di Antonello Capurso)
• Democristiano a 16 anni, aveva scalato le gerarchie del partito, finché, alla testa dei “giovani turchi” sassaresi, lo aveva conquistato, sgominando gli avversari. Nel 56 su un numero
del giornaletto La voce universitaria di Sassari era comparsa, anonima, una
ingenua poesiola: “Dei pulcini il più vorace / è senz’altro Fra’ Cossiga / a cui il Banco molto piace / ma di più piace la Peppa”. “Il Banco”, naturalmente, è il Banco di Sardegna nel cui consiglio d’amministrazione il “vorace” Cossiga entra, per meriti esclusivamente politici, nel 57, a 29 anni. “La Peppa” citata è invece Giuseppa Sigurani, che diventerà sua moglie nel 1960 (e che, quando Cossiga diventerà presidente, sarà, secondo l’espressione di Sergio Piscitello, una «moglie invisibile»: non metterà mai piede al Quirinale e non sarà fotografata che una volta, di nascosto, mentre faceva la spesa)
• Diventa deputato nel 58 e non si fa notare troppo (anzi, si impegna poco) fino
a quando il partito non gli affida, nel 65, la difesa del ministro delle
Finanze Giuseppe Trabucchi, accusato di aver favorito nella concessione delle
licenze di importazione dei tabacchi due ex democristiani, che in cambio gli
giravano dei soldi. Le camere devono concedere l’autorizzazione a farlo processare dalla Corte costituzionale e Cossiga, dopo
aver «rassicurato gli sfiduciati, convinto gli indecisi, sferzato i perplessi,
lavorato ai fianchi i giornalisti, distribuito notizie e interviste» (Gianni Barbacetto) presenta una cosiddetta soluzione giuridica («solo al ministro spetta decidere se un atto amministrativo sia o no conforme
alla legge») e fa dire a Trabucchi che questo passaggio di denaro c’è stato, sì, ma a favore del partito. Risultato: 476 votano per il “non doversi procedere” e 461 votano contro Trabucchi. Un voto sufficiente per chiudere il caso e
cominciare a guardare con interesse a questo giovane parlamentare che ha fatto
il miracolo
• Infatti nel 66 (terzo governo Moro) Cossiga diventa sottosegretario alla Difesa
con delega ai Servizi segreti: la sua passione. Dalla posizione privilegiata
che occupa come responsabile governativo dei Servizi di sicurezza gestirà il passaggio dal Sifar al Sir e lo scandalo, sollevato sull’Espresso dalla coppia Scalfari-Jannuzzi, dei 157 mila fascicoli su privati
cittadini che il generale De Lorenzo ha raccolto durante il suo periodo a capo
dei servizi. Cossiga fa il suo mestiere con tanta abilità che nel 74 Leone persuade Moro a farlo nominare ministro senza portafoglio, cui
segue nel 76 l’ascesa al ministero dell’Interno, in uno dei momenti più difficili del Paese: terrorismo dilagante, manifestazioni di piazza continue,
comunisti prossimi a diventare il primo partito del Paese. Dopo la morte di
Giorgiana Masi (19 anni, uccisa a Roma, su Ponte Garibaldi, il 12 maggio 1977
durante una manifestazione che celebrava i tre anni dal referendum sul
divorzio), il suo nome apparve scritto sui muri con la K: Kossiga invece di
Cossiga. Dopo il sequestro e l’assassinio di Moro (16 marzo-9 maggio 1978) Cossiga si dimise da ministro dell’Interno, mise i capelli bianchi, cadde in una depressione profondissima e tentò di sparire dalla vita politica italiana
• Nel 1979 Pertini lo nomina presidente del Consiglio. Resta in carica pochi
mesi, evita per un pelo di doversi dimettere quando si scopre che ha fatto
sapere a Carlo Donat-Cattin che suo figlio - militante di Prima Linea - è ricercato e cade infine quando il Parlamento boccia il decreto anti-inflazione.
Incaricato di formare un nuovo governo, Cossiga cade di nuovo il 27 settembre
1980 con un voto unico nella storia della Repubblica: il suo decretone
economico, che tra l’altro autorizzava l’acquisto dell’Alfa Romeo da parte dei giapponesi della Nissan (contrarissima la Fiat), viene
approvato a scrutinio palese e bocciato poi a scrutinio segreto
• Nel 1985, il segretario della Dc, Ciriaco De Mita, lo fa eleggere presidente
della Repubblica al primo scrutinio, cioè anche con i voti dei comunisti • Fu un presidente della Repubblica assai strano: silenziosissimo nella prima
parte del mandato e poi, negli ultimi anni, improvvisamente e imprevedibilmente
loquace: “esternava”, come si diceva allora, di continuo, su quasi tutto e spesso in modo non
facilmente comprensibile o apparentemente contradditorio. Eugenio Scalfari, che
gli era stato molto amico, andava dicendo in giro (e scrivendo su Repubblica)
che il Parlamento avrebbe dovuto interdirlo. La classe politica ne era
visibilmente imbarazzata. Più tardi, Cossiga sostenne che quei suoi interventi erano grida d’allarme per l’arrivo della bufera Tangentopoli e per la prossima fine del sistema che egli
pre-vedeva con preoccupazione
• «In realtà io non esterno, io comunico. Io non sono matto, io faccio il matto. è diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno» (1991) «Non si spiegavano perché io dicessi certe cose, non si accorgevano che stava franando tutto» (2004) • I giornali presero a chiamare le sue esternazioni “picconate” dopo la scoperta, da parte del giudice Felice Casson (che indagava sulla strage
di Peteano), di una rete militare segreta e parallela, formata da privati
cittadini e collegata con la Nato. La Nato pose il segreto di Stato
internazionale sulle attività e i fini di Gladio. Cossiga ne difenderà la legittimità contro tutti, arrivando a esternare quasi tutti i giorni, ad avvertire di
pericoli che nessuno vedeva, a proferire minacce la cui natura non si capiva e
a invitare il Parlamento a incriminarlo per cospirazione politica. Era il 1991,
Gladio (secondo Cossiga «un’organizzazione di patrioti, di brava gente») venne citata anche nel discorso di Capodanno. Solo poche settimane dopo fu
arrestato Mario Chiesa e cominciò lo scandalo cosiddetto di Tangentopoli o di Mani pulite che doveva spazzar via
Dc, Psi e gli altri partiti della Prima repubblica
• Nel febbraio del 98, fonda l’Udr (Unione Democratica per la Repubblica), a cui aderiscono, tra gli altri,
Casini, Mastella, Buttiglione. Cade Prodi e l’Udr annuncia il suo appoggio al governo D’Alema, suscitando la reazione di Casini, che se ne va. Poco dopo lo stesso
Cossiga accuserà i suoi partner politici di cercar solo poltrone, lascerà la presidenza del partito e si iscriverà al gruppo misto. Anche Buttiglione uscirà e Mastella, sciolto definitivamente l’Udr, fonderà nel febbraio 99 l’Udeur (aderente al centrosinistra)
• Soffre di depressione: «Montanelli mi chiamava “collega”, non certo in giornalismo. Eravamo in buona compagnia: Roosevelt, Churchill,
Dostoevskij, Kafka. C’è chi nasconde la depressione e chi la ammette. Ricordo una battuta di Andreotti.
Qualche “amico”... “fratello” democristiano, quando ero candidato alla presidenza del Senato, gli disse: “Ma ci mettiamo a eleggere un depresso?”. Andreotti rispose: “Se non avesse avuto la depressione dopo il caso Moro, mi guarderei dal farlo
votare perché sarebbe un farabutto”»
• «Ho tre buoni motivi per occuparmi di massoneria. Il primo è familiare: la mia famiglia materna, borghesia commerciale sassarese, ha antiche
tradizioni massoniche. Mio nonno Antonio Zanfarini, medico e politico
repubblicano, è stato Venerabile della loggia di Sassari. D’estate quando ero ragazzo dormivo in casa sua, una volta scoprii in una libreria
chiusa tutta la collezione della rivista della massoneria italiana, quella con
la copertina azzurra. Purtroppo poi mia zia la distrusse»
• Scrive articoli firmati con gli pseudonimi di Franco Mauri per il centrodestra,
e Mauro Franchi per il centrosinistra: «Sono lunghissimi, perdo il senso della misura e i giornali hanno il permesso di
tagliarli» • Soffre anche di vitiligine • Patito di tecnologia, gira con una borsa piena di cellulari, si collega al Web
da qualunque posto col portatile (via Wi-Fi o via Umts), prende appunti su un
palmare e aggiorna l’agenda trasferendo i dati sul pc, ha la casa cablata via Adsl e naviga su
Internet attraverso tre reti senza fili. Spiega: «Ho iniziato come radioamatore. All’epoca c’erano gli apparati a valvole e si trasmetteva sulle onde corte. Poi è arrivato il satellite e la trasmissione delle immagini compresse. Oggi utilizzo
i cellulari di ultima generazione per seguire la televisione. Ai miei
collaboratori mando sms e a quelli più tecnologizzati mms. La mattina mi collego subito a Internet, scrivo e invio
direttamente dichiarazioni e articoli, sfuggendo così al controllo dei miei collaboratori, che si alzano più tardi, ma vorrebbero lo stesso monitorare tutto quello che dico o faccio». Gioca? «Sì, mi piace giocare col computer. Faccio il solitario sul pc. Sul cellulare ho un
giochino dove credo di aver raggiunto punteggi record»
• Parla bene inglese (valutato otto dal mensile Speak up) • Il figlio Giuseppe è deputato nelle liste di Forza Italia.
COMMENTI «Inesplicabile è la sua personalissima politica estera: è senz’altro un benemerito dell’atlantismo, tiene corsi nelle università più prestigiose della Gran Bretagna, ma vola da Gheddafi e aiuta i baschi con un
tale impeto da sfiorare, anzi quasi da cercare l’incidente diplomatico con Aznar. Del tutto inclassificabili i suoi movimenti qui
in Italia, da un decennio a questa parte. Il momento più alto quando ha fondato un partitino (
l’Udr - ndr) e l’ha portato al governo rivoluzionando gli equilibri, anche se poi - attenzione
qui - la fine di quell’esperienza gli è parsa determinata da un destino misterioso, una specie di sortilegio
predisposto dalle vittime. Ora sostiene di svegliarsi al grido di: “Viva la gloriosa Prima Repubblica!”. Ha nostalgia del Pci, ma è stato l’ultimo ad abbracciare Craxi; rivendica con orgoglio l’organizzazione di Gladio, però ha proposto pensioni e onorificenze per le eventuali spie nominate nel dossier
Mitrokhin; detesta la lobby di Lotta continua, eppure interviene alle
presentazione dei libri di Toni Negri e ha fatto da testimone di nozze a un ex
terrorista. Mistero nel mistero è quel che pensa in via assoluta e definitiva di Prodi - il “vindice” - Di Pietro, D’Alema, Berlusconi, quest’ultimo gratificato di “Grande Puffo”, “Silviotto ciucciotto e ninna nanna”, “Anticristo”» (Filippo Ceccarelli)
FRASI «In vita mia le fregature le ho sempre prese da chi mi dava del lei, non del tu» • «Sono un ipocondriaco gioioso, ho un sacco di malattie, se guarissi da tutte
forse ne morirei»
VIZI Pettegolissimo • Spiritosissimo: quando il governo D’Alema stava per cadere, spiegò a Gian Antonio Stella che gli chiedeva lumi sulla situazione politica: «“Amico mio, le citerò una lezione di vita presa da due film. Nel primo, cioè Lawrence d’Arabia, lui lo prende in quel posto e ci resta male. Nel secondo, Ultimo tango a Parigi, lei lo prende nello stesso posto ma ci resta bene”. Vuol dire che comunque D’Alema… “Mi saluti la famiglia”» (Corriere della Sera 25 gennaio 1999) • Patito di Beautiful. Durante la presidenza, approfittava dei viaggi di rappresentanza in America
per informarsi in anticipo sugli sviluppi della storia. Tornato in Italia, li
raccontava, facendo dispetto agli appassionati • Colleziona soldatini d’epoca.