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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

IL PIANO FRANCESE SULLE BANCHE NON SALVA LA GRECIA

Dal cilindro delle banche francesi è spuntata all’improvviso una soluzione apparentemente efficace per il problema del debito greco, ovviamente con un accattivante nome inglese: il rollover. In pratica, l’impegno di tutte le banche a rinnovare i crediti che scadono nei prossimi tre anni, distribuendoli su trenta, in modo da ridurre l’impatto sui futuri bilanci pubblici. Ma si tratta dell’ennesimo tentativo di risolvere una malattia gravissima a forza di aspirine.
Il problema di fondo è che al concetto di “salvare la Grecia” si danno significati diversi. Il primo è quello di risanare l’economia e smaltire nel tempo gli eccessi della grande sbornia collettiva che ha consentito al paese di vivere per quasi dieci anni al di sopra dei propri mezzi. Il secondo è quello di mantenere in piedi a tutti i costi il castello di carte dei crediti ed evitare che le banche internazionali debbano registrare perdite nei loro bilanci e quindi vedere intaccata la loro già incerta solidità patrimoniale. Ma in questo caso non si tratta di salvare la Grecia, quanto di proteggere le banche.
Il piano francese, condiviso dall’associazione che riunisce le principali banche internazionali (International Institute of Finance) risponde pienamente a questa seconda interpretazione del salvataggio, ma è l’ennesimo palliativo che guarda ai sintomi e non al male. Innanzitutto perché riguarda solo metà del debito pubblico, lasciando incerto il destino dell’altra metà e poi perché il tasso dei nuovi crediti (8 per cento) è largamente superiore al tasso di crescita (nominale) del paese nel futuro prevedibile. Dunque, ancora al di sopra delle capacità di rimborso del paese. E, ciliegina sulla torta, perché si vuole costringere lo stato greco a fornire una garanzia che dovrebbe limitare le future perdite al 40 per cento, ma che ovviamente comporta ulteriori oneri per un paese già allo stremo.
É ovvio che occorre tener conto delle esigenze delle banche, ma ormai si è saldata una complice coincidenza di interessi da parte di creditori, governi e autorità monetarie a trattare la Grecia come Aginulfo, il cavaliere inesistente di Calvino che si teneva in piedi solo con la forza di volontà. E ovviamente a Bruxelles amano sottolineare la rigorosità delle condizioni che di volta in volta vengono imposte. In un’intervista, il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Junker ha affermato che “la sovranità della Grecia sarà massicciamente limitata” e ha richiamato la necessità di un piano di privatizzazioni ispirato a quello adottato dalla Germania (quale altro modello, se no?) dopo la riunificazione. Ma né il commissariamento di fatto della Grecia, né le privatizzazioni che possono essere ragionevolmente realizzate nei prossimi anni, risolveranno un problema che riguarda le caratteristiche strutturali dell’economia greca.
L’ironia è che il piano francese rischia di naufragare non perché troppo oneroso per il debitore, ma perché le agenzie di rating hanno preannunciato che giudicherebbero l’operazione come un “default selettivo”, cioè un’insolvenza vera e propria sia pure limitata ad una parte dei crediti in essere. Questo farebbe precipitare il debito greco al fondo della scala dei giudizi, innescando reazioni a catena imprevedibili, il cui primo anello sarebbe l’impossibilità delle banche greche di ottenere finanziamenti dalla Bce: a maggio si trattava di quasi 100 miliardi di euro (oltre il 40 per cento del pil del paese e 20 per cento del totale attivo del sistema bancario). E in più le banche greche hanno, come è naturale aspettarsi, crediti verso il settore pubblico pari a quasi il doppio del loro capitale.
Queste cifre rispecchiano la crisi spaventosa del Paese, che si riflette non solo nella caduta del reddito e nell’esplosione del debito pubblico, ma anche in deficit consistenti dei conti con l’estero, destinati a perdurare in futuro e quindi a creare ulteriori problemi finanziari. Il Fondo monetario prevede per il 2011 un deficit corrente pari al 15,3 per cento del Pil per il prossimo biennio e ancora un -3,8 nel 2016. Questo vuol dire che nell’arco di cinque anni, il debito esterno della Grecia dovrà aumentare di circa il 30 per cento del Pil e se non potrà farlo il settore pubblico per rispettare gli impegni presi a partire dal 2009, dovrà farlo quello privato. In altre parole, ammesso e non concesso che venga arrestata la crescita esplosiva del debito pubblico greco, si trasferirà il problema al settore privato. Capirai che differenza.
Insomma, occorre tornare al significato primo del concetto di “salvare la Grecia” e rimettere in piedi un’economia allo sbando con cure che sono per definizione drastiche e che dovranno comportare anche una riduzione del debito in essere, dunque perdite per le banche creditrici. É ancora possibile una soluzione concordata che mantenga queste perdite in limiti ragionevolmente tollerabili da tutte le banche (compresa la Bce) e porti il debito greco a livelli compatibili con la gravità della situazione economica e sociale interna, ma ogni cura palliativa aggrava la malattia e rende più improbabile quella drastica, ma efficace.
Ogni crisi finanziaria dimostra che la discesa verso l’abisso si arresta quando si riesce ad incidere sulle aspettative degli operatori e dei mercati, convincendoli che davvero si è toccato il fondo e che da quel momento il quadro non può che migliorare. Finora, il messaggio che si è trasmesso alla speculazione è: quando tocchi il fondo, continua a scavare.