Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BENZI Oreste San Clemente (Forlì) 7 settembre 1925. Sacerdote. «Una sera il papà arrivò un po’ più tardi del solito: s’era fermato ad aiutare un’auto scivolata con due ruote nel torrente in piena vicino San Clemente, paesino dell’entroterra riminese
BENZI Oreste San Clemente (Forlì) 7 settembre 1925. Sacerdote. «Una sera il papà arrivò un po’ più tardi del solito: s’era fermato ad aiutare un’auto scivolata con due ruote nel torrente in piena vicino San Clemente, paesino dell’entroterra riminese. Entrò a casa, e sistemò la sua bicicletta raccontando subito quel che era successo, ma soprattutto spalancando gli occhi di gioia nel dire, in dialetto romagnolo, che poi l’uomo alla guida, uno dei proprietari terrieri della zona, “mi ha stretto la mano!”. Quella sera Oreste era un piccoletto, sveglio, che aveva otto anni: “M’impressionò il suo racconto. Ma capii molto tempo dopo, nella mia giovinezza, perché quel gesto colpì tanto mio padre da fargli ricordare solo più tardi anche le due lire di ricompensa ricevute per il suo aiuto: lui apparteneva a quella massa di uomini e donne che credono di non valere nulla tanto da chiedere quasi scusa di esistere. Quando lo realizzai, decisi che nel mio sacerdozio avrei scelto di essere al fianco di coloro che pensano di non essere niente”. E non è più tornato su quella scelta. Don Oreste ha la tonaca lisa, dorme qualche ora per notte e spesso in macchina, è sempre in giro ad aiutare prostitute e tossici e sbandati. Ha l’anima, la passione, l’entusiasmo di un ragazzo. Forse il cuore, anche. Sicuramente la capacità di inventare solari pazzie che sulle prime fanno sorridere, poi cambiano dentro. E spesso disturbano gli osservatori benpensanti che giudicano il mondo dalla loro rassicurante finestra. Immaginate i cupi bordelli di Chisinau, la capitale moldava. Oppure, più vicina, la statale che da Rimini va a Ravenna: ragazze sotto la luna o la pioggia in minigonna, trucco pesante e tristezza lungo il ciglio della strada, una ogni cinquanta o cento metri. Immaginate, alle tre di notte, questo prete che scende da un’auto sorridendo e portando fra le dita cinque o sei Rosari, che si avvicina. Immaginate loro che scappano ridendo sguaiate e poi invece gli si fanno intorno, chiacchierano insieme e, prima di tornare al loro “lavoro”, prendono un biglietto con il telefono dell’Associazione scritto a penna e poi gli chiedono, dolcissime, una Coroncina di quelle che tiene fra le dita. E lui, risalendo in macchina, che ti sussurra “vedrai, qualcuna domani chiamerà e la tireremo fuori da qui”» (Pino Ciociola).