Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CASELLI
Caterina Sassuolo (Modena) 10 aprile 1946. Cantante. Nel 66 con il famoso «casco d’oro» ha partecipato a Sanremo con Nessuno mi può giudicare. Altri suoi successi (tutti anni Sessanta) Perdono, Cento giorni, Insieme a te non ci sto più. Dopo le nozze con Piero Sugar e la nascita di Filippo, nel 71 smette di
cantare e diventa produttrice. Oggi è vicepresidente del gruppo Sugar che ha in scuderia Andrea Bocelli, Elisa, Avion
Travel, Gazosa, Iva Zanicchi • «L’ambiente della provincia, prima Magreta poi Sassuolo, non era certo d’aiuto. La fortuna fu di leggere dietro la scuola che frequentavo una targa, “Maestro Calligari insegnante di musica e di canto”. Ho talmente insistito a casa che finalmente una mia zia mi portò a un’audizione. Il verdetto fu “Acerba ma con molta musicalità e timbro originale”, e questo mi incoraggiò. Mia madre non me ne passava una. “Stai facendo un lavoro che non è un lavoro”, diceva. Mi salvava che nel gruppo fossero più grandi di me”»
• «Avevo partecipato a Castrocaro, cantando Tous les garçons e les filles, e Mr. Paganini per far vedere che ero brava. La Carish mi scritturò e mi fecero incidere Ti telefono tutte le sere. Ma io vedevo che dal vivo con la mia band piacevano più Ray Charles e i Beatles, capii che non ero per il melodico» • «Dopo tre serate in televisione era cambiato tutto. Allora Sanremo aveva il
monopolio, lo guardavano tutti. Pace, un autore importante, mi portò Nessuno mi può giudicare, mi disse che era per Celentano, che però stava incidendo qualcos’altro, potevamo approfittarne, poi ho saputo che stava incidendo Il ragazzo della via Gluck, quindi meglio così, per tutti e due, solo che la canzone era un tango, allora si portavano, e io
dissi che non se ne parlava proprio, avevo tutt’altro temperamento. La incidemmo alla mia maniera e andammo a Sanremo. Da lì è partito tutto. Mi ricordo che appena finito Sanremo avevo degli impegni presi
precedentemente e decisi di onorarli. Allora successe che avevo una data alle
Rotonde di Garlasco, dove ero già stata, con pochi spettatori, e quando arrivai vedemmo chilometri di macchine
parcheggiate, e io non capivo, pensavo ci fosse stato un incidente, allora
qualcuno mi disse, ma guarda che sono tutti qui per te. Di sicuro è stato il momento più sorprendente. Ancora oggi mi sembra assurdo, perché io venivo dalla provincia e allora la provincia era veramente distante dalle
grandi città dove avvenivano le cose» (da un’intervista di Gino Castaldo)
• «Insieme a te non ci sto più. L’incontro con Paolo Conte, e soprattutto l’innamoramento per quella canzone. Pensare che veniva ritenuta troppo colta,
erano tutti preoccupati, pensavano: qui non si vendono più dischi. Ma è la canzone che mi ha catturata, per una settimana non riuscivo a fare altro che
sentirla, non potevo farne a meno, era mia, era nata perché la facessi io, era come se mi chiamasse. Conte aveva due punti di riferimento
come voce, Celentano e me, perché, diceva, gli piaceva il mio modo di cantare senza liricità, con naturalezza»
• «Una protofemminista sui generis. Viveva in una piccola frazione di Sassuolo: nel
64 finì dritta a Castrocaro, allora fucina di talenti; e nel 65 la notò al mitico Piper di Roma il futuro suocero, mettendola sotto contratto con la
CGD dove nacque la partecipazione al Festival dell’anno successivo. Furono, i suoi, successi strepitosi fra un Festivalbar e un
Cantagiro: Perdono, 100 giorni, cover come Sono bugiarda, Il cammino di ogni speranza, Il volto della vita e quel gioiellino di Paolo Conte ripreso massicciamente ancora oggi che s’intitola Insieme a te non ci sto più. Già allora era una pasionaria: trasportava un entusiasmo naturale, arietino, nell’interpretazione; sembrava credesse sempre a ciò che cantava, sembrava dovesse durare per sempre. Finì invece» (Marinella Venegoni) • Non ha mai rimpianto quel brusco abbandono, nel pieno del successo? «Quel periodo era eccitante, ma anche molto stressante. La logica era diversa da
oggi, bisognava fare un 45 giri ogni tre mesi, e ogni volta più forte del precedente. Ero stanca. Mi sono fatta cullare, io avevo sempre
lavorato, da quando avevo sedici anni. Col matrimonio e la maternità ho scoperto il mio lato femminile che avevo trascurato molto, come succede
quando bisogna fare la locomotiva e tirare il carrozzone per tutti. E poi per
me cantare significava soprattutto fare concerti in giro e quello, dopo la
nascita di mio figlio Filippo proprio non lo potevo fare più. Ci sono stati momenti difficili, ma soprattutto perché non capivo ancora bene come avrei potuto rimanere a contatto con la musica, poi
ho trovato la mia strada»
• «Cantare è qualcosa di ineguagliabile. Oggi trovo grande soddisfazione nell’essere un gradino per gli altri. La passione rimane la musica, e non dimentico
mai di essere un’artista, quando sento una cosa bella gioisco, ai numeri penso dopo. Però quando Paolo Conte mi esorta a cantare, è chiaro che va a toccare un terreno fragile, non sono così impermeabile. Abbiamo a che fare con un bisogno. L’artista ha bisogno di esprimersi. Per questo forse sono così ricettiva. Riconosco negli altri questo bisogno»
• «Tutta la mia vita è stata scandita dalla musica. Quando ero giovane stavo ore a strimpellare il
pianoforte, anche senza saperlo suonare. Mi dimenticavo di tutto. E questa cosa
mi è rimasta, anche quando incontro una persona di talento. Sappiamo che il talento
non è tutto, bisogna lavorarci sopra, ma è la prima cosa. Per me non c’è l’impossibile, e per fortuna mi sono trovata nelle condizioni in cui una mia
decisione poteva essere sostenuta economicamente, e quindi quando c’è un talento che ti salta addosso, mi viene subito voglia di fare qualcosa, penso
che il talento sia bellezza, e quindi ho voglia di accudirlo, proteggerlo,
farlo arrivare a più gente possibile, è il mio piacere massimo, come se a cantare fossi io»
• «Mi piace pensare a noi come una bottega del Rinascimento. Noi siamo prima di
tutto artigiani, poi diventa un discorso industriale».