Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
FERRAROTTI
Franco Palazzolo Vercellese (Vercelli) 7 aprile 1926. Sociologo. Professore emerito di
Sociologia all’Università La Sapienza di Roma. Dal 1958 al 1963 fu deputato (per il Movimento Comunità di Adriano Olivetti): «La politica mi piaceva troppo, finiva per mangiarmi la vita. Il piacere di una
vittoria politica è più forte di un orgasmo» • Tra gli ultimi libri: America oggi. Capitalismo e società negli Stati Uniti (Newton Compton 2006), Vita e morte di una classe dirigente (Edup 2006), Diplomatico per caso (Guerini e Associati 2007) • «è un mostro sacro della cultura italiana. Nessuno, che abbia una certa età, può dimenticare che è stato lui a sfondare la cortina di ferro “crocio-marxista” liberando l’insegnamento della sociologia dalla criminologia, dandole la dignità di disciplina autonoma. Poi Franco Ferrarotti non è stato solo professore in patria, ha insegnato in varie parti del mondo, è stato anche deputato, ha indagato sulle borgate non solo romane, ha scritto un
sacco di libri, tutti piuttosto provocatori» (Valentino Parlato) • «Famiglia di agricoltori, le malattie infantili fecero di lui un lettore
precocissimo. Passava molto tempo da solo, cominciò a parlare e camminare tardi. “Credevano che fossi un po’ ritardato. Così, ho vissuto più tranquillo. Non ti assillano di richieste. Non ti si mette alla prova”. Occupava il tempo leggendo libri trovati in un cassettone: Tolstoj e
Dostoevskij. Sui dieci anni, I dialoghi di Platone sono stati il suo Salgari: “Li divoravo come libri d’avventura”. La passione per la sociologia ha avuto la stessa origine, un po’ carbonara. I genitori mandavano il giovane Ferrarotti al mare a Sanremo, per
curare l’asma. Invece di stare in spiaggia al sole, lui si rifugiava nella biblioteca
civica, fornita di tomi della sociologia positivista: “Mi trovai fra le mani Cesare Lombroso o Alfredo Niceforo, salvandomi dal
vaniloquio ‘io/non io’ di Gentile e Croce”. Quando si iscrive a Filosofia a Torino, persegue questo interesse disciplinare» (Alberto Papuzzi)
• «A Torino, ferita dai bombardamenti e dalla fame, Ferrarotti arriva, molto
giovane, “povero di soldi, ricco di energia”, nel 1943, dopo aver tagliato i ponti con la famiglia. L’obiettivo è conquistarla. Studia 10 ore al giorno. Conosce la città “camminando da pensione a pensione, da alloggio a alloggio”. Si dà molto da fare per tradurre, il suo modo per sopravvivere. Si imbatte in alcuni “amici straordinari”, per puro caso e persino per errore: Felice Balbo; Cesare Pavese, che gli dà da fare delle traduzioni, attorno alle quali si costruisce il loro rapporto e
con il quale si intende “a occhiate”; Nicola Abbagnano, dalla cui collaborazione nascono
I Quaderni di Sociologia (il primo numero esce nell’estate del 1951). “Abbagnano riconobbe nella sociologia lo strumento che gli dava la possibilità di uscire dalla filosofia tradizionale e di dare alla sua coscienza
problematica un fondamento scientifico”. Sono anni meravigliosi. E deve ringraziarli: gli fanno capire che “la ricerca sociale, empirica, di fatto consentiva, per prima cosa, la
partecipazione dell’umano all’umano... E poi significava anche lotta contro l’ufficialità”. Che è il pane per uno studente universitario che si considera un “anarco-sindacalista”, interessato alla sociologia critica americana. A dispetto di Benedetto Croce
che aveva stroncato sul Corriere della Sera la sua traduzione del saggio di
Thorstein Veblen
La teoria della classe agiata. Ivrea suggella l’incontro, politico, ideologico, spirituale e ideale, con Adriano Olivetti, e i
primi collaboratori delle Edizioni di Comunità, sulla strada dell’utopia. “L’utopia era industrializzare senza rovinare l’ambiente. Anticipavamo di 50 anni le chiassose polemiche odierne contro il G8.
Eravamo l’avanguardia, misconosciuta, del ‘popolo di Seattle’”. L’ingegnere è “la possibilità di avere una sintesi della ricerca sociale, sociologica, e dell’impeto trasformatore e riformatore che era in fondo ciò che volevo”. A Ivrea non esisteva la parola licenziamento; c’era un grande rispetto per l’ambiente in cui la fabbrica era nata e si sarebbe sviluppata. Ed è “nel Canavese”, punto di partenza, che “avevamo la possibilità di praticare le nostre idee”, di affiancare l’attività pratica allo studio teorico. “La comunità canavesana cresceva senza perdere la sua anima contadina. Questo è il punto: senza perdere la sua stabilità fondamentale”. Ma l’esperimento comunitario si infrange, agli inizi degli anni Sessanta, per l’odio dei partiti politici e delle strutture esistenti. A Roma, dove arriva quasi
per caso nel 1953, si dipana il terzo scenario della inarrestabile volontà di ricerca di Franco Ferrarotti, alimentata dalle borgate, dai grattacieli
proletari e sottoproletari, naturalmente dall’università e dall’insegnamento» (Luigi Vaccari)
• Tra i suoi molteplici interessi, i problemi del mondo del lavoro e della società industriale e postindustriale, i temi del potere e della sua gestione, i
giovani, la marginalità urbana e sociale, le credenze religiose, le migrazioni. Una particolare
attenzione ha dedicato alla città di Roma. «Le periferie sono un mosaico culturale ed etnico, e se si fermassero non
andrebbe avanti il centro. Il futuro è della metropoli policentrica, com’è stato giustamente intuito dall’attuale amministrazione capitolina (
Giunta Veltroni - ndr). Oggi non c’è più un centro e una periferia, c’è una comunità umana» (a Simona De Santis) • «Oggi il chief executive officer - o ceo - non legge. Pianifica. Non sa.
Intuisce. E decide. Senza esitazione. Senza troppi scrupoli. Tiene a mente
quello che sapeva Shakespeare: «Conscience doth make coward of us all», “La coscienza ci fa codardi ed esitanti”» (da America oggi. cit.) • Sposato, tre figli.