Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
CURCIO
Renato Monterotondo (Roma) 23 settembre 1941. Ex terrorista • «Arriva a Trento nel 62, con 50 mila lire in tasca. A Genova, un geometra dell’Italsider gli ha detto: “Tu sei un tipo con strani interessi, a Trento aprono un’università che fa al caso tuo”. Vince una borsa di studio, e intanto lavora come cameriere, diventa il
segretario del vicesindaco Dc di Trento. Vive in estrema povertà, prima nel convitto di villa Tambosi, sulla collina di Villazzano, poi si
trasferisce in una comune, insieme a Mauro Rostagno e Paolo Palmieri.
Protagonista della contestazione, non sarà mai figura di spicco, preferendo una vita di studio dei testi del
marxismo-leninismo. Lascia Trento nell’estate del 69 per trasferirsi a Milano, dove fonderà le Brigate rosse. Oggi lavora per la casa editrice Sensibile alle Foglie» (diario)
• «Era il capo carismatico delle Brigate rosse, quelle delle azioni dimostrative e
degli agguati ai funzionari della Fiat, ma anche dei primi rapimenti come il
sequestro del magistrato genovese Mario Sossi. Veniva dai sogni ribelli del 68,
Curcio; dal movimento studentesco di Trento dove aveva frequentato la facoltà di Sociologia. All’inizio dei Settanta aveva fondato la stella a cinque punte insieme con Alberto
Franceschini e con sua moglie, Mara Cagol, uccisa il 5 giugno del 75 alla
cascina Spiotta, sulle colline di Acqui Terme durante un conflitto a fuoco tra
brigatisti, che avevano rapito l’industriale Vallarino Gancia, e i carabinieri. Infine, il 18 gennaio del 76 era
stato arrestato la seconda volta (nel febbraio dell’anno precedente era evaso dal carcere di Casale Monferrato grazie a un’azione guidata proprio da sua moglie Mara). Quel giorno venne intercettato a
Milano, in un appartamento di Porta Ticinese. Lo condannarono all’ergastolo. Anche se non aveva mai ucciso nessuno, si portava addosso un fardello
enorme di responsabilità per quella lotta armata che aveva già compiuto azioni e rapimenti e che presto avrebbe messo a ferro e fuoco il
paese. Certo è che, dopo il suo arresto, le Br di seconda generazione alzarono il tiro e prese
il via una massiccia escalation di attentati, ferimenti e omicidi. Fino alla
strage di via Fani e all’uccisione di Aldo Moro, fino al feroce sbando successivo. Trent’anni dopo Renato Curcio è un manager che si dedica “a raccontare il mondo con sguardo diverso”. è il direttore editoriale di Sensibili alle foglie, casa editrice lanciata nel 90
quando lui era ancora in carcere e poi in semilibertà. Da anni, del tutto libero, gira l’Italia con i soci-amici della cooperativa e con i libri del catalogo. Vanno dove
li chiamano e dove ritengono necessario andare; nelle città, ma anche nei paesini piccoli e isolati dove una libreria non l’ha mai vista nessuno. Per far “nascere i nostri libri tra i nostri potenziali lettori”. E interviene nelle sale affollate, in genere per ultimo, dopo autori e
presentatori. Defilato, rispettoso delle collaborazioni e dei contatti che
hanno reso solida l’attività di Sensibili alle foglie e che la fanno prosperare. Tanto che ora la
cooperativa va puntuale al Salone del libro di Torino. Curcio non parla del suo
passato di ex capo delle Brigate rosse di prima generazione. E quando gli tocca
citare il motivo che lo portò in carcere tanto tempo fa, lo definisce con qualche esitazione “una vicenda politico rivol... tosa” e si ha l’impressione che gli sia rimasta in gola la parola “rivoluzionaria”. Il suo presente, invece, lo rivendica. “Ho pagato il mio debito con la società, tutto e fino in fondo. Eravamo ancora in carcere quando pensammo alla
cooperativa, e allora volevamo soprattutto costruirci un lavoro. Ma adesso
funziona, mi piace, ci piace e facciamo finalmente quello che ho sempre voluto
fare”. Trent’anni dopo quello che Curcio fa è dare visibilità a “quelli che sono considerati esuberi, alle persone senza voce”. Detenuti, immigrati, internati nei manicomi giudiziari, portatori di handicap.
E vecchi. “Sì, vecchi che nessuno vuole, esuberi appunto che non servono e che devono restare
invisibili. Facciamo analisi socio-narrativa, vogliamo offrire un altro sguardo
sul mondo raccontando storie”. Rifiuta l’enfasi e non gli piace la parola controcultura. Spiega i motivi con attenzione
senza partire da sé; ha impiegato troppo tempo e fatica, dice, per uscire dalla “sovraesposizione” che il personaggio Curcio attirava su Sensibili alle foglie, quando centinaia
di persone si presentavano nelle sale soltanto per la curiosità d’incontrare il fontatore delle Brigate rosse» (Silvana Mazzocchi).