Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SCHILLACI
Salvatore Palermo 1 dicembre 1964. Ex calciatore. Lanciato dal Messina, con la Juventus ha vinto nel 90 coppa Uefa e
coppa Italia. Nello stesso anno è stato con 6 reti capocannoniere dei Mondiali (disputati in Italia con gli
azzurri al terzo posto) e secondo nella classifica del Pallone d’oro (dietro Lothar Matthäus). Dopo una sfortunata parentesi all’Inter, ha chiuso la carriera in Giappone • «Cresciuto in un ambiente mica facile (“il Cep era un quartiere a rischio, però io ho sempre avuto il pallone in testa e quello mi ha evitato i guai”). Guai che Totò non nomina, ma che hanno sfiorato oltre al fratello (la faccenda delle gomme),
pure il padre (accusato nel 94, come dipendente dell’Amia, di abuso d’ufficio, peculato e interruzione di pubblico servizio) e il cugino Maurizio,
anche lui calciatore (Licata e Lazio), finito in carcere nel 93 per detenzione
e spaccio di stupefacenti. Totò lo hanno salvato i gol: ne faceva tanti e bellissimi. E non gli bastavano mai.
Spesso giocava due partite in un giorno, un tempo e mezzo coi giovanissimi, uno
con gli allievi. Disse più avanti Francesco Scoglio, suo allenatore a Messina: “Aveva una voglia di fare gol che non ho mai visto in nessuno”. Forse perché l’Amat lo pagava a cottimo: 2.500 lire a rete e le reti non bastavano mai. A 25
anni sbarcò a Torino, ramo Juve, per rifare Anastasi. Anche nei giorni in cui Totò divorava la vita e la gloria con la sua vitalità rara, calciatore allo stato brado, tanto affamato di gol da mangiarsene anche
di clamorosi, e comunque mai sazio, si respirava una saccente supponenza nei
suoi confronti. Per quella sua lingua imperfetta, che aveva il fiatone fin
dalla prima dichiarazione, mentre le sue gambe non la smettevano mai di
correre. E le braccia di esultare. Un famoso “ti faccio sparare” che allora in bianconero rivolse al bolognese Poli alla fine di una partita e
di un diverbio. Fu messo in croce, Totò, tra l’indignazione di tanti, per quella presunta istigazione e collusione mafiosa, ma
quello era in fondo soltanto il suo slang di allora, il gergo di una cultura
che aveva respirato, ma mai messo in tasca. Forse non esiste un altro
calciatore, capocannoniere mondiale, italiano per giunta — sì insomma, nato e vissuto in terra consacrata dal pallone — che sia stato rimosso così in fretta da un immaginario dove un posticino lo trovano tutto e tutti» (Cesare Fiumi)
• «Sbagliavo gol fatti e ne segnavo di impossibili, come quello al Verona: una
rovesciata-missile. Il portiere Gregori si complimentò. Erano giorni nervosi, avevo problemi in famiglia. Stavo leggendo il giornale e
Baggio fece una battuta troppo pesante: con un pugno gli feci uscire il sangue
dal naso. Il giorno dopo Trap entrò in spogliatoio con un paio di guantoni da boxe: “La prossima volta, almeno, usa questi...”» (da un’intervista di Luigi Garlando).