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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

TANZI Calisto Collecchio (Parma) 17 novembre 1938. Industriale. Ha portato la Parmalat al più grave crack finanziario europeo di tutti i tempi • La storia comincia in via Oreste Grassi, a Parma, in un palazzo vicino alla stazione da cui entravano e uscivano i prosciutti di Langhirano

TANZI Calisto Collecchio (Parma) 17 novembre 1938. Industriale. Ha portato la Parmalat al più grave crack finanziario europeo di tutti i tempi • La storia comincia in via Oreste Grassi, a Parma, in un palazzo vicino alla stazione da cui entravano e uscivano i prosciutti di Langhirano. Era l’aziendina commerciale fondata da Calisto, nonno del Calisto attuale, e lasciata al figlio Melchiorre (questi nomi non devono meravigliare: da queste parti, come ha ricordato Gian Antonio Stella, si battezzano i figli Maratte, Marxina, Comunardo, Sebastite). «Calisto junior entra in affari a 21 anni. Il padre è malato e lui, già ragioniere, deve lasciare l’università. In breve tutto cambia: nel 61 costituisce la Dietalat, poi trasformata in Parmalat. La svolta ha luogo in un negozio a Stoccolma. Lì vede il latte in pacchetto, un contenitore di carta fabbricato dalla Tetrapak. Saranno questa tecnologia e l’Uht (che consente la lunga conservazione) a fare la fortuna industriale di Tanzi, che estenderà le idee a conserve e succhi. L’imprenditore di Collecchio coglie però che l’anima del successo è nel commercio: marchio e distribuzione. Investe in reti di vendita, marketing, pubblicità. Patron del Parma Calcio, si butta nelle sponsorizzazioni sportive, sostiene campioni di sci (Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark), piloti (Niki Lauda e Nelson Piquet), squadre anche di pallavolo. Fin qui una storia di abilità imprenditoriale. Sostenuta però da un vizio d’origine, i debiti, e da un’attenta consuetudine con il mondo della politica. Democristiano da sempre, Calisto coltiva l’amicizia con Ciriaco De Mita. Gli dichiara la stima, gli presta l’elicottero, apre una fabbrica nel suo paese natale (Nusco), diventa sponsor dell’Avellino calcio. Convinto da De Mita compra una tv, la Odeon che vuole trasformare in “Telebontà”» (Sergio Bocconi) • «Una scalata da vertigini, a un ritmo del 50 percento l’anno con punte del 74 percento. Andava fiero, il Gran Lattaio, che a Parma tutti chiamavano rispettosamente Il Cavaliere prima che l’ossequioso epiteto gli fosse sfilato da Berlusconi, dai grafici dei suoi bilanci: da 262 milioni a 14 mila miliardi e su su su! E snocciolava le fabbriche che aveva aperto in Russia e in Cile, in Australia o perfino, come ricordava Maurizio Chierici, in Nicaragua. E raccontava del giorno in cui si era sentito davvero arrivato, quando un taxista sudafricano l’aveva apostrofato così: “Scusi, lei è italiano? è vero che anche da voi in Italia c’è la Parmalat?”» (Gian Antonio Stella) • A forza di crescere, spendere, indebitarsi e non capitalizzare mai l’azienda con soldi freschi (cioè soldi suoi), alla fine del 1989 la Parmalat, secondo quanto accertarono i giudici nelle loro indagini del 2004, era già tecnicamente fallita. In quel momento il buco principale era costituito proprio da Odeon Tv, che Tanzi aveva preso non solo per far contenti De Mita e i cattolici, ma per confermare la sua immagine di uomo piissimo, che non saltava mai una messa, che rifuggiva dalla mondanità. Odeon tv gli aveva succhiato 80 milioni di euro in pochi anni, Tanzi poi pompava soldi dalla Parmalat alla società di famiglia (la Sata: il calcolo è stato fatto sull’ultimo periodo 97-2003 e mostra un drenaggio di 173 milioni in un quinquennio), comprava aziende all’estero indebitandosi (6,805 miliardi di euro a fine 2003), distribuiva dividendi ricchissimi (16 milioni l’anno: tra i percettori di dividendi c’erano prima di tutto lui e i suoi) e infine — poiché faceva tutto a debito — si caricava degli interessi sugli interessi, un micidiale moltiplicatore del buco. Marco Vitale ha raccontato che già allora (riferendosi al biennio 1989-90, il più oscuro nella storia di Tanzi) «in una delle principali merchant bank si riteneva che la società fosse opaca, la natura dei nuovi capitali entrati ambigua, la fiducia nell’imprenditore Tanzi bassa» • Tanzi si salvò chiedendo in prestito 120 miliardi alla Centrofinanziaria, la merchant bank del Monte dei Paschi di Siena. Gli furono concessi a due condizioni: che vendesse Odeon e che restituisse i soldi in tre anni. In caso contrario avrebbe pagato cedendo alla banca il 22 per cento dell’azienda (e la banca aveva già pronto l’acquirente: era la Kraft). Odeon fu ceduta a Florio Fiorini, il prestito arrivò, ma non era sufficiente • Ci si decise allora a portare l’azienda in Borsa, ma la fama di Tanzi era già pessima: si sapeva che non pagava i fornitori. Si rivolse allora a Gianmario Roveraro, famoso da giovane perché era stato campione italiano di salto in alto (il primo a superare i due metri, a Lugano, il 9 settembre 1956), molto noto poi come abile finanziere e membro influente dell’Opus Dei (Roveraro è tornato a esser famoso nel 2006: un suo ex socio, che lui aveva rovinato, lo ha sequestrato, ammazzato e fatto a pezzi: vedi BOTTERI Filippo). Roveraro suggerì di quotare Parmalat acquisendo una società già quotata e offrì per questo la Finanziaria Centronord (Fcn) di Giuseppe Gennari «un finanziere tanto oscuro quanto aggressivo che gli fu presentato da Mario Mutti, gladiatore dello “stay behind” ( vedi COSSIGA Francesco — ndr) e massone» (Carlo Bonini-Giuseppe D’Avanzo»). Questa Finanziaria Centronordo — scrivono sempre Bonini e D’Avanzo — era «più o meno una società di strozzo che erogava modesti prestiti a piccoli imprenditori, a commercianti e artigiani scontando i crediti presso il Monte dei Paschi di Siena dov’era direttore generale Carlo Zini che la Fcn aveva fondato e poi abbandonato» • Nel frattempo, ai soliti costi, si sono aggiunti l’impegno per la squadra di calcio (alla fine del 2003 avrà assorbito 500 milioni) e quelli di Parmatour (altri 500 milioni in tutto il periodo). Tanzi ha bisogno di soldi già nel 92, due anni dopo la quotazione. Glieli fa avere ancora una volta Roveraro. Si tratta di sottoscrivere un aumento di capitale di 430 miliardi di lire, al quale per metà dovrebbe fare onore la famiglia Tanzi. E in effetti i 215 miliardi arrivano. Roveraro (a Bonini-D’Avanzo): «Allora Tanzi mi disse che aveva attinto al patrimonio della moglie e io gli credetti anche se cominciai ad avere dei dubbi quando, subito dopo, chiese a me, all’avvocato Sergio Erede e a Renato Picco (Eridania-Ferruzzi) di lasciare libero il posto nel consiglio d’amministrazione che da quel momento è stato sempre composto da familiari di Tanzi o da dipendenti della Parmalat». è da quel momento infatti che cominciano le falsificazioni dei bilanci • Parmalat tirò avanti fino al 2003 grazie alla sua natura di “azienda marcia”. Espressione che significa questo: quando una banca deve avere soldi da un imprenditore che non è più in grado di pagare, si rivolge a Tanzi e gli impone di comprargli l’azienda. Con quali soldi? Con quelli che la banca stessa gli fornirà attraverso l’emissione di un bond da piazzare sul mercato. L’imprenditore, con i soldi che gli dà Tanzi, salderà la banca creditrice. Il debito si trasferirà su Parmalat e, attraverso i bond, sarà scaricato sul pubblico. La banca uscirà dalle sofferenze e lucrerà le ricchissime commissioni legate all’operazione. Questo è lo schema che, per esempio, sta dietro l’operazione Ciappazzi, la società di acque minerali di Ciarrapico che ha messo nei guai Cesare Geronzi • Il sistema che strangola Parmalat è però solo per il 30 per cento italiano. Le banche strozzine sono soprattutto straniere, anzi americane: «Nel 1993, Tanzi ha bisogno di crescere e bussa all’unica porta che conta davvero sui mercati internazionali. Quella di Chase Manhattan (oggi Jp Morgan-Chase). è una scelta felice, perché la strada del Lattaio incrocia quella di un uomo capace di visione, Federico Imbert. Nasce un’amicizia che Tanzi rivendicava ieri e rivendica oggi. Imbert è pronto a scommettere su Parmalat perché ci crede. Perché gli impianti dell’azienda, il suo core business, suggeriscono non solo una solidità industriale del gruppo ma ne fanno intravedere grandi margini di espansione che possono farne la prima vera multinazionale italiana. Collecchio partecipa dunque alla stagione in cui tutti i grandi gruppi italiani scoprono il nuovo mercato dei bond e ne ottiene risultati lusinghieri (spesso la domanda di bond Parmalat è doppia rispetto all’offerta). Tra il 94 e il 96, la scommessa di Imbert ha insomma successo e Tanzi avvia un napoleonico piano di acquisizioni estere. In tre anni, Collecchio diventa il centro di un interesse finanziario che rende il gruppo cliente conteso dai colossi del credito americano ed europeo. Chase Manhattan non è più il solo interlocutore di Parmalat. Tutti vogliono venire a Collecchio. Tutti cercano Tanzi. E chi si fa avanti deve avere qualcosa di meglio e di più da offrire. Che cosa? Tra il 96 e il 97 — spiega un banchiere italiano — Parmalat è un boccone che fa gola a tutti. Anche se i suoi numeri già cominciano a dare dei segnali di sbilanciamento. Alla fine del 96, l’indebitamento lordo del gruppo (vale a dire la somma delle sue esposizioni verso le banche e dell’ammontare di bond che circolano sul mercato) ha superato i 2.500 miliardi di lire (circa 1 miliardo e 200 mila euro) e per sostenere la liquidità è stato necessario un aumento di capitale di 370 miliardi di lire, che Calisto — non deve sorprendere, ormai lo sappiamo — sottoscrive, per la sua quota, con soldi che non ha e che questa volta ottiene con un prestito concesso dall’Ubs. Di più: il gruppo fatica a penetrare sui nuovi mercati americani e in Italia vede addirittura ridotta la sua quota di mercato. Ci vorrebbe qualcuno capace di far ragionare il Cavaliere e il suo direttore finanziario Fausto Tonna e invece... “Invece — dice il banchiere — mentre Chase Manhattan, con Imbert, comincia a raffreddare i suoi rapporti con Parmalat, appare sulla scena Citibank. E, come sempre, lo fa in modo aggressivo. Con il piglio da cowboy che le è proprio: con nessuna prudenza, poco discernimento e troppi soldi. Troppi...”. Nel quadriennio 1997-2000, l’arrivo a Collecchio dei cowboy imprime una nuova accelerazione alle acquisizioni, all’emissione di bond. Con uno schema nuovo. La banca non è più il semplice veicolo di raccolta di liquidi sul mercato finalizzati ad una singola operazione: sia questa una acquisizione o un’iniezione di liquidità necessaria ad alleggerire gli oneri sul debito senza dover ricorrere alla cassa. No, la banca, ora, gioca più parti in commedia. Citibank apre linee di credito che assicurano un finanziamento commerciale a pioggia sganciato dal risultato. Sollecita il management Parmalat a ricorrere al mercato con l’emissione di bond attraverso pool di banche internazionali. Propone acquisizioni di aziende nel cui capitale decide di entrare per una quota parte, salvo vincolare la Parmalat al riacquisto di quelle azioni entro un certo termine (accade in Canada con l’acquisto di Beatrice Food e Ault Food). è una manna che produce grande liquidità e impone uno spregiudicato modello operativo. Chi vuole fare affari con Collecchio — siano le banche americane, siano quelle italiane — deve adeguarsi. è una nuova routine che nessuno oggi sembra disposto a credere figlia della fantasia del ragionier Tonna o del patrón Tanzi, che di finanza poco o nulla sa e non parla una parola di inglese. Ragiona un inquirente milanese: “è qualcuno esterno a Parmalat che suggerisce il nuovo modo di stare sui mercati finanziari”. Chi? “Forse un avvocato di affari milanese”. Sta di fatto che il “nuovo modello operativo” finisce per incoraggiare, consapevolmente o meno, il sistema già in piedi dagli inizi degli anni 90 della contabilità parallela, delle discariche off-shore, funzionali a ricevere i trasferimenti di crediti inesigibili o fittizi. Dunque, ad allontanare quanto più possibile dalla società madre (Parmalat) il peso di voci che ne avrebbero appesantito il bilancio, modificandone il segno» (Bonini-D’Avanzo) • Dopo un lungo incrociarsi di voci sui problemi dell’azienda, che comincia nella primavera del 2003, l’annuncio ufficiale del crack arriva il 17 dicembre di quell’anno: Tanzi non ha potuto onorare un bond da 150 milioni e cerca di tranquillizzare tutti mostrando, tra l’altro, l’estratto conto della sua Bonlat presso la Bank of America da cui risulta una liquidità di 3,95 miliardi di euro; ma il 17 dicembre la Bank of America comunica che a New York non esiste nessun conto Bonlat. Si scopre così che Tanzi e il suo direttore generale Fausto Tonna hanno costruito, con uno scanner, un estratto conto completamente falso. In quel momento la Parmalat è presente in 30 paesi, con più di 500 società (nessuna delle quali in utile), oltre 35 mila dipendenti, ricavi di poco inferiori agli 8 miliardi • Le persone o le società che, in tutto il mondo, hanno nel cassetto un bond Parmalat sono centomila. Il crack è di 14 miliardi di euro. Tanzi viene arrestato a Milano dieci giorni dopo il comunicato della Bofa (27 dicembre 2003). è appena tornato da un lungo giro per il mondo: Parma, Lisbona, Fatima, Lisbona, Madrid, Quito e Guayaquil — in Ecuador — Madrid, Zurigo, Milano, Collecchio. A parte Fatima, dove sarebbe andato a raccomandarsi l’anima a Dio, il giro gli sarebbe servito per sistemare partite finanziarie personali, conti esteri, tesoretti • La Parmalat è stata salvata dall’opera paziente e implacabile del commissario Enrico Bondi, chiamato dallo stesso Tanzi e supportato poi da un’apposita legge varata a tutta velocità dal ministro Marzano (Attività produttive, Berlusconi II). Bondi ha tra l’altro chiesto 10 miliardi di danni alla Bank of America e si aspetta di recuperare due miliardi dalle revocatorie. L’azienda è stata rimessa in piedi, e il 6 ottobre 2005, giorno in cui è tornata in Borsa, a Londra veniva valutata 4,8 miliardi di euro (fatturato meno debiti). Quel 6 ottobre l’azione si apprezzò ben oltre i 3 euro, salvo crollare di un 13 per cento il giorno dopo. Nel 2006 il valore del titolo è cresciuto del 22 per cento, grazie a questi dati di bilancio: ricavi consolidati + 6,8% (1,972 miliardi), mol (margine operativo lordo) +21,4%, indebitamento — 14% (316,5 milioni) • L’inchiesta ha dato luogo a due maxi processi che si svolgono a Milano, dove vengono giudicati i reati di Borsa, e a Parma (tutto il resto). Il processo di Milano è cominciato il 28 settembre 2005. Quello di Parma il 6 giugno 2006. A Parma si sono costituiti in giudizio, chiedendo i danni, 33 mila risparmiatori. A Milano 40 mila. Tanzi, che è tornato libero il 27 settembre 2004 dopo 275 giorni trascorsi tra prigionia e arresti domiciliari, dice ad ogni occasione che prega Dio, che la colpa è tutta delle banche e che per favore lo si perdoni. I giudici di Parma hanno accertato che Tanzi ha distratto da Parmalat verso le altre aziende di famiglia 900 milioni di euro. Di questi, 26 milioni sono finiti direttamente nelle sue tasche • «La storia di Tanzi è una storia che attraversa la prima e la seconda Repubblica, senza cesure. Appartiene all’album di famiglia dell’Ulivo, su questo non c’è dubbio, ereditato da quel pezzo di Scudocrociato che si oppose all’avvento del Cavaliere. Non a caso appoggiò la sfida di Prodi nel 96, in ostilità a Berlusconi. Non a caso nel 2001 divenne azionista di Nomisma, così vicina al Professore. E non a caso il suo nome era nella lista degli imprenditori a cui rivolgersi, quando venne tentato il primo salvataggio dell’Unità con D’Alema a Botteghe Oscure. Tanzi, insomma, è una costola del centrosinistra» (Francesco Verderami) • I due figli, Francesca (primogenita) e Stefano, s’erano occupati, rispettivamente, del turismo (Parmatour) e della squadra di calcio del Parma. Sono stati tutte e due coinvolti nel crack.