Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DE GREGORI
Francesco Roma 4 aprile 1951. Cantante. Autore • Chitarrista di Caterina Bueno, poi al Folkstudio di Roma, nel 72 il primo album
(Theorius Campus) con Antonello Venditti, nel 73 Alice non lo sa (che sarebbe divenuta un classico) gli vale l’ultimo posto a Un disco per l’estate. Va meglio con Francesco De Gregori (74, con Niente da capire), poi Rimmel (75, con Rimmel, Pablo, Buonanotte Fiorellino). Ispirato da Bob Dylan, contestato nel 77 al Palalido di Milano dall’estrema sinistra, continua a raccogliere successi (nel 78 Generale e Ma come fanno i marinai), fa una trionfale tournée con Dalla e Ron (Banana Republic), nell’82 realizza Titanic, secondo molti il suo capolavoro (con Titanic e La leva calcistica della classe ’68) ecc. «Credo che la musica sia migliore del cinema o della letteratura attuali. Fra le
arti è quella che resiste meglio» • «Il più austero dei nostri cantautori» (Gino Castaldo) • Francesco De Gregori si chiamava uno dei fratelli maggiori di suo padre, «aveva pochi anni più di lui», partigiano della brigata Osoppo, «nulla a che vedere con Salò, faceva la guerra ai fascisti e ai tedeschi». Ma furono altri partigiani ad assassinarlo, a Porzus. Gappisti. Insieme con il
fratello di Pasolini (cui ha dedicato una canzone) • «Renzo De Felice era un uomo delizioso. Il contrario del barone. Disponibile,
puntuale, attento ai suoi allievi. Ne ho un bellissimo ricordo, con il toscano
sempre in bocca, mentre parla, e talvolta balbetta. Arrivai alla Sapienza nel
69, a diciotto anni, e all’inizio finii in braccio a Marcuse. Sociologia. Ferrarotti, Statera. Si parlava
male degli storici, di chi studiava le differenze tra le rivoluzioni francese,
americana, russa; l’importante era studiare come la rivoluzione andasse fatta. Dopo un anno e mezzo
passai alla storia. E trovai De Felice. Diedi due esami con il suo assistente
Paolo Mieli, conobbi Giovanni Sabbatucci. Con De Felice preparai la tesi di
laurea, sulle biblioteche popolari del fascismo, un interesse che mi aveva
comunicato mio padre, bibliotecario»
• «Uno dei non molti cantautori italiani che ha adoperato la parola, fin dai
precoci inizi, con un rispetto e una cura perfettamente letterari. Anche se De
Gregori non accetta e anzi osteggia gli apparentamenti facili tra poesia e
canzone (e non perché valuti la seconda inferiore alla prima, ma perché difende, giustamente, la preziosa e fragile specificità della parola cantata), la sua scrittura sopravvive benissimo anche svestita
della musica. Tra il De Gregori ventenne e quello cinquantenne non ci sono
clamorosi scarti di stile o di intensità o di “genere”. Scrivere negli anni del furore politico o in quelli del ripiegamento
individuale o in questi, di confusione e guerra, non ha comportato, per lui,
troppo evidenti aggiustamenti di linguaggio. E se si considera che De Gregori,
tra i cantautori italiani, è decisamente uno dei più “politici”, permeabile ai mutamenti di cultura e di costume, tutt’altro che estraneo all’aria che tira e agli umori dell’epoca, questa complessiva unità di stile significa che è un autore vero, uno dei non molti che sanno tenere dritta la barra» (Michele Serra)
• «Se ripenso al passato, ci sono tante cose che non rifarei. Se devo pensare a
quando ho fatto causa a Morandi, oggi mi sembra assurdo, ma ci sono momenti in
cui ti viene di fare così. Il mio modo di scrivere versi è legato al non detto, all’accenno, all’allusione piuttosto che al manifesto, alla canzone col dito puntato. Io del
resto non ho mai nascosto il mio essere consonante alla sinistra, se me lo
chiedono in un’intervista dirò sempre che Berlusconi mi fa schifo e che voto a sinistra, ma tradurre tutto
questo in una canzone è diverso. Io sono perfettamente consapevole di fare cultura. Intendiamoci, così come la fa Gigi D’Alessio»
• «La leva calcistica parla dell’adolescenza, per anni non sono riuscito a farla, adesso la canto volentieri» • «Rimmel fu un disco anomalo, c’era un suono, però poi sono tornato indietro. Mi concentravo troppo sulle parole, cantavo male» • Su De André: «Facemmo anche un disco insieme, Volume VIII. Lui dormiva di giorno, io di notte. Fabrizio stava sveglio sino all’alba, a leggere, bere, comporre musica. Prima di andare a letto mi svegliava, e
io proseguivo il lavoro dal punto in cui l’aveva interrotto». Su Venditti: «Convinti entrambi di essere dei geni, eravamo un po’ rivali, ma siamo sempre stati amici». Su Guccini: «Ho passato un bellissimo pomeriggio a casa sua, e poi basta». Su Dalla: «C’è stata una consuetudine che si è perduta, ma della tournée ancora si parla». Su Vasco Rossi: «Mi piace molto. è figlio della sua epoca, i primi Anni Ottanta, e pur essendo un uomo di sinistra
per comportamenti e dichiarazioni, i suoi testi esprimono suggestioni
individualiste, superomiste, futuriste; categorie considerate patrimonio della
cultura di destra. è una riprova che le canzoni non devono passare attraverso i filtri della
politica»
• «Al liceo, il Virgilio, leggevo Paese Sera. Non L’Unità, che mi pareva troppo schierata. Non andavo ai cortei, solo un paio di volte,
mi imbarazzava il rituale, i pugni chiusi, il canto di Bandiera Rossa. Poi arrivò il Sessantotto e mi trovai scavalcato a sinistra da gran parte dei miei
coetanei. Alcuni mi avrebbero riscavalcato a destra negli anni a venire» • «Quando ho suonato per una causa politica mi sono sempre pentito, perché alla fine ci si sente usati. Resiste un’attitudine togliattiana: l’artista viene percepito come utile idiota. Colui che si presta. Quando i
socialisti si appropriarono di Viva l’Italia per uno spot elettorale pregai un amico di farli smettere; però non avrei mai fatto causa al Psi. Avevo scritto una canzone su Craxi, L’uomo ragno, non mi piaceva la loro arroganza, ma era pur sempre il partito di Nenni,
Lombardi e Brodolini» (da un’intervista di Aldo Cazzullo) • «Il ruolo dei musicisti in America è centrale, molto più importante che da noi, e non per colpa degli artisti italiani. Da noi c’è una specie di embargo da parte della cultura ufficiale, ed è una cosa che col passare del tempo trovo sempre più insopportabile. Il primo comicaccio che fa un libro diventa un intellettuale,
molto più di quelli come me che fanno canzoni» • Romanista. Ha detto di essere buon amico di Capello («ha spiegato il fuorigioco a mia moglie»).