Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SALVI Cesare Lecce 9 giugno 1948. Politico. Senatore. Dell’Ulivo (Ds, leader della corrente Socialismo 2000)
SALVI Cesare Lecce 9 giugno 1948. Politico. Senatore. Dell’Ulivo (Ds, leader della corrente Socialismo 2000). Laureato in Giurisprudenza, docente universitario, militante del Pci dal 71, membro della segreteria dal 90, al Senato dal 92, è stato ministro del Lavoro nei governi D’Alema I e II e Amato II • «Professore di diritto civile, ex capogruppo dei senatori ds, relatore della Bicamerale, padre del semi-presidenzialismo temperato, è il Tyson del Palazzo (e i Tyson non si piegano, e se lo fanno dura poco). Non solo per il suo fisico imponente e autorevole di cui va molto fiero: alto e massiccio, l’estate i rotocalchi non mancano di pubblicare una sua foto in costume da bagno, e sua moglie Maria in una intervista d’agosto ha svelato che come biancheria intima preferisce lo slip al goffo boxer. Non solo per l’incedere maestoso: “Ha un corpo vistoso che ostenta con l’aria di un grande, tirando fumo da quel lungo sigaro che sembra una zucchina”, descrive l’onorevole Filippo Mancuso, di cui nel 95 Salvi chiese lo scalpo da ministro della Giustizia (“O ti sottometti o ti dimetti”, gli disse). Ma anche per la sua smania di primeggiare, per il suo vizio di correggere, per quel suo fare da professore che lo ha spinto a strapazzare, negli anni, Gherardo Colombo, Giovanni Maria Flick, Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Walter Veltroni, Oscar Luigi Scalfaro, i Popolari, la Corte costituzionale e anche D’Alema. Questo lato della sua personalità si manifesta molto presto, già a undici anni. A Lecce, dove è nato, nonostante il suo simpatico accento da pizzardone romano, figlio di Don Ciccio (“Un bravo avvocato, di provincia, ma bravo” è così che lui lo ricorda), quando era studente alle medie del collegio Argento dei gesuiti tormentava i suoi maestri con ogni sorta di polemiche. A tredici, racconta un suo compagno di scuola, rovinava i pomeriggi di vacanza, tenendo soporifere conferenze sulla storia del Sud America. A 25 anni faceva di più. Dopo la laurea in Legge all’università di Roma (compagni d’ateneo Luca di Montezemolo e Giuseppe Consolo), stravince il concorso per entrare al Senato: arriva primo e si classifica secondo nella graduatoria di tutti i tempi (il record lo deteneva Salvatore Sechi, diventato poi consigliere giuridico del Quirinale). Il suo esame orale è impeccabile, le risposte sono da manuale. Ma non gli basta. Corregge e riformula meglio le domande che maestri del diritto come Francesco Santoro Passarelli gli fanno. Un uomo preparatissimo. Ma che l’Onu non sceglierebbe come tipo adatto a sedare una rivolta. Al Senato cominciarono le scintille. Soprattutto con Carlo Pinzani, entrambi erano del Pci e da funzionari si contendevano la leadership della cellula al Senato. Nel 76 Pinzani era responsabile della verifica dei dati elettorali: ci fu un problema di conti. Salvi, con la solita timidezza, gli diede pubblicamente del pasticcione. Quando, un’altra volta, capitò la stessa cosa ma in un’assemblea presieduta da lui, e un collega gli consigliò le dimissioni, Salvi lo rimbeccò con una frase in stile coatto. Più di vent’anni dopo, la stessa fermezza. A gennaio del 99 a Botteghe Oscure cominciò a girare la voce di un possibile avvicendamento alla poltrona di capogruppo al Senato, a causa della sua straripante facondia che provocava molti malumori (tanto che senatori ds come Claudio Petruccioli e Gavino Angius sbottarono: “Non deve nascere confusione tra i suoi orientamenti personali e quelli del gruppo”). Salvi disse come la pensava ai giornalisti: “Lascerò questa stanza solo di mia volontà e solo per fare qualcosa di meglio”. Tutti sapevano che il meglio per lui poteva essere solo un ministero. Amletico d’animo, Salvi ha seguito le varie evoluzioni del partito: è stato berlingueriano, nattiano, occhettiano, veltroniano. Ora è un dalemiano con l’ambizione di guidare la corrente più a sinistra: dopo aver inneggiato al primo ministro francese, è stato soprannominato “er Jospin de Pietralata” (quartiere periferico di Roma dove è stato eletto). A scoprire i suoi talenti fu Aldo Tortorella che lo infilò nel Centro per la Riforma dello Stato, vivaio di giuristi del Pci, strappandolo a una carriera di professore (apparteneva alla covata di Rosario Niccolò che lo considerava un genio) e di avvocato miliardario, iniziata nello studio di Giuseppe Guarino, poi diventato ministro dell’Industria e delle Finanze: “Era un collaboratore molto acuto, cara”, affetta Guarino. “Un talento che la politica ha sottratto al Foro”. Da vero avvocato sa passare dalla difesa all’accusa. Fino al 95 è stato appassionato apologo del pool Mani pulite. Ma nel 96 a Orvieto, in un convegno sulla giustizia, ha recitato il mea culpa sulla faccenda» (Denise Pardo) • Due matrimoni (il primo con Dagmar Flascassovitti, figlia di un avvocato di Lecce; l’attuale con Maria Freddosio, bibliotecaria di Montecitorio, una storica, studiosa del ruolo delle donne nella Repubblica di Salò), due figlie di secondo letto, un fratello, Giovanni, sostituto procuratore a Roma. è appassionato di ciclismo, macchine d’epoca, filosofie orientali.