Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
RONCONI
Luca Susa (Tunisia) 8 marzo 1933. Regista. Dal luglio 98 direttore artistico del
Piccolo Teatro di Milano. «Mi piace che l’attenzione degli altri vada a quello che faccio più che a quello che sono» • Inizi da attore, regista dal 63 (La buona moglie, Goldoni), si è fatto conoscere nel 66 con i Lunatici di Middleton e Rowley, seguono Misura per misura (Shakespeare) e Riccardo III (con Vittorio Gassman), La tragedia del vendicatore di Tourneur (solo interpreti donne), Partita a scacchi di Middleton (i ragazzi dell’Accademia usati come pedine), il Candelaio di Giordano Bruno (le parti dei marioli contestatori affidate ad attori non
professionisti), quindi l’enorme successo in tutto il mondo dell’Orlando furioso, ridotto e volto in prima persona da Edoardo Sanguineti nel 69 (azioni in
simultanea; gli spettatori, a diretto contatto con i personaggi, spingono i
palcoscenici mobili e i carrelli: non essendo possibile vedere in una sola
volta l’intero spettacolo, ciascuno si sceglie un proprio percorso come se sfogliasse le
pagine d’un libro). All’Odéon di Parigi, XX viene recitato da 10 attori italiani e 10 francesi nella rispettiva lingua, sul
lago di Zurigo viene montata su galleggianti anche per il pubblico la Kätchen von Heilbronn di Kleist (spettacolo vietato dalla polizia cantonale alla vigilia della prima
per motivi di sicurezza), nel 72 (Festival di Belgrado, Biennale), è la volta dell’Orestea di Eschilo (otto ore di durata) ecc. • «Nato in Tunisia, a Susa, perché lì sua madre insegnava Lettere. C’era anche suo padre. I genitori si separarono. Lui e la madre lasciarono l’Africa. Aveva sette anni quando scoppiò la guerra: “Era una situazione estrema che non tutti vivono allo stesso modo. Mio padre morì in quegli anni. Mia madre lavorava fuori Roma. Forse fu per questo motivo che
mi mandò a studiare in un collegio svizzero. Ma ricordo poco di allora, e non perché fossero particolari sgradevoli”» (da un’intervista di Osvaldo Guerrieri)
• «La mia prima volta da spettatore non l’ho mai dimenticata, è fra le mie memorie più vive. Mia madre mi portò in un teatro di Roma a vedere una commedia. Non saprei dire che cosa fosse. Era
una commedia in genovese con Gilberto Govi. Ricordo che si parlava di una
gallina, ricordo che mia madre me ne parlava, ricordo che ero in uno stato di
sovreccitazione» • «Avevo dieci anni quando cominciai a capire qualcosa, quando “seppi” che là sarei finito, pur non immaginando come. Non sapevo se avrei fatto l’attore, il regista, lo scenografo, l’attrezzista. Ma sapevo che qualcosa avrei fatto. Studiavo poco, ero distratto.
Mi ricordo le letture fatte a casa ma non quello che ho studiato. Leggevo i
classici russi e francesi, soprattutto tanto teatro. Il fatto è che a scuola mi sentivo infelice e sempre inadeguato, perché temevo di non arrivare a maneggiare le materie che si studiavano. Per
iscrivermi all’Accademia d’arte drammatica dovetti combattere. Mia madre non era felicissima. Alla fine
cedette ma mi ordinò: prendi la laurea. Fu così che mi iscrissi a Legge. Riuscii a dare due esami. Poi ho incominciato a
lavorare e mi è andata abbastanza bene»
• Non ancora diciottenne fece gli esami all’Accademia d’arte drammatica di Roma: «Invece di fare tre anni di apprendistato ne feci solo 2. Venni infatti
scritturato dal regista Luigi Squarzina come attor giovane vicino al già famosissimo Vittorio Gassman nello spettaolo scritto dallo stesso Squarzina Tre quarti di Luna. Funzionò, me la cavai discretamente, anche se dopo la prima dissi: “Questo mestiere non fa per me, non posso fare l’attore, non mi sento a mio agio”. I miei amici più maliziosi ricordano invece il manifesto dello spettacolo dove io, giovane
seminarista, pugnalavo alle spalle il preside Vittorio Gassman. Loro,
ovviamente, vogliono dare a quest’immagine un valore simbolico, ma non è vero niente, Da parte mia c’è sempre stata grande ammirazione per Vittorio attore e regista, e gli sono molto
grato non solo per avermi preso con lui, ma soprattutto per aver accettato il
ruolo di protagonista del
Riccardo III di Shakespeare, una delle mie prime regie» (da un’intervista di Giuliana Calandra) • «“Quando lo dirai - perché lo dirai - sii generoso”. Questa frase il più tormentato, famoso, ispido, tenebroso dei nostri registi non se la dimenticherà mai. è infatti la frase chiave della sua prima vita: quella di attore, quando ancora
pensava che il suo futuro fosse sul palcoscenico, non dietro il palcoscenico.
Luca Ronconi, il regista della fantasia senza orario (uno spettacolo può durare anche sei ore), colui che portò in giro per le piazze
Orlando Furioso, con cui si consacrò regista di fama internazionale, esordì come attore in una commedia di Olga Villi. Faceva lo studente sedotto dalla
tardona e questa frase - detta dalla protagonista — chiudeva la commedia (era Tè e simpatia di Robert Anderson — ndr). Ronconi aveva allora quell’aria intellettuale che ancora si porta appresso, ma negli anni 50, quando iniziò a calcare le scene, non andava di moda. Ai tempi piacevano i bulli con l’aria scanzonata e mascalzona e Corrado Pani gli rubò tutte le parti. Il Luca Furioso, scippato del suo lavoro, si consolava per Roma
con i suoi scalmanati amici di allora: Enrico Lucherini, Flora Clarabella,
Roberto Capucci, Paolo d’Espagnet. Una banda che faceva scherzi telefonici e di notte girava per via
Veneto con affacciato al finestrino della vettura il posteriore, nudo, di Lea
Tuzzi. A tanta voglia di osare si contrapponeva il volto intellettuale del Luca
Furioso. La sua ultima performance teatrale fu in
Anna Frank, copione considerato dagli altri registi congeniale alla sua faccia. In quei
tempi difficili, diviso fra dolce vita e umiliazioni, Ronconi era un giovinotto
economicamente accorto e i suoi primi guadagni li investì in una casetta, a Zagarolo. Lì, alle porte di Roma, viveva il grande regista. Lì, a Zagarolo, affinò il suo pollice verde e quando non faceva casino con gli amici annaffiava,
ossessivamente, le sue piante. Poi un viaggio a Londra e la grande idea: girare
un testo elisabettiano dentro un manicomio. Esordì così, come regista, nei
Lunatici. Fu subito un grande, discusso successo. Un successo al quale si adattava
proprio bene la sua faccia da intellettuale. Una faccia da bulletto
ginnastico-abbronzato non avrebbe combaciato con quella regia, quelle scene,
quella recitazione. Così, con una compagnia povera e dei costumi un po’ rabberciati, anche se da Umberto Tirelli, cominciò la fortuna registica di quell’attore con la faccia troppo intellettuale per i tempi. “Mi avessero detto che diventavi un regista di successo non ci avrei creduto mai”. Disse, amorosamente sfottendolo, la sua amica Flora Clarabella, ormai accasata
con Marcello Mastroianni. ma in fondo chi avrebbe detto che quei ragazzi che
giravano per via Veneto con la macchina con il finestrino aperto e il culo
fuori, sarebbero diventati tutti famosi? Ognuno a modo suo. Con quella faccia
da intellettuale Luca Ronconi non poteva venir fuori che così» (Lina Sotis)
• «Non mi interessava tanto la condizione dell’attore, quanto i problemi relativi alla recitazione dell’attore. Recitare non mi piaceva, perché mi mancava quel tanto di piacere esibizionistico indispensabile a qualsiasi
attore. Mi è sempre piaciuto più mascherarmi che spifferarmi» • «Non ho mai pensato in termini di programmazione della carriera. Mi interessava
fare. Per me la carriera è stata un risultato, non un progetto. Lo è tutt’ora. è stato per caso che ho cominciato a fare il regista. Era il 63. Ero in compagnia
con Corrado Pani, Ilaria Occhini e Gian Maria Volontè. Mi proposero di dirigere la Bettina di Goldoni. La compagnia si sciolse dopo due mesi. Perdemmo tutti dei soldi.
Per due anni non feci niente, salvo viaggiare, leggere libri. Il successo arrivò con lo scandalo dell’Orlando furioso. Fu una cosa che prese tutti in contropiede. In me non c’era alcuna intenzione provocatoria, anzi quello spettacolo mi sembrava naturale.
Certo era a carattere liberatorio. Purtroppo, in queste cose, qualcuno si sente
sempre minacciato dalle possibilità aperte dalla libertà. A lungo sono stato considerato una figura ingombrante. Basti pensare alla
levata di scudi contro il Laboratorio di Prato che dirigevo negli anni 70» • Sul rapporto con Strehler: «Non è vero che tra noi c’era gelosia. Ci vedevamo poco. Avevamo dodici anni di differenza, ma di fatto
eravamo coetanei. Il conflitto tra noi era una leggenda: eravamo solo diversi,
lui era la personalità che tutti sappiamo, io mi tengo più in disparte. Mi piace credere che all’ammirazione e rispetto che ho sempre avuto per lui corrispondesse una stima se
non per le cose che faccio, per il modo con cui affronto il mio lavoro, anche
nel teatro che lui fondò»
• «In tedesco la parola sedurre si traduce con “verführen”, ossia condurre altrove; ma nel momento in cui non esiste più un altrove il problema non si pone più... Ci sono dei termini che cadono in disuso: seduzione è uno di questi. Dire cinquant’anni fa a una donna che era seducente era un complimento, mentre oggi viene
recepito negativamente. Oggi le donne ricorrono alla chirurgia estetica non per
essere seducenti, ma per sentirsi “a posto”» (da un’intervista di Francesca Pini) • «Mi piacciono i boschi, le lepri, i campi coltivati, le volpi, i torrenti, i
cinghiali, gli ulivi, le stelle. Ed è per questo che sono andato a vivere in una casa in Umbria, in un paesino che si
chiama Casa del Diavolo, dove posso vedere tutte queste cose» • «Luca ama molto le piante, lui stesso è una pianta: è misterioso come un albero, è misterioso come un cespuglio. Credo proprio che lui sia una grossa pianta
spinosa» (Adriana Asti) • «La vita di Luca è totalmente dedicata al teatro. Mi ricordo che una volta gli chiesi se potevo
ritardare le prove perché c’era il derby. Lui mi guardò stupito chiedendomi di che cosa si trattava: non aveva assolutamente capito che
stavo parlando della partita Roma-Lazio» (Corrado Pani).