Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
RUINI Camillo Sassuolo (Modena) 19 febbraio 1931. Cardinale. Presidente della Conferenza Episcopale Italiana • «“Sarebbe un magnifico nostro presidente del Consiglio, peccato che sia un prete”» (un leader democristiano citato da Luigi La Spina) • Ordinato sacerdote l’8 dicembre 1954, è stato nominato vescovo nell’83 e segretario della Cei tre anni dopo, sotto la presidenza del cardinal Poletti, vicario del Papa per la diocesi di Roma
RUINI Camillo Sassuolo (Modena) 19 febbraio 1931. Cardinale. Presidente della Conferenza Episcopale Italiana • «“Sarebbe un magnifico nostro presidente del Consiglio, peccato che sia un prete”» (un leader democristiano citato da Luigi La Spina) • Ordinato sacerdote l’8 dicembre 1954, è stato nominato vescovo nell’83 e segretario della Cei tre anni dopo, sotto la presidenza del cardinal Poletti, vicario del Papa per la diocesi di Roma. Nessun cardinale prima di lui è rimasto alla guida della Cei tanto a lungo • «I prelati che lo conoscono da decenni raccontano di un uomo leale, pragmatico però mai cinico, di assoluta affidabilità. è semmai un uomo asciutto. Nella sua parola la geometria prevale sul pathos. “Ragiona come un arcivescovo tedesco”, ha detto di lui Giorgio Rumi. Quando seppellì i morti di Nassiriya non suscitò commozione; tenne una lucidissima orazione politica, in difesa dell’impegno italiano in Iraq e contro il terrorismo (“noi non fuggiremo davanti ai terroristi; li fronteggeremo, ma non li odieremo...”). Come Wojtyla, Ruini ha un forte senso della politica; ma, a differenza di Montini, che Cossiga e Andreotti considerano il vero fondatore della Dc, Ruini si è mosso in un quadro non vincolato dall’unità dei cattolici. Chiamato a guidare la Cei nel 91, al tramonto della Democrazia cristiana, in questi anni ha esteso l’influenza della Chiesa ben oltre i confini di un partito; come ha dimostrato con l’invito all’astensione al referendum del 12 giugno 2005, cui si sono inchinati cattolici di destra e di sinistra oltre al premier. Prima ancora della politica, però, viene per lui la filosofia. Da giovane — fu ordinato sacerdote a 23 anni — lo chiamavano don Camillo. Padre emiliano, madre veneta, laureato alla Gregoriana, ha insegnato filosofia nei licei. Soprattutto, ha studiato: Kant, Heidegger, Husserl; e Tommaso, sulla cui rilettura in chiave fenomenologica è avvenuto l’incontro con il pensiero di Wojtyla. Quando altri mandavano a memoria i francesi Maritain e Mounier, Ruini si formava sui tedeschi, in particolare Rahner, di cui ha dato poi un’interpretazione critica; mentre con Ratzinger ha maturato una sintonia dottrinaria cui è poi seguita una consuetudine personale. Se a Ratzinger era riconosciuto un primato intellettuale nel conclave, Ruini era senz’altro il più noto e il più popolare tra gli italiani. Quando arrivò alla Cei come segretario, nell’86, “avevamo a malapena i soldi per pagare quattro impiegati”. Poi venne l’8 per mille. Oggi la Chiesa italiana ha a disposizione una borsa molte volte più gonfia di quella papale dell’Obolo di San Pietro, e Ruini ne ha sempre versato una parte al Terzo Mondo: la sua generosità, oltre che il suo prestigio, ha fatto sì che a ogni sinodo fosse eletto tra i prelati incaricati di scrivere con il Papa il documento conclusivo. Già padrone del tedesco e del francese, a suo agio con lo spagnolo — nel gennaio del 97 ha predicato nella cattedrale dell’Avana — ha passato l’estate del 98 tra l’Inghilterra e l’Irlanda, per perfezionare l’inglese. Ha seguito spesso Wojtyla nei viaggi più importanti, e ha coltivato i rapporti con i movimenti e le associazioni: quando si trattò di scegliere un segretario per la Cei, volle un focolarino come Ennio Antonelli; e a Roma intitolò una parrocchia a Escrivá de Balaguer ( fondatore dell’Opus Dei — ndr) prima ancora che divenisse santo. Schivo, taciturno, a volte enigmatico ma non amante della solitudine, Ruini è immune dal male che corrode anche qualche porporato: la vanità. Alla testa della Chiesa italiana al tempo della tv, ha fatto un uso discreto della Rai, preferendo lavorare di cesello: saggi, documenti, citazioni (talora di editorialisti laici). Gran lettore di quotidiani e riviste, ha grande stima di Dino Boffo, direttore di Avvenire, e di Sandro Magister, vaticanista dell’Espresso e autore del saggio Chiesa extraparlamentare (“Ruini è vicino a Wojtyla più di Richelieu al Re Sole”) . Ha scritto un libro con Eugenio Scalfari, Gianni Vattimo e Claudio Magris (Le ragioni della fede), ha discusso a distanza con gli intellettuali che Avvenire ha definito “i tre Alberti” (Ronchey, Asor Rosa e Arbasino), ha pubblicato da Mondadori una raccolta di saggi dal titolo giovanneo Nuovi segni dei tempi, in cui teorizza la sintesi cara a Wojtyla tra teologia antropologica e cristologica, tra la centralità dell’umano e del divino. Ruini ha celebrato il matrimonio di Prodi, ma politicamente se n’è separato. Vicino a Ciampi e a Fazio, gelido con Scalfaro, ha definito Dossetti portatore di “una visione catastrofale dell’Occidente” e amato Tocqueville; in particolare laddove invita la religione a non schierarsi mai con un partito o un regime: perché allora “essa aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti”» (Aldo Cazzullo) • «Illuminante è, poi, la predilezione di Ruini per un’icona del pensiero liberale, Alexis de Tocqueville. L’aristocratico francese, formidabile analista della democrazia americana, nella quale sosteneva fosse pienamente riuscita la fusione tra “spirito di religione e spirito di libertà”. è questo, infatti, il nucleo fondamentale dell’impegno, come cattolico e come cittadino, di questo emiliano atipico. Il suo volto, affilato e pallido, contrasta, infatti, con lo stereotipo paffutello e roseo del nativo di quella grassa e gaudente terra al di sotto del Po. All’estroversione e bonomia tradizionale dei suoi concittadini, Ruini contrappone la riservatezza e un certo, apparentemente algido, approccio sia col mondo sia con gli uomini. Chi lo conosce meglio, invece, sa che, dietro il suo atteggiamento schivo, assolutamente impermeabile alla vanità mediatica e alla facile popolarità, cela un’affettuosità capace di slanci imprevisti, un carattere ironico e arguto, ma tenace, nelle collere come nelle simpatie. Il capo dei vescovi italiani, buon conoscitore dei maggiori protagonisti della politica negli ultimi 30 anni, ha vissuto la decomposizione della Dc con amarezza, ma anche con distacco e, soprattutto, ne ha capito, da grande osservatore della nostra società, le ragioni profonde. Il rimpianto non fa parte del suo stile pragmatico, la nostalgia non ha spazio in una mentalità sostanzialmente e, persino sorprendentemente, ottimista, il peso del passato non ingombra il suo attivismo volontaristico» (Luigi La Spina) • «Ostile da subito al possibile contagio dell’ulivismo ante-litteram di Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, il cardinale contribuirà con pesanti pressioni a impedire (dopo Tangentopoli) il decollo dello schieramento Segni-Occhetto, facendo fallire il primo tentativo di arrivare in Italia ad un governo alternativo di centrosinistra. La battuta d’arresto costerà al Paese l’avvento di Berlusconi, ma la gerarchia ecclesiastica riterrà sempre di avere evitato in tal modo una rapida secolarizzazione della società italiana. La seconda fase ha luogo negli anni Novanta. Il cardinale, ormai saldo alla guida dell’episcopato, comprende che non basta giocare la partita nei corridoi del potere, ma è necessario uno sforzo di più ampio respiro. Nasce nel 94 il “Progetto culturale orientato in senso cristiano”. Ruini lo lancia come una strategia capace di portare la fede a produrre cultura e a incidere nella visione antropologica degli italiani. L’iniziativa riconosce, in fondo, il carattere minoritario del cristianesimo nel calderone dell’odierna società multitendenziale e al tempo stesso rappresenta un richiamo all’evangelico “farsi lievito” della fede nel paesaggio sociale. “Dobbiamo ‘far nascere’ il cristiano”, dirà ancora qualche anno fa il cardinale in un’intervista» (Marco Politi) • «Il Cardinale va matto per i soldati e le divise. Colleziona riviste militari, sa tutto di aerei e carri armati, come a volte, in qualche momento di confidenza, racconta ai visitatori, si illumina di entusiasmo quando ne discute con un altro amante del settore, Francesco Cossiga. Una passione innocente, quasi infantile, per un uomo di Chiesa che per mestiere predica la pace» (Marco Damilano).