Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
DORFLES
Gillo Trieste 10 aprile 1910. Critico d’arte (pittore, medico-psicoanalista, saggista, poeta). Tra i suoi libri: Le oscillazioni del gusto (1958), Ultime tendenze nell’arte di oggi (1961), Il kitsch (1970), Moda e Modi (1979), La moda della moda (1984), Elogio della disarmonia (1987), Itinerario estetico (1988), da ultimo Horror pleni. La (in)civiltà del rumore (Castelvecchi 2008) • «L’ombra è una delle prime coincidenze tra natura e arte» • «Per qualche anno sono stato cittadino dell’Impero. Poi quando è scoppiata la Guerra mi trasferii a Genova, la città di mia madre. Restammo lì alcuni anni» (ad Antonio Gnoli) • «Ha vent’anni Dorfles quando, nel 1930, dalla natia Trieste, piomba a Milano per studiare
Medicina. Qui, ritrova gli amici d’infanzia Ernesto Rogers e Bobi Bazlen. Il primo, lo presenta agli altri
architetti del gruppo Bbpr; a quelli razionalisti come Figini e Pollini,
Albini, Zanuso, Viganò, Canella; ad artisti come Soldati, Fontana, Bucci. Il secondo, a letterati come
Gadda Conti e Titta Rosa (che lo fa subito collaborare a La Fiera letteraria).
Su un altro versante, la frequentazione fiorentina di Dorfles con Montale,
Bonsanti e Loria lo spinge a scrivere versi. Ma, una volta rientrato a Milano,
dirà: “Mi resi conto che non ero all’altezza di Montale o Ungaretti e preferii gettare la spugna. Un po’ di modestia...”. Non scrive più poesie? No, no. Continua a farlo, solo che ogni volta finge di avere nel
cassetto inediti che risalgono alla stagione fiorentina: la stessa atmosfera di
allora e lo stupore dinanzi alla vita, una certa limpida e apparente semplicità e anche l’invenzione di qualche neologismo. Così, per i suoi 90 anni, ne tira fuori sette con le quali il Fiorin della Colophon
confeziona un volume d’arte. Contributi grafici di Baj, Bonalumi, Castellani, Kounellis, Paladino,
Paolini e Arnaldo Pomodoro. Quando va via da Trieste, Dorfles si lascia alle
spalle anche una città mitteleuropea. C’erano Svevo, Saba, Weiss, Nathan (presente alla Biennale del 28). Il suo esordio
in galleria avviene nel 1935. La pittura tiene conto delle letture, dell’influenza surrealista, dei seminari svizzeri di Steiner. Gli anni successivi
vedranno nascere il sodalizio di Dorfles con Monnet, Soldati e Munari: vanno
alla ricerca di forme libere, primordiali. Così, nel 48, danno vita al Movimento arte concreta (Mac). Dal 60 all’80, l’artista ha, per così dire, una battuta d’arresto. L’insegnamento universitario, la critica militante (oltre 30 libri) non gli
lasciano tempo di dedicarsi alla tavolozza. Solo dopo l’80, Dorfles torna all’antico amore. Ma con sostanziali differenze. Da studioso dell’evoluzione artistica del tempo, aggiorna anche il suo linguaggio pittorico. Vi
entrano a far parte nuovi elementi; o quelli vecchi subiscono modifiche
radicali. C’è sempre stata in lui una vena narrativa, ma questa non si è mai espressa in maniera, come dire?, realistica. Gli elementi della pittura di
Dorfles sono fantastici, immaginari, onirici, visionari. Da surrealista, quasi:
un surrealismo sui generis: aggiornato, attualizzato, che tiene conto dei
cambiamenti avvenuti da Breton ad oggi» (Sebastiano Grasso)
• «La mia educazione vera avvenne tra gli intellettuali e gli artisti triestini:
Italo Svevo, Umberto Saba, Bobi Bazlen. Da quest’ultimo ho appreso l’amore per la letteratura mitteleuropea. Passavamo le serate a discutere di Kafka
e Wedekind. Decidemmo anche di prendere delle lezioni di Joyce, nel senso che
un professore della Berlitz ci istruiva sulle pagine dell’Ulysses, un testo come si sa impervio, infestato dal gergo e pieno di concetti. Il
primo incontro con Saba avvenne nella sua libreria antiquaria di via San Nicolò. Ricordo che entrai e vidi questo vecchio con la visiera che mi guardò e bruscamente mi disse: “Cos’ ti vol picio?” Mi sentivo a disagio. Poi vidi una magnifica edizione del Settecento del Fedone di Platone, cominciai a sfogliarla. E Saba, meno bruscamente: “No xe roba per ti”. Comunque quella libreria rappresentò per me qualcosa di straordinario. Vi incontrai il meglio della cultura
triestina: da Svevo a Stuparich, da Marin a De Benedetti. La mia formazione è stata abbastanza singolare. Sono laureato in Medicina con una specializzazione
in Psichiatria. Mi sarebbe piaciuto analizzare la mentalità del prossimo, rilevarne le stranezze e le anomalie. Ma alla fine hanno prevalso
gli interessi estetici ed artistici. Ho scelto di fare il critico e non lo
storico dell’arte perché ho una certa difficoltà a memorizzare le date. E poi il passato è una grande immensa nebulosa, occorre un talento particolare per saperlo
attraversare. Preferisco il presente. è il motivo per cui mi sono interessato fra l’altro al design, una esperienza contemporanea della quale ho vissuto gli albori»
• «è il filosofo e critico che ha scoperto e fatto scoprire (forse tra i primi) il
fascino indiscreto della modernità. Lo stesso filosofo e critico che avrebbe poi teorizzato (tra le righe di un
saggio del 1970 poi ristampato a più riprese) quel kitsch successivamente scoperto anche da Abraham Molef» (Stefano Bucci) • Nel 2008 pubblicò Horror pleni. La (in)civiltà del rumore (Castelvecchi), dove «descrive con semplicità l’orrore del troppo pieno di noi uomini contemporanei, in contrasto con l’orrore del troppo vuoto dell’uomo preistorico. Il nostro orrore oggi è il “rumore” visivo e auditivo che limita la nostra capacità informativa e comunicativa» (Il giornale dell’arte) • Vedovo di Lalla Gallignani, figlia del direttore del Conservatorio di Milano,
Giuseppe Gallignani, grande amico di Toscanini. [Lauretta Colonnelli] [auf]