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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

CRAGNOTTI

Sergio Roma 9 gennaio 1940. Manager. Imprenditore. Finanziere. Ex patron della Cirio, ex presidente della Lazio (che
sotto la sua gestione vinse lo scudetto 2000 e la coppa delle coppe 99). Caduto
in disgrazia, l’11 febbraio 2004 fu addirittura arrestato. «Nelle mie scelte il cuore conta meno del venti per cento. Per avere successo
bisogna stare fuori dalle passioni. L’emotività porta al disequilibrio. Sogno poco. Sognare ruba energie» • «Laureato in Economia e commercio, comincia a lavorare come contabile nella Calce
e Cementi Segni, una società del gruppo Bpd, da cui passeranno anche altri manager destinati a diventare
famosi, come Mario Schimberni, che diventerà presidente “ribelle” della Montedison, e Cesare Romiti, amministratore delegato e presidente della
Fiat. Dalla Calce e Cementi Segni, emigra e va a lavorare alla Cimento Santa
Rita, in Brasile, paese che è all’origine della sua fortuna successiva e in cui passerà talmente tanti anni da essere soprannominato Serginho. La società brasiliana viene infatti comprata dai Ferruzzi e Cragnotti incontra il capo
della famiglia ravennate, Serafino. Al vecchio Serafino questo giovane magro
con una faccia molto furba e due occhi molto svelti, piace subito. E infatti
nel giro di pochissimo tempo viene nominato responsabile di tutte le attività Ferruzzi in Brasile. Lì viene trovato dal nuovo capo della casa di Ravenna, e cioè Raul Gardini. E anche a Gardini il giovanotto piace. E c’è una spiegazione: quelli di Ravenna sono soprattutto commercianti, grandi
commercianti, e Cragnotti si dimostra un vero talento nel comprare e vendere
società. Gardini era solito dire: “Se hai una cosa da vendere e vuoi farti pagare bene, chiama Cragnotti, lui sa
come si fa a spuntare il prezzo migliore”. E è proprio sotto Gardini che Cragnotti fa quasi tutta la sua strada. Prima viene
nominato responsabile delle attività in Francia, poi rientra in Italia e fa una carriera straordinaria. Prima
vice-presidente della Montedison e, poi, durante la guerra per il controllo
dell’Enimont, diventa presidente di quest’ultima società. In quegli anni è ritenuto a Ravenna l’uomo più forte (e più abile) del gruppo, membri della famiglia a parte, ovviamente. Quando l’impero di Ravenna scricchiola, Cragnotti esce, fonda la Cragnotti & Partners Capital, di cui è il principale azionista e il presidente, e si mette in affari in proprio. In
pratica ha fondato una banca d’affari. Vende e compra aziende (sua grandissima specialità), ma realizza anche quello che probabilmente era un suo sogno giovanile:
decide, infatti, di diventare imprenditore. Compra in Brasile la Bombril
(detergenti) e in Italia dà vita a un impero alimentare di una certa consistenza che ruota intorno alla
Cirio. Cirio che poi alla fine andrà male (non riesce a rimborsare dei bond) e che farà precipitare l’impero (a cui si era aggiunta anche la squadra di calcio della Lazio, subito
quotata in Borsa). In realtà, le imprese imprenditoriali di Cragnotti non sono mai state di rilievo, non è mai andato al di là delle conserve in scatola e non si è mai segnalato per guadagni importanti. Era bravo, anche verso la fine, a
muovere le società, a vendere e comprare, a fare confusione, in una parola. Però aveva affascinato (o trascinato dalla sua parte) banchieri e aziende
importanti. La cosa curiosa è che poi il curriculum di Cragnotti non era proprio più bianco del bianco. Anzi, la Consob canadese lo aveva inquisito per insider
trading e quella brasiliana lo aveva multato per varie irregolarità legate alla Bombril. In Italia era finito sotto i fari dei giudici milanesi all’epoca di Tangentopoli, ma aveva prontamente ammesso di aver dato 10 miliardi ai
politici per conto di Gardini e l’aveva scampata. Al punto che poi, mentre tutto crollava, mentre Gardini e
Cagliari, i due grandi protagonisti dello scontro Enimont, si uccidevano, e
mentre l’impero Ferruzzi, dentro il quale aveva fatto carriera e fortuna, si dissolveva,
lui cominciava la sua ascesa come grande uomo di finanza e come imprenditore in
proprio. Fino alla crisi del 2002, ai bond non rimborsati, alle inchieste della
magistratura e all’arresto. In sostanza, tirando le somme, certamente più un affarista che un uomo d’affari, più un acrobata dei p
acchi azionari che un finanziere di vaglia. Una specie di giocoliere» (Giuseppe Turani) • «Era destino di Cragnotti infilarsi in quella fornace di potere primordiale,
interessi miliardari e passioni al limite del delirio che è il calcio evoluto. Bilancio stilato prima del tempo, con la consueta umiltà: “Dopo Berlusconi sono stato il manager più innovativo. Quando bussai ho trovato un calcio che ondeggiava tra l’etico e il sociale. L’ho preso di petto, l’ho rivoltato come un guanto, ho introdotto il business. Prendevo e cedevo,
cedevo e prendevo...”. Nella modernità opulenta e secolarizzata gli dei sono finiti nei Circenses, e i loro rituali si
svolgono in prima serata nel recinto sacro degli stadi. Bene: Cragnotti non
esitò un attimo a trasformarsi in un capo tribù post-moderno, qual è oggi il presidente di una società calcistica. Mestiere tra i più ingrati, se non altro perché occorre essere leone nelle curve, volpe nei consigli d’amministrazione, acrobata nei rapporti con le autorità e mercante di carne umana nelle compravendite dei vari Vieri, Nedved, Veron,
Nesta, Crespo. Forse era troppo, anche per lui. Alla fine i tifosi gli facevano
la posta sotto casa, al suono di trombe, lanci di petardi e muri imbrattati» (Filippo Ceccarelli).