Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DE MARIA
Nicola Foglianise (Benevento) 6 dicembre 1954. Pittore • «Spesso realizza “ambienti”, ovvero stanze completamente dipinte, perché l’arte possa solennemente invadere e proteggere la vita. Crea mondi paralleli,
astratti e pieni di gioia. Verrebbe voglia di entrare nel suo Canto del mare rosa o nei suoi Regni dei fiori, come fa Mary Poppins in quella scena del film in cui salta nel pastello dello
Spazzacamino. Sicuramente ci si deve star bene, a farsi cullare da quelle linee
di colore che trattengono intatte ingenuità e spontaneità, pur essendo il frutto di un progetto rigoroso, di una disciplina. Con il
tocco, la scolatura, la parola che compare sulla tela. E anche i titoli non
sono da sottovalutare. Così si scopre che i prati in realtà sono le Lettere d’amore alle muse che fuggono. Bonito Oliva segue da molti anni il lavoro del pittore. È lui che lo chiama a far parte del gruppo ormai storicizzato della
Transavanguardia, nato alla fine degli anni Settanta. “Non posso dimenticare che la prima volta che ci siamo visti - racconta oggi l’artista - abbiamo parlato tutto il tempo di Parmenide e della Scuola di Elea.
Per me Achille in quel momento incarnava lo spirito filosofico, anche se non
gliel’ho mai detto”. Dei cinque protagonisti del movimento (gli altri sono Chia, Clemente, Cucchi e
Paladino), De Maria È il più astratto. La sua energia creativa, il suo immaginario, il suo sguardo, si
concentrano su una realtà “altra”, su mondi sconosciuti e accoglienti, sognanti, luminosi, su “un universo senza bombe”, come recita il titolo di una delle opere. Per la sua matrice astratta e
lirica, De Maria È stato spesso paragonato a Klee, Poliakoff, Kandinsky. Ed È certamente vero che questi grandi maestri possono essere visti come sue
probabili fonti. Anche perché È proprio la Transavanguardia ad indicare come strumento creativo il “nomadismo” - una specie di nutrimento - tra le opere del passato. Eppure la felicità della pittura, il gusto sen
suale e appassionato del colore, anche certi accostamenti tra complementari che,
avvicinandosi, più che gridare sembra che cantino, infine l’idea stessa del pennello che crea nuovi spazi come se spalancasse finestre,
evocano l’alta decorazione di Matisse, un gigante nel rifuggire da ciò che È tetro, pesante, opaco e malinconico» (Lea Mattarella) • «Nella mia prima mostra... a Napoli da Lucio Amelio, in una torre sul mare,
proiettai delle diapositive che avvolgevano lo spazio nel colore, coloravano l’aria. Era un’opera sentimentale. A quel tempo l’arte concettuale era già un discorso del passato. Insieme con il movimento punk nella musica, emergevano
giovani artisti ribelli che in tutte le città d’Italia esploravano i misteriosi territori del disegno e della pittura. Ho una
visione umanistica, l’umanesimo È vivo. Credevo e credo, anche a causa dell’influenza dei surrealisti, che la scienza fosse il modo più diretto per raggiungere il centro dell’arte. Ed È quello che ho fatto. L’artista vivo ha un peso morale simile a quello che portano con sé gli scienziati. Deve sapere, conoscere e trasformare questa sapienza nelle
opere d’arte più belle del mondo, fatte da sé, per sé, utili a tutti. Nulla più della pittura può fare dono della libertà e della conoscenza perché si parte dall’ignoto. Prima di iniziare un dipinto non so mai cosa accadrà. È la pittura stessa che mi coinvolge e poi mi sconvolge per arrivare a un punto
che prima ignoravo. La pittura È vero strumento di conoscenza, È sperimentale e si avvale degli stessi strumenti della scienza. E ci sono leggi
intuitive che regolano l’arte in maniera precisa. Se devo decidere tra varie immagini, preparo dei
campioni ma alla fine il risultato È sempre quello. Non posso negare il debito continuo che ho verso artisti come il
Beato Angelico o Filippo De Pisis. Ce ne sono moltissimi altri, non posso
elencarli tutti. Non può essere che così. L’arte ha una linea continua, vive anche nascosta, al di là delle convenzioni e parla anche dopo mille anni» (da un’intervista di Paolo Vagheggi).