Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
DE SICA
Christian Roma 5 gennaio 1951. Attore e regista. Figlio del grande Vittorio (7 luglio 1901-13 novembre 1974). Grande
successo in coppia con Massimo Boldi (con cui ha rotto di recente). «Mio padre è De Chirico e io sono un pittore della domenica» • «Dalla letteratura al cinema le coppie hanno sempre fatto la loro parte, guarda
Don Chisciotte e Sancio Panza, Gianni e Pinotto, Mondaini e Vianello... Con
Massimo ci compensiamo l’un l’altro» • «Maurizio Porro sul Corriere della Sera ha scritto che abbiamo fatto incassare più di mille miliardi in venti anni. O il Paese è completamente idiota, oppure i due idioti De Sica e Boldi non sono tanto
idioti. Un grosso nemico era Fofi. Io non mi sono mai montato la testa. Sono
sempre stato severo con me stesso. Ma so di avere una notorietà molto forte in Italia. Molto più di tanti attori che credono di essere famosi. Dalle indagini di mercato risulta
che io sono secondo, come popolarità, dietro a Sofia Loren. Ho cercato ogni tanto di migliorare. Ho fatto film come
regista che mi hanno dato molte soddisfazioni, magari meno al botteghino.
Uomini, uomini, uomini oppure Tre. Ho fatto per due anni teatro con un musical su George Gershwin. Di Vittorio De
Sica non ne nascono tantissimi. Papà ha vinto quattro Oscar. Come mi posso paragonare? Ho fatto quello che sapevo
fare. A 18 anni facevo il cantante, poi la comparsa, le feste di piazza, i
night, i Festival di Sanremo, la televisione. Non sono mai volgare. La
parolaccia che fa ridere non è volgare. In Tutti pazzi per Mary c’è Cameron Diaz che si pettina con lo sperma. Questo è “rinnovamento comico”. Woody Allen che fa fare un pompino a una banana. Questa è “arte”. Se lo facciamo io e Boldi è terrificante volgarità. Spesso si è spinto l’acceleratore sulla cosidderra volgarità. Ma il Paese è così. Il Paese parla in questa maniera, i ragazzi, gli impiegati, la borghesia.
Tutti. E io ho sempre fatto dei personaggi che non mi appartengono, ricchi,
vigliacchi, prepotenti, arroganti. L’alta borghesia è la classe peggiore nel nostro Paese. I ricchi strafottenti sono tremendi. Farli
diventare simpatici è stata la mia impresa storica. Scalfari l’ho fatto piangere. A una cena io gli cantai una canzone e lui si commosse fino
alle lacrime. A me l’intellighentia mi ha sempre fatto vomitare, come diceva Roberto Rossellini. Ma
molti intellettuali andavano a vedere i miei film e si divertivano moltissimo.
Quando andavo nel cinemino di Cortina d’Ampezzo ci trovavo un sacco di intellettuali a vedere i miei film. Sono contento
che una parte della critica si sia accorta che non siamo così cani. La maggior parte dei critici non capisce nulla di cinema. Ci sono dei
critici di una rivista terrificante, FilmTv, che fanno sempre “pollice verso” ai miei film. Ma anche a quelli di mio padre, compreso
Il giardino dei Finzi Contini. Il Mereghetti? Me ne hanno regalato uno una volta. C’era una serie incredibile di improperi. L’abbiamo aperto una sera con tanta gente di cinema, ricordo Abatantuono, e
ridevamo a crepapelle. Ci trattava malissimo tutti. Proprio tutti» (da un’intervista di Claudio Sabelli Fioretti) • «Non ho mai sentito il peso di questo nome. Mio padre, nonostante avesse due
famiglie, perché aveva una prima moglie e una figlia e poi me e mio fratello nati dal matrimonio
con mia madre, non aveva il coraggio di dircelo. Quando avevo diciotto anni, mi
chiamò mia sorella Emi, che è più grande di me e di Manuel, e mi disse: “Vogliamo conoscerci?”. Mio padre era un uomo semplice. Quando io sono nato aveva già cinquant’anni e i capelli bianchi e quindi non era un padre che con noi giocasse a
pallone. Voleva che mi laureassi in Storia dell’arte. Tra parentesi, io ero un bravo studente e prendevo molti trenta. Dato che
lavoravo, mi comperai una Rolls-Royce. Lui non ci salì mai perché si vergognava. Andava a rovinarsi ai tavoli verdi. Abbiamo spesso cercato di
interdirlo, ma non fu possibile»
• «Avevo 23 anni quando è morto. So bene quello che pensavano di me: “Ma che vuole questo ciccione, che si è messo in testa?”. Da ragazzo ero grasso, ho sofferto moltissimo. Poi un giorno ho deciso che
dipendeva solo da me cambiare. Devo molto ad Aurelio De Laurentiis che mi ha
dato fiducia e a Carlo Vanzina, che mi ha scelto per Sapore di mare. Per il resto, devo tutto a me. Il pubblico l’ho sempre sentito vicino, anche nei momenti difficili, anche quando la critica
mi attaccava. Il cognome devi fartelo perdonare» (da un’intervista di Silvia Fumarola) • «Ho avuto successo. Ho fatto incassare soldi ai produttori, questa è la cosa più importante, sennò dopo ti danno un calcio e basta. Il pubblico mi ha voluto bene mentre la
critica e la cosiddetta intellighencia mi ha naturalmente dato addosso. Io sono
un attore brillante, ma è il nostro cinema che vuole il comico. Da noi funziona solo la comicità. Ci sarebbero altre storie da raccontare ma il pubblico vuole il comico. Da noi
non c’è né Robert De Niro né Dustin Hoffman. Io che avevo un fisico borghese un po’ antipatico ho dovuto mettermi i tappi nel naso e avere l’accento milanese e rendermi credibile come amico di Jerry Calà, di Boldi e di Verdone. Io avevo un contesto aristocratico e mi sono dovuto
trasformare in un bovino come loro»
• «Ho faticato tantissimo per arrivare e vorrei che il pubblico mi seguisse anche
se facessi un film diverso, che mi permettesse di tirar fuori quello che ho
dentro» (da un’intervista di Alain Elkann).