Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
CECCHI
Carlo Firenze 25 gennaio 1939. Attore. Ha vinto l’Ubu nel 1987, 1992, 1995, 1999. «All’inizio era una coppia, poi una piastrella pesantissima: naturalmente ho sempre
fatto in modo di dimenticarla in albergo».
Ultime Nella stagione teatrale 2006-2007 ha portato in scena, per il terzo anno, I sei personaggi di Pirandello in cui fa la regia e interpreta la parte del regista. Dall’aprile 2007 è Orgone nel Tartufo di Molière (Cordelli: «Asciutto, credibile, svelto [...] Sottilmente e nemmeno tanto sottilmente Cecchi
prende le distanze dal suo personaggio, lo deride, non ne coglie la disgrazia,
così lasciando noi spettatori delusi, per l’impossibilità di credere in alcunché. Fin dal primo minuto, non possiamo prendere nulla sul serio»). Nel novembre dello stesso anno, per la riapertura del Teatro Franco Parenti
ristrutturato, mette in scena due atti unici
Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Thomas Bernhard e Sik Sik l’artefice magico di Eduardo De Filippo (Magda Poli: «Nel Bernhard di Cecchi c’è la grandezza beckettiana del quotidiano che si fa metafora, un’ossessività scespiriana e un “guittume” che si fa arte») • Al cinema in Arrivederci amore, ciao di Michele Soavi (2006) e Seta di François Girard (2007).
Vita «Sono rimasto orfano di padre a 10 anni. A 17 ho lasciato la città. Non ho più nessuno qui, anche parlare fiorentino per me è diventato innaturale. I miei primi ricordi sono quelli della casa della mia
balia: mi hanno portato via da lei quando avevo due anni. è il dolore fondamentale della mia vita. Le altre perdite non sono state che
ripetizioni di quella» (a Giulia Calligaro) • «Mia madre, rimasta vedova, dovette rimettersi a lavorare. Faceva la modista e
ricordo che in casa a Firenze ricevevamo una rivista parigina. Si chiamava
Chapeaux, cappelli. Lì prendeva idee per le creazioni che le signore fiorentine acquistavano con
slancio. Ogni tanto mi chiedeva di provare i cappelli e io, adolescente, per
farlo esigevo denaro. Lei protestava, ma alla fine me lo dava. E tanto, pure,
poverina» • «Dopo Eduardo De Filippo, che ha saputo dirgli “recita in napoletano” e liberarlo dal peso delle scuole (esordì con lui e i suoi primi passi di attore-regista furono memorabili messinscene
delle farse di Antonio Petito), è tra il sodalizio con Elsa Morante e quello con Cesare Garboli che il teatro di
Cecchi si è evoluto» (Goffredo Fofi) • «Elsa aveva una sensibilità teatrale gigantesca. Era la mia consulente principale e mi ha assistito nel
passaggio da Petito a Brecht, Majakovskij, Bückner, quando le influenze che subivo erano soprattutto dell’avanguardia russa, Mejerchold, Vachtangov, e prima che arrivassi ai tre moderni
che ho rappresentato di più, Beckett, Pinter e Bernhard. Ma era lei a insistere perché facessi Amleto. Diceva: “Il fatto stesso che resisti così tanto vuol dire che in realtà è quello che vuoi fare e che però ti fa paura fare”. Ad Amleto sono arrivato timidamente grazie alla traduzione di Garboli, che già mi aveva indirizzato verso Molière. Fu lui a spingermi verso Il borghese gentiluomo, “Guarda che Molière non è quello che ti hanno insegnato all’Accademia” mi diceva. Dal Borghese gentiluomo in poi, una rivelazione. Ma anche Shakespeare... è un tale piacere fare Shakespeare! E l’attore deve pur godere, no?» • «Nel suo modo di fare teatro la storia è tutto. Anche quando è piccola e nostrana come Le statue movibili di Antonio Petito che nel 1971 segnò il debutto della sua mitica compagnia, il Granteatro, nella cantina romana del
Beat 72. O quando è immensa, come i tre Shakespeare (Amleto, Sogno di una notte d’estate, Misura per misura) messi in scena durante i sette anni - dal 1996 al 2002 - trascorsi al Teatro
Garibaldi di Palermo. La storia c’è sempre anche nei Pinter, nei Bond, nei Bernhard, nei Büchner che, dagli anni Sessanta a oggi, Cecchi è stato spesso il primo a rappresentare in Italia» (Laura Putti) • «Ho pensato, come alcuni a metà degli anni Sessanta, che si potesse reinventare un teatro, rifiutando quello
degli Stabili, e quindi rivolgendomi ad altre esperienze, fra le quali sono
state fondamentali quella del teatro napoletano e quelle delle avanguardie
europee, Living Theatre ecc. Sono stato segnato da questa origine. La
contrapposizione teatro borghese-teatro antiborghese era frutto dell’estremismo degli anni Sessanta, ma mi è servita per capire alcune cose non solo sul fare teatro, ma anche sul suo
rapporto con la società, e quindi con le istituzioni che lo gestivano. Un rapporto che si è deteriorato e le cose sono andate sempre peggio. Il processo ha coinvolto la
recitazione con la proliferazione delle scuole. Al nostro tempo ce n’erano tre: l’Accademia nazionale d’arte drammatica, il Centro sperimentale di cinematografia, la scuola di
Alessandro Fersen. Forse quella di Milano. Adesso ce ne saranno trecento, forse
tremila in Italia. Chi le ha fatte proliferare? I vari assessori,
sottosegretari, questa robetta qui... Tutto è cominciato alla fine degli anni Settanta»
• Sulla popolarità che gli è venuta dall’interpretazione del professor Caccioppoli in Morte di un matematico napoletano (Mario Martone, 1992) ha raccontato a Giulia Calligaro: «A Napoli un giorno uno mi ferma: “Io lo so chi siete voi: Enrico Fermi”. E io: “Isso”» • Tra i film da ricordare anche La scorta (Ricky Tognazzi, 1993), Io ballo da sola (Bernardo Bertolucci, 1996). Memorabile anche, nel film-tv di Michele Soavi L’ultima pallottola, l’interpretazione del serial-killer Donato Bilancia (vedi scheda). [agw]
Critica «Cecchi tende a nascondersi, a mettersi in ombra, a sparire negli angoli; a
rattrappirsi; e là, nei suoi angoli, lascia che ondate sadomasochiste si scatenino rovesciandosi
con una violenza che si esercita e si abbatte contro di lui. Ho visto Cecchi
ingobbirsi, curvarsi sotto i colpi di sferze inesistenti; e l’ho visto perfino impegnato, al centro del palcoscenico, nello sforzo meno
appropriato per un attore, lo sforzo di rendersi immateriale» (Cesare Garboli).
Frasi «Alla lettera: l’organizzatore di teatro in Italia è in primo luogo un piazzista» • «I più grandi registi che ho visto sono inglesi: Peter Brook, Peter Hall... Non hanno
mai abbandonato il rapporto immediato, artigianale con il fare teatro; non si
sono mai lasciati fuorviare da troppe letture critiche» • «Il cosiddetto grande regista, tutto maiuscolo, ormai è già tramontato. Al pubblico non gliene fotte niente. E chi sa che non sia meglio» • «Quando il pubblico, che sarà pure rimbecillito, si trova di fronte a un evento teatrale immediato, ridiventa
pubblico. Non sta in quella specie di penombra semiaddormentato» • «Io non vorrei più recitare, ma c’è quel buzzurro, quell’animale, che mi costringe. è un selvaggio e non guarda in faccia a nessuno. Si sente bene soltanto su un
palcoscenico. Il problema è che quell’altro non può fermarlo. Sono due. La deliziosa coppietta che mi abita. Uno vorrebbe
restarsene in casa a leggere, studiare, ascoltare musica. Tranquillo,
solitario, telefoni staccati. L’altro invece spinge, strattona, fa un casino del diavolo. Ha bisogno di
recitare, ha bisogno di pubblico»
Politica Nella campagna elettorale del 2001 accettò di fare parte della giunta in pectore del forzista Francesco Musotto, candidato
a sindaco di Palermo: «Avrei fatto l’impossibile per salvare il teatro. Però mi divertii molto. Assistevo a decine di riunioni della “would be” giunta, tutte in palermitano stretto. Mai riuscii a capire una sola parola».