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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

DIBIASI

Klaus Solbad Hall (Austria) 6 ottobre 1947. Il più grande campione di tuffi della nostra storia. Tre vittorie olimpiche
consecutive (Città del Messico 68, Monaco 72, Montreal 76) • «A 17 anni, dalla piattaforma dei 10 metri delle Olimpiadi di Tokyo, Klaus
Dibiasi rivelò all’Italia che era anche un paese di tuffatori. “Dopo sette tuffi ero primo, però gli ultimi tre li ho fatti bene, non benissimo. Sarebbe bastato per vincere
perché l’americano Webster, che aveva vinto quattro anni prima a Roma, sbagliò il tuffo entrando in acqua a gambe piegate. I giudici lo punirono, ma non come
meritava. E io fui secondo. Che bella quell’Olimpiade: si entrava nel villaggio olimpico in bicicletta e di notte si sentiva
qualche piccolo terremoto”. Iniziava così l’epopea di un atleta inatteso per una nazione che non aveva mai vinto nulla in
piscina, e che spesso avrebbe salvato la patria nei Giochi seguenti, in uno dei
periodi più aridi per l’olimpismo nazionale. Era vissuto sin da bambino nella piscina gestita dal padre,
ex ginnasta e tuffatore: a 10 anni poi aveva cominciato a salire anche lui a
fare sul serio. “E mio padre si metteva le mani nei capelli. ‘Ecco un altro tuffatore fallito’, mi diceva, perché cominciare a 10 anni è tardi”. Il talento fu chiaro subito già da allievo e cominciò la sua inarrestabile progressione. A Roma, come tecnico federale, c’era Goerlitz Horst, tedesco detto romanamente Oreste, che aveva perso una gamba
in guerra per una scheggia. “Dovevamo molto a lui. Lavorava nell’aeronautica e applicava ai tuffi le leggi meccaniche ed aerodinamiche che
conosceva”. La prima vittoria fu a Città del Messico, quattro anni dopo. “C’era attesa su di me, dovevo vincere. L’avversario più pericoloso fu il messicano Gaixiola, temevamo che il tifo del pubblico potesse
influenzare i giudici”. Ma Dibiasi vinse con grande distacco. “Sbagliando anche un tuffo, il doppio e mezzo rovesciato. In ogni mia finale ho
sbagliato un tuffo, ma avevo sempre un tale margine di sicurezza da potermelo
permettere. Solo con Louganis, molti anni dopo, non me lo sarei potuto
permettere: e infatti non sbagliai”. A sorpresa era venuto anche l’argento dal trampolino dei 3 metri. “Quella era la gara di Cagnotto ma sbagliò un tuffo. Io gareggiai tranquillo, alla fine mi dissero: sei secondo”. L’oro dai 10 metri gli portò un premio di un milione e una 500 regalata dalla Fiat. Ma quali erano le virtù di Dibiasi? “La freddezza in gara, per esempio, saper fare il tuffo giusto al momento giusto.
Cagnotto si arrabbiava con me e mi diceva: sbagli in allenamento e fai bene in
gara. E poi dal punto di vista tecnico l’entrata in acqua”. Da fare con le palme delle mani in avanti (e non con le mani a preghiera “come ancora raccomandava un manuale federale del ’32”): lo scopo era di evitare la sollevazione degli spruzzi, indicatore chiave
sulla qualità del tuffo. “Entrando in acqua, si formava una depressione all’altezza del polso, con un effetto risucchio, che faceva sparire gli spruzzi”. La seconda vittoria dalla piattaforma arrivò a Monaco 72, mentre Dibiasi era ormai il dominatore della specialità. “Mi davano favorito, e io sentivo la responsabilità. Ma non era così semplice, eppure vinsi, e sempre con un tuffo sbagliato. Fu il podio più bello, con Cagnotto terzo, che perse una grande occasione per battermi
sbagliando un tuffo rovesciato. Mi ricordo che c’erano pochi controlli, mettevamo addosso agli amici la tuta della Nazionale
italiana e così li facevamo entrare nel villaggio olimpico. Il che spiega molto anche di quello
che successe dopo, con l’assalto palestinese” (
il 5 settembre 1972, durante le Olimpiadi di Monaco, otto terroristi palestinesi
fecero irruzione nel villaggio Olimpico, uccisero due atleti palestinesi e ne
sequestrarono altri nove. Il tentativo di liberazione da parte delle forze dell’ordine si risolse in un massacro: i nove atleti, cinque terroristi e un
poliziotto restarono sul terreno). L’Italia era fiera di questo biondino bolzanino nato in Austria, quasi una replica
di Gustav Thoeni, e che nelle riprese in bianco e nero sembrava quasi un atleta
longilineo. “Ma non era così. Eravamo atleti con una grande preparazione fisica. Io saltavo a piedi uniti
una cancellata di un 1 metro 40. Per riscaldarci facevamo dei salti oltre un
tavolo di un metro di altezza per un metro di profondità. I tedeschi, molti anni dopo, ci rivelarono che avevano filmato i nostri tuffi
e che noi italiani eravamo i più potenti”. Quattro anni dopo lo sport italiano si affidò a lui per vincere qualcosa a Montreal e gli affidò la bandiera all’inaugurazione. Alla fine ci furono solo due ori per gli azzurri: il suo e quello
di Dal Zotto nel fioretto. E poi, soprattutto, incontrò il tuffatore del futuro, Gregory Louganis. “E poi io avevo 29 anni e dolori al gomito e al tendine d’Achille. Louganis era giovane, esplosivo, elegante. Ero primo nelle
eliminatorie, poi nella finale marciavamo fianco a fianco. Ero concentrato,
cosciente delle cose da fare, dal primo all’ultimo tuffo. Tuffo dopo tuffo mi dicevo che era una gara guidata da qualcuno,
non ero io che saltavo, tutto andava come doveva. Poi Louganis è entrato abbondante in acqua e lì c’è stata la svolta. L’ultimo tuffo mio è venuto come l’avevo immaginato, con le scelte che avevo preparato”» (da un’intervista di Corrado Sannucci).