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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

PIANO Renzo Genova 14 settembre 1937. Architetto. Nel 98 è stato insignito del premio Pritzker (il Nobel degli architettti)

PIANO Renzo Genova 14 settembre 1937. Architetto. Nel 98 è stato insignito del premio Pritzker (il Nobel degli architettti). «Non esiste una buona architettura se non c’è un buon cliente» • «Ha imparato l’architettura sul campo perché suo padre era costruttore. Poi, dopo la laurea al Politecnico di Milano, nel 64, ha cominciato a fare pratica con Franco Albini, quindi un paio d’anni con Luis Kahn, altri cinque a Londra con Makowsky. Dopodiché le ali erano pronte per volare» (Fiamma Arditi) • «Da buon figlio di costruttore, non ho mai pensato di poter fare un mestiere differente. A 30 anni lavoravo già a Londra e a 33 ho cominciato con Richard Rogers il Beaubourg a Parigi. E poi non ho mai fatto nient’altro che l’architetto e in un modo molto artigianale. Un po’ come i mastri comacini del Medioevo che giravano per cantieri». Adesso è «l’architetto più amato dagli americani in virtù della sua filosofia architettonica “progressista”, all’insegna del rispetto del territorio» (Alessandra Farkas) • Dice che l’architettura è un furto senza maschera. «Come architetto vado in giro e rubo, del resto pure il mio amico Luciano Berio mi diceva che anche la musica consiste nel prendere e dare» • «Dal parigino Beauborg, l’opera che, trentenne, gli diede la celebrità, alle magiche pagode ovali di legno del Centro culturale J. M. Yjibaou di Nuomeà, in Nuova Zelanda; dalla basilica di Padre Pio, a San Giovanni Rotondo, all’incredibile aeroporto di Osaka, capace perfino di superare indenne un terremoto: il filo rosso che sembra legare l’opera di Piano è soprattutto quello della curiosità intellettuale, della sperimentazione, dell’apertura mentale priva di dogmi» (Paolo Valentino) • «Colto, brioso, attento ai temi e ai costumi, alla musica come al teatro, all’arte come alla scienza, preciso, pignolo nel lavoro, Piano resta un vero costruttore con l’immaginazione d’un poeta. Il Centre Pompidou a Parigi, terminato nel 77, che continua a “figliare” perfino a San Pietroburgo, dove l’aeroporto nuovo è un richiamo alla celebre “astronave calata nel cuore della Parigi dei grandi musei”. Il delicato museo De Menil a Houston e lo stadio San Nicola di Bari a forma di margherita, dove ogni petalo serviva a far defluire i tifosi così da non scontrarsi ed evitare drammi. Allorché vinse il concorso del Lingotto a Torino, Piano cominciò con il magnifico Auditorium nel 94, poi seguitò con l’hotel Méridien, con il centro commerciale sino alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli nel 2002. L’Aeroporto del Kensai a Osaka sopra un’isola a forma d’un vecchio aliante che lo fece fremere e sudare per 5 anni, ma non subì scosse neppure sotto i colpi del terremoto più crudele. La Potsdamerplatz di Berlino con la ricongiunzione delle due Germanie dopo la caduta del muro nel 97. Seguì la Torre Debis della Daimler Benz: Piano camminò per giorni intorno all’area per cercare di capire il contesto, per fiutare l’ambiente, per indagare il significato, la sfida che doveva intraprendere. è sempre così. Si dedica anima e corpo ai lavori più impegnativi per conservare le tracce della realtà intorno, non ne fa creazioni isolate, quasi fossero sculture scaturite dal nulla. Splendido con le forme scultoree di dieci padiglioni, che riprendevano le capanne e le imbarcazioni della cultura kanak contro i venti rovinosi, è il Centro culturale Tjibaou di Noumea nella Nuova Caledonia, impresa realizzata tra il 91 e il 98. Ancora elencando, ecco il prezioso museo, tutto trasparenze e acqua, di Beyeler a Berna; poi i lavori più recenti, l’Auditorium Parco della Musica a Roma, il Paganini a Parma, fino a quello delizioso per la Banca Popolare di Lodi. Poi i grattacieli (per Hermès a Tokyo), la Chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, il Museo Paul Klee a Berna, la trasparente London Bridge Tower a Londra, l’ampliamento della California Academy of Science di San Francisco; il grattacielo del New York Times, la ristrutturazione della Morgan Library, la Columbia University prolungata a Harlem» (Fiorella Minervino) • «è arrivato il momento di cancellare definitivamente le periferie, almeno dal nostro vocabolario quotidiano. Questa la parola d’ordine che, ormai da molti anni, sembra caratterizzare il lavoro di Renzo Piano, l’architetto del Beaubourg di Parigi, della nuova Morgan Library di New York e dell’Harlem che sarà, ma anche l’autore del progetto di recupero (per conto del Gruppo Zunino) dell’Area Falck di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia come era stata a suo tempo battezzata» (Stefano Bucci) • «Le città non possono continuare a crescere, devono implodere, non esplodere. Questa è la crescita sostenibile, le periferie che diventano più urbane, i centri storici che riprendono il loro ruolo guida» • Il Centro Pompidou fu talmente innovativo, per la tecnologia, per i materiali usati, per gli arditi, tubolari camminamenti esterni, che a qualcuno parve sfregiasse il cuore antico di Parigi. E per anni furono polemiche: «Ma io non ebbi esitazioni. Avevo 33 anni, ero un ragazzaccio, un Beatle, e non soltanto perché allora vivevo a Londra. Il presidente della Repubblica quasi svenne quando mi vide per la prima volta, con quei capelli lunghi. Ma io avevo uno slancio che, abbinato a quella committenza illuminata, nessuno avrebbe potuto frenare. I tempi erano maturi per sostituire ai marmi materiali nuovi» • «La sfida di noi architetti è lottare con la gravità, che insiste, è cocciuta» • Ha costruito moltissimo, ma più all’estero che in Italia. Un caso? Un problema di committenza? «No, in Italia la committenza intelligente esiste, sia pubblica che privata. Da noi ho fatto delle cose molto interessanti come il Lingotto, lo stadio di Bari. I problemi più grossi vengono da una burocrazia spaventosamente complicata e anche piuttosto incompetente. Poi c’è un problema ancora più drammatico, che è il gioco vergognoso dei veti incrociati. Non esiste un solo Paese al mondo in cui un uomo politico si possa permettere tranquillamente di silurare il lavoro di un altro senza preoccuparsi delle conseguenze della sua azione. In pratica, le cose da fare diventano ostaggio della battaglia politica» • «Il mio progetto più caro è sempre l’ultimo, quello che ha più bisogno di cure» • «Bisognerebbe campare un secolo e mezzo, i primi cinquant’anni per imparare, i secondi per fare l’architetto e gli ultimi per cercare di trasmettere agli altri quello che hai messo insieme. Il percorso è lunghissimo» • «Quando da ragazzo ho cominciato a progettare, consideravo la leggerezza una qualità indubbia, ma la legavo in modo innocente al peso delle cose, dei materiali. Poi ho cominciato a sentire che spesso la leggerezza è legata alla trasparenza, alla luce. Leggendo Italo Calvino, o Milan Kundera, si capisce che leggerezza è anche uno stato dello spirito, e persino una forma di intelligenza. Io ho cercato di imparare ad avere un’intelligenza leggera, che permette di rimanere sempre in ascolto» (da un’intervista di Mario Scialoja) • «Io ho avuto molti maestri, ma mi piace citare soprattutto quelli italiani. A cominciare da Franco Albini, che mi ha insegnato la meticolosità del mestiere. Poi Marco Zanuso, del quale sono stato assistente e dal quale ho appreso il rigore tecnico. Sul piano etico devo molto a Giancarlo De Carlo, il maestro dell’architettura che ha una coscienza» • «Quando lavorano con me gli studenti capiscono che molte cose imparate all’università non sono vere. Si mescolano in architettura i momenti poetici con quelli pragmatici. è l’arte più materialista ed idealista che si possa immaginare» (da un’intervista di Alain Elkann) • «L’architetto è al crocevia tra il sociologo della città e l’antropologo, tra il tecnologo e l’artista» • «Il cantiere è una residenza temporanea. Tu fai un lavoro a Houston, Texas, e quando finisci Houston è diventata un po’ casa tua. Berlino, nel 92, non la conoscevo. Ora la sento come fosse la mia città» • Adesso Piano, dopo aver concluso il raddoppio della Morgan Library di New York, sta costruendo la nuova sede del New York Times, sulla West Side, «tanto faraonica da aver indotto le agenzie che stimano la qualità dei debiti ad abbassare il rating della compagnia quotata che possiede il quotidiano. Sta pure lavorando all’espansione della Columbia University ad Harlem» (Glauco Maggi).