Il Catalogo dei viventi 2009, 6 luglio 2011
FERRARA
Giuliano Roma 7 gennaio 1952. Giornalista. Fondatore e direttore del quotidiano Il
Foglio. «In fondo, per tutta la vita, F. non ha fatto che cercare di capire che cosa sia
l’innocenza e quanta vita ci voglia per perderla senza rinnegare un elemento
spurio di onestà che negli uomini, per il fatto di essere uomini, deve starsene appartato,
riservato, sennò si diventa sciaguratamente persone perbene».
Ultime Ha orientato la sua battaglia culturale e politica sui temi centrali della
bioetica (fine e inizio vita) e sul pericolo di una deriva relativistica per i
valori e l’identità dell’Occidente, attaccando per questo quelli che ha definito i «guru postmoderni», come Umberto Veronesi, o la «superstizione democratica» attribuita al premier spagnolo Zapatero. Il 20 dicembre 2007, all’indomani del successo della moratoria sulla pena di morte all’Onu (vedi D’ALEMA Massimo) propose una moratoria dell’aborto: «Questo è un appello alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria sulla pena di
morte nel mondo, votata ieri all’Onu da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una moratoria per gli aborti.
Infatti per ogni pena di morte comminata a un essere umano vivente ci sono
mille, diecimila, centomila, milioni di aborti comminati a esseri umani
viventi, concepiti nell’amore o nel piacere e poi destinati, in nome di una schizofrenica e grottesca
ideologia della salute della Donna, che con la donna in carne e ossa e con la
sua speranza di salute e di salvezza non ha niente a che vedere, alla mannaia
dell’asportazione chirurgica o a quella del veleno farmacologico via pillola Ru486
[...]»
• Nel febbraio 2008 denunciò il caso di una donna che aveva abortito perché al feto era stata diagnosticata la sindrome di Klinefelter, dichiarando con
enfasi che forse lui stesso ne era affetto e che quel «bimbo di 21 settimane» era stato «eliminato» per «un’anomalia cromosomica che si cura conducendo una vita normale» (le analisi esclusero in seguito che lui avesse la malattia). Confidò poi di essere stato complice di tre aborti: «Li ho vissuti come un delitto morale, un atto di violenza contro me stesso, le
mie compagne di allora e contro le creature che oggi avrebbero 25, 30, 35 anni.
Dietro questa battaglia c’è anche la nostalgia della paternità mancata»
• All’idea della moratoria sull’aborto aderì fra gli altri Silvio Berusconi, che però non vide di buon grado la sua intenzione di scendere in campo alle politiche
2008 con una lista pro-life e gli offrì di confluire nella lista del Popolo della Libertà (vedi BERLUSCONI Silvio). Ferrara rifiutò la confluenza, incassò le critiche di chi, come Eugenio Scalfari, lo accusava di fare una lista della
Cei, e nello stesso tempo lo scetticismo dei vescovi stessi (per voce di
Avvenire, che avvertì del rischio «di sottrarre voti importanti ad altre liste già affermate»): alla fine si presentò da solo (e solo alla Camera) con la lista “Aborto? No, grazie — per la moratoria con Giuliano Ferrara”. Campagna elettorale condotta nonostante gravi problemi fisici (un’infezione alle vie urinarie che gli fece tenere comizi anche con la febbre a 40)
in mezzo alle contestazioni, culminate in un lancio di pomodori e uova
(ricambiato) in piazza Maggiore a Bologna: per Giampaolo Pansa fu «una maniacale caccia all’uomo». Il New York Times scrisse che «evitando il politichese dei suoi avversari, con la sua insistenza sulle idee» e facendo «leva sulle ansie italiane per il futuro dell’Europa, la perdita delle identità nazionali e il declino della fede cristiana» era in sostanza l’unica vera novità della competizione; il Wall Street Journal definì la lista «un esempio di quel genere di alleanza tra cristiani e non credenti che Benedetto
XVI ritiene necessaria per il rinnovamento dell’Europa e dell’Occidente». Alla fine prese appena lo 0,4%: «Più che una sconfitta, una catastrofe: io ho lanciato un grido di dolore per un
dramma e gli elettori mi hanno risposto con un pernacchio»
• All’inizio della campagna elettorale, il 24 febbraio 2008, baciò l’anello papale in un breve incontro con Benedetto XVI in visita alla chiesa di
Santa Maria Liberatrice, nel quartiere di Testaccio dove abita, «però niente Comunione, niente segno della croce... “Credo di non essermi mai confessato. Assisto con deferenza alla messa ma non
partecipo, per farlo bisogna saper pregare e io non sono capace”» (Lorenzo Salvia). La sconfitta lo ha indotto anche a sparire dalla tv: ha
abbandonato definitivamentre la conduzione di Otto e mezzo e ha passato l’estate 2008 in America
• Ha guardato con favore alla nascita del Partito democratico, soprattutto quando
si annunciava come modello di un nuovo tipo di partito, leggero o «liquido», senza caporioni né correnti e aperto ai fermenti della società , di una formazione politica all’americana, senza tessere, e in questa fase ha espresso la sua stima per Walter
Veltroni. [axd]
Vita Figlio di Maurizio Ferrara (1921-2000), alto dirigente del Pci e a un certo
punto anche direttore dell’Unità, e di Marcella De Francesco (1920-2002), prima segretaria di Togliatti e poi
redattore capo di Rinascita • «Genitori iscritti al partito comunista dal 1942, partigiani combattenti senza
orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di
padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del
Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti
davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato. Vive a Mosca, dove
il padre è corrispondente dell’Unità, dal 1958 al 1961»
• Tornato a Roma, dopo la scuola pubblica si iscrive a Filosofia. Primi impegni
nel Pci alla Stampa e propaganda con Gian Carlo Pajetta, che lo invia a Torino
per «andare alla scuola della classe operaia e sottrarsi alle insidie della curia
romana». A Torino, dove rimarrà fino al 1982, scrive sulla rivista Nuovasocietà, ideata da Diego Novelli (sindaco dal 1975), diventa capo dell’organizzazione politica del Pci alla Fiat Mirafiori (che porterà a duemila iscritti), poi responsabile della sezione problemi dello Stato (lotta
al terrorismo), della sezione culturale e del comitato cittadino
(organizzazione del partito in città). Sul terrorismo «si muove in una logica emergenzialista e non garantista», un suo articolo su Repubblica dell’epoca si intitola “Diritto di delazione”: «Sempre eccessivo, ma è con la delazione che le Br vengono sconfitte» • A Torino si schiera contro i duri del sindacato che combattono la decisione
della Fiat di licenziare i dipendenti collegati al terrorismo, una posizione in
cui vede «la premessa di una sconfitta del comunismo che piace a me: si chiamava all’epoca eurocomunismo, si estrinsecava nella rivolta berlingueriana contro il
partito comunista sovietico che lavorava con Cossutta per farlo fuori, e
precipitava nell’assunto secondo cui i comunisti dovevano andare al governo, sacrificando ogni
forma di estremismo e avviandosi verso una socialdemocrazia europea con altre
forze politiche popolari, in primis la Dc, nel famoso compromesso storico,
diciamo così bipartisan». Nel 1980 si dimette dalla segreteria della Federazione e da capo del Comitato
cittadino, «dopo aver partecipato a due vittorie elettorali del Pci ed essere stato eletto
(tredicesimo arrivato, secondo i piani, consigliere comunale)». Novelli lo fa capogruppo e gli concede un part-time per gli studi, ma da
Torino se ne va dopo uno scontro pubblico con Luciano Berio (Imperia 1925-Roma
2003) e l’assessore alla cultura Giorgio Balmas (Torino 1927-2006), in occasione di un
concerto che avrebbe voluto dedicato alle vittime di Sabra e Chatila, «per tornarsene a Roma e lasciare quello strano Pci dove ormai era sempre in
estrema minoranza» (Ferrara su se stesso in una biografia scritta per Il Foglio).
[axe]
Uscito dal partito, studia Leo Strauss, impara il tedesco, campa facendo
traduzioni, gira con un cane lupo che si chiama Lupo, prende a collaborare all’Espresso, da dove il vecchio amico Ronchey lo spedisce al nuovo direttore del
Corriere della Sera, Piero Ostellino. Ottiene una lettera-contratto. Scrive su
Amendola, sul terrorismo, sull’esperienza torinese. A un certo punto Pansa, prendendo a pretesto l’uscita di un nuovo giornale, intitolato Reporter, pagato con soldi trovati da
Martelli e fatto dagli ex di Lotta continua (suoi vecchi amici-nemici), lo va a
intervistare e Ferrara gli risponde che Craxi è in grado di guidare una sinistra socialdemocratica seria, che il Pci sbaglia
tutto, e che Fassino «dà ordini come un caporale e obbedisce come un soldato semplice». Craxi, che ancora non lo conosce, lo manda a chiamare, diventa suo protettore,
lo piazza, su sua richiesta, a Reporter, dove Ferrara fa il giornalista a tempo
pieno (Reporter, Corriere, l’Europeo prima, Epoca poi)
• La carriera televisiva comincia nell’87, con Antonio Ghirelli, direttore del Tg2, che gli fa tenere una rubrica di
commento nel telegiornale della notte, ma soprattutto con Guglielmi, direttore
di Raitre, che gli affida Linea rovente, programma in cui Ferrara indossa la toga del giudice e processa Verdiglione,
Pannella e altri protagonisti della cronaca. Il programma non piace a Craxi («sembra una cosa alla Pecchioli») e dopo quattro mesi la Rai lo trasferisce sulla seconda rete per fare Il Testimone. Qui comincia a guadagnare parecchio (contratto da un miliardo), ma gli ascolti
sono notevolissimi (Ferrara racconta retroscena, caso Moro, caso Tortora ecc.)
e per la stagione successiva lo chiama Berlusconi. Ferrara, che è già una star televisiva, chiede due miliardi e Berlusconi glieli dà. Seguono grandi successi con Radio Londra (subito dopo il Tg delle 20, nello spazio cioè che su Raiuno sarà di Biagi) e successi assai minori con Il gatto (1989-1990) • Nell’89 è europarlamentare del Psi: nega di essere stato il più assenteista tra gli eletti («ero nella media della delegazione italiana»). Nel 1993, quando contro Craxi all’uscita dal Raphael vengono lanciate le monetine, realizza una straordinaria
intervista, a caldo, al segretario socialista, che viene mandata in onda senza
tagli (dura più di due ore). Nel 1994 è ministro per i Rapporti col Parlamento del governo Berlusconi, a cui fa anche
da consigliere politico e da ghostwriter («Il primo comunista a Palazzo Chigi sono stato io»). Nel 97, in palio un seggio al Senato rimasto vacante, si candida al Mugello
contro Antonio Di Pietro ma viene sconfitto
• Nel 1996 fonda Il Foglio, primo quotidiano italiano di quattro pagine. Soldi di
Veronica Berlusconi, di qualche amico (Zuncheddu) e del finanziamento pubblico
riservato alle cooperative che editano quotidiani di partito (per arrivare a
questi soldi due parlamentari amici, Marco Boato e Marcello Pera, fondano a
bella posta la Convenzione per la Giustizia di cui Il Foglio diventa organo
ufficiale). Grafica ispirata al Wall Street Journal, tendenzialmente senza
firme. Ferrara mette in calce ai suoi articoli un piccolo elefante stilizzato
procuratogli dal grafico Giovanni Angeli. Da questo momento avrà un nuovo nome d’arte, l’Elefantino. Il Foglio manifesta poco interesse per le notizie in quanto tali e
mostra invece una sensibilità acuta per i grandi temi politici, per le grandi questioni morali, esigendo una
scrittura di alto livello e un lettore in qualche modo già informato. è una scuola che, dopo molti anni in Italia, ha sfornato giovani giornalisti di
grande valore: Guia Soncini, Mattia Feltri, Pietrangelo Buttafuoco, Camillo
Langone, Mariarosa Mancuso, Marco Ferrante per citarne solo alcuni. Ha
inventato la formula della rubrica di due righe, ha dato la parola ad Adriano
Sofri, che ha difeso con tutte le sue forze. Ha sostenuto, contro l’opinione generale, che a partire dall’11 settembre 2001 è in corso uno scontro tra il mondo islamico e quello occidentale, scontro dal
quale usciremo sconfitti se non difenderemo fino in fondo i valori su cui si
fonda la nostra civiltà, rinunciando a una tolleranza che in tempo di guerra è quasi tradimento. Per questa via, senza diventare credente («sono papista, non cattolico») si è accostato alla Chiesa e specialmente agli esponenti più ligi alla dottrina (per esempio monsignor Caffarra). Appoggio incondizionato a
Bush, sì alla guerra in Iraq, difesa a oltranza di Israele e delle sue ragioni. No agli
esperimenti con le cellule staminali, che Ferrara considera la porta d’ingresso all’eugenetica di marca nazista, la tecnica grazie alla quale tutti saremmo biondi,
con gli occhi azzurri o più probabilmente non-nati.
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Il Foglio è un sostenitore di Berlusconi, ma scomodo. Un editoriale che lo rimproverava per
certe tentazioni censorie sulla Rai, cominciava così: «Cavaliere, non rompa il cazzo...» (autore Pietrangelo Buttafuoco) • Durante lo scandalo Parmalat, venne fuori che Tanzi a un certo punto aveva dato
600 milioni al Foglio per farlo uscire da un momento di difficoltà. Quando Feltri si mise a far titoloni, Ferrara fece spallucce. La notizia era
vera • è stato direttore di Panorama (1996-1997) • Ha raccontato di essere stato al servizio della Cia a metà degli anni Ottanta e ben pagato per quello che raccontava. D’altra parte, a quanto pare, non raccontava niente di speciale perché, a suo dire, era privo di informazioni speciali. Solo spiegava all’agente americano le complicazioni di un paese difficile da capire come il
nostro, offriva insomma “chiavi di lettura” (il racconto, nel solito stile paradossalmente provocatorio, ha concentrato su
Ferrara un’altra valanga di improperi)
• Signore della televisione anche con Otto e mezzo (su La7 in prima serata dal lunedì al venerdì, ultima trasmissione che ha condotto, fino al febbraio 2008), Ferrara si faceva
sempre affiancare da un altro conduttore (Gad Lerner, Luca Sofri, Barbara
Palombelli, Ritanna Armeni) di opinioni opposte alle sue • Sposato con Anselma Dell’Olio, giornalista-sceneggiatrice nata negli Stati Uniti con la quale condusse
nel 1992 Lezioni d’amore (Italia1), subito sospeso perché giudicato troppo audace da Gianni Letta. Fabrizio Roncone: «Una donna colta e di carattere, snob, curiosa e ironica». Si conobbero «una sera, a cena. Ho pensato subito: quest’uomo deve fare parte della mia vita. Chiedevo informazioni su di lui, tutti mi
dicevano: lascialo perdere, e comunque era fidanzato ed ero fidanzata anch’io. Ci sono voluti altri cinque anni perché accadesse». Nell’estate del 1987 Ferrara la aiutò per l’adattamento italiano di
Who’s That Girl. «Ci siamo chiusi in casa per una settimana, abbiamo riso come pazzi, lavorando
giorno e notte, abbiamo capito di avere lo stesso sense of humour, e alla fine
di quella folle settimana mi ha portato al mare e su un gozzo mi ha chiesto di
sposarlo. Gli dissi: ti sposo, ma fai tutto tu, la parte burocratica mi
paralizza. Mi paralizzava anche il matrimonio, e non avrei potuto sposare
nessun altro al mondo» (ad Annalena Benini).
Religione Definito spesso, talvolta con disprezzo, “ateo devoto”, non si riconosce nell’espressione coniata da Beniamino Andreatta: «Penso molte cose cattoliche senza essere cattolico. Ma non sono un ateo devoto.
Chi mi conosce sa che io sono il contrario di un devoto. Sono una persona
disciplinata e razionale, ma devoto no...». «Non ho niente da chiedere e niente da dare alla Chiesa. Se la difendo è perché credo profondamente che nella comprensione del mondo in cui vivo la Chiesa è un passo avanti alla cultura secolarista. Sulle cose, sulla vita, sui
cosiddetti valori o criteri della vita giusta ho incontrato un pensiero che mi
affascina, mi suggestiona, mi importa» (da un’intervista di Tempi).
Critica «Ex ministro di Silvio Berlusconi, ex Pci, ex craxiano, ex quasi tutto è una forza della natura e dell’intelligenza. Non ci sono in Italia tante esperienze intellettuali, e perlomeno
non ci sono negli ultimi vent’anni, che come la sua abbiano saputo scuotere l’opinione pubblica italiana. Prima con la tranquilla forza della faziosità neoliberista, quando sembrava che il Cavaliere fosse una dinamica
reincarnazione reaganiana o thatcheriana; poi con la riscoperta dei valori, dei
temi “etici”» (Edmondo Berselli)
• «Un pirla ruffiano, amico e complice di ruffiani mafiosi di merda» (una delle tante lettere di insulti pubblicate in un’intera pagina sul Foglio del 13 dicembre 2007, quando ancora non s’era spenta la polemica sul caso Luttazzi).
Tifo Moderatamente romanista (prima era torinista: «Ma adesso abito a Testaccio e a Testaccio è opportuno essere romanisti»).
Vizi Adora i cani e i cavalli, ama la barca a vela • Nel dicembre 2007 pesava 136 chili («orgoglioso di avere lo stesso peso corporeo attribuito a Tommaso d’Aquino»). è arrivato anche a 180: «Quando mi gridano da un’auto in corsa “ciccione”, soffro come un vecchio cane artritico, mi viene voglia di morire o di
uccidere. Vivo male la mia obesità, l’obesità è una vera e propria malattia. Ne soffro molto anche se non lo do a vedere.
Combatto questa patologia con diete periodiche, comunque è dura».
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