Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
BAZOLI
Giovanni Brescia 18 dicembre 1932. Banchiere. «Non basta un saggio di Micromega a cambiare le cose».
VITA Presidente di Banca Intesa. Avvocato, professore, titolare dell’insegnamento di Diritto amministrativo alla Cattolica di Milano, docente di
Istituzioni di Diritto Pubblico. Nel luglio 82 fu chiamato da Carlo Azeglio
Ciampi, allora Governatore della Banca d’Italia, e da Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, a risanare il Banco
Ambrosiano dopo lo scandalo P2 e la morte di Roberto Calvi. Oltre a numerose
cariche in ambito bancario e finanziario, è presidente della Fondazione Cini di Venezia. Cavaliere del lavoro, Ufficiale
della Legione d’Onore
• Nonno Luigi, nel 1919, fu tra i fondatori del Partito popolare di don Sturzo.
Papà Stefano è stato deputato della Dc all’Assemblea Costituente. Il fratello, Luigi, militava nella sinistra Dc, assessore
all’Urbanistica di Brescia e nemico di Prandini. La cognata Giulietta Banzi fu tra
le vittime della strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 • «Il suo modello è il beato Giuseppe Tovini, figura chiave del movimento cattolico alla fine del
secolo scorso: avvocato, padre di 8 figli, fondatore di giornali, scuole, e di
quel Banco Ambrosiano che Bazoli fu chiamato a risanare nell’82 dal ministro Andreatta e dall’allora governatore Ciampi dopo il crack Calvi. Durante una cena nel corso dell’assemblea di Milano della Dc nel 1991, prima di Tangentopoli, fu protagonista di
un botta e risposta con Forlani. Tema: la questione morale. “Dovete combattere le tangenti e le degenerazioni del sistema”, invocò il banchiere. “Basta gettare discredito sulla gente perbene”, fu la gelida replica dell’allora leader Dc. Nei momenti difficili attinge all’ottimismo e nei suoi discorsi ricorre spesso la parola fiducia. Tipico esponente
del cattolicesimo democratico: amico di Prodi, Mino Martinazzoli, Giovanni
Bianchi, molto legato al cardinal Martini» (Marco Damilano)
• Ricopre incarichi di responsabilità in società bancarie dal 74, anno in cui diventò consigliere di amministrazione della Banca San Paolo di cui fu poi vice
presidente. Nell’82 colllaborò con le autorità monetarie nazionali all’organizzazione del pool di salvataggio del Banco Ambrosiano, di cui divenne in
seguito presidente. Alla fine dell’85 riportò il titolo del Nuovo Banco Ambrosiano in Borsa e all’assemblea degli azionisti dell’86 annunciò ai soci il ritorno all’utile, ma soprattutto il ritorno alla distribuzione del dividendo. Il sistema
bancario italiano in quegli anni comprese che la strada da seguire era quella
delle concentrazioni e alla fine dell’89 Bazoli realizzò la prima concentrazione bancaria italiana: il Nuovo Banco Ambrosiano e la
controllata Banca Cattolica del Veneto si fusero, creando il Banco Ambrosiano
Veneto che nei primi anni Novanta estese la propria rete commerciale in
Trentino, acquisendo la Banca di Trento e Bolzano e in meridione con l’incorporazione di Banca Vallone, Citibank Italia, Banca Massicana, Società di banche siciliane. Nel 97 guidò il Banco Ambroveneto all’acquisto di Cariplo, la più grande cassa di risparmio del mondo, realizzando la prima grande operazione di
privatizzazione del settore bancario: una scelta cui il mercato rispose con
grande favore, sottoscrivendo un aumento di capitale per Ambroveneto di oltre
seimila miliardi di lire per finanziare l’operazione. La successiva valorizzazione del titolo portò ad un aumento record del 400%. Nacque da questa unione Banca Intesa, sempre con
Bazoli presidente, tra i partners Crédit Agricole Indosuez, Alleanza Assicurazioni, Generali, Fondazione Cariplo; nel
98 arrivò l’acquisizione della Cassa di risparmio di Parma e Piacenza, nel 99 una nuova
grande operazione di integrazione: mediante offerta pubblica che ricevette un
consenso quasi plebiscitario, Banca Intesa acquistò la Banca Commerciale, operazione che portò l’istituto al primo posto tra i gruppi bancari italiani (con cento società, 4300 sportelli, 73.000 dipendenti)
• All’inizio del decennio parve cadere in disgrazia: «Si è ripreso la ribalta della finanza italiana lunedì 9 settembre 2002, dopo un lungo periodo in cui la sua immagine sembrava sempre
più appannata. Il ritorno del presidente di Banca Intesa è stato sancito da due fatti distinti. Il primo, più clamoroso, avvenimento è il successo ottenuto nel fuoco di sbarramento contro l’ingresso dell’imprenditore Salvatore Ligresti nella stanza dei bottoni del maggiore quotidiano
nazionale, il Corriere della Sera. Il secondo fatto, altrettanto rilevante per
la scena finanziaria, è l’alleanza stretta dal suo istituto con la banca d’affari francese Lazard. Il tratto che unisce questi due avvenimenti è l’avversario comune che, su entrambi i fronti, Bazoli si è trovato davanti: Mediobanca e il suo numero uno Vincenzo Maranghi. L’istituto di piazzetta Cuccia era infatti lo sponsor più importante dell’ingresso di Ligresti nel patto di sindacato che governa la Hdp, la holding a cui
fa capo il Corriere. Ma Mediobanca è anche la principale banca d’affari italiana, ed è stata proprio Lazard, negli ultimi anni, a insidiarne la leadership. Per
risorgere Bazoli ha lavorato duro per molti mesi. Il suo annus horribilis aveva
raggiunto il punto più basso quando aveva subìto la dura reprimenda del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. L’accusa: una finanziaria da lui presieduta, la Mittel, protagonista della scalata
ai danni di Montedison, aveva fatto da apripista all’arrivo in Italia del colosso francese dell’elettricità, la Edf. Ma già i mesi precedenti erano stati contrassegnati dalle cattive notizie. Nel gennaio
del 2001, infatti, ancora Fazio aveva detto di no al progetto di fusione tra
Banca Intesa e Unicredito. Sul fronte domestico, invece, il professore
bresciano aveva dovuto arginare i tentativi della Casa delle Libertà di aprirsi una breccia più ampia nel principale azionista italiano di Banca Intesa, la Fondazione Cariplo,
nonché far fronte alla crisi nei conti del proprio istituto, appesantiti fra l’altro dai crediti concessi a società, come la Enron, travolte dalla crisi e dagli scandali. Bazoli e il nuovo
amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, hanno così dovuto lavorare su molti aspetti. Già ai tempi della scalata di Montedison, Bazoli si era cosparso il capo di cenere
e aveva accolto gli inviti di Fazio, accettando di entrare assieme a Banca di
Roma e Sanpaolo Imi nella nuova Italenergia, al fianco di Fiat ed Edf. Il
secondo passo era stato l’ingresso come socio finanziario in Olimpia, la scatola creata da Marco
Tronchetti Provera e dai Benetton per prendere possesso di Olivetti-Telecom» (Luca Piana)
• Il suo ultimo libro, Mercato e disuguaglianza (Morcelliana) è stato recensito dai vaticanisti dei principali quotidiani italiani. Luigi
Accattoli (Corriere della Sera): «Lasciato a se stesso, il mercato - osserva Giovanni Bazoli uomo di banca - “aggrava le disuguaglianze” tra i popoli della terra e quello “globale” non si sottrae a tale destino. C’è la possibilità - chiede il Bazoli giurista - che la società regolamenti il mercato in modo da indurlo non solo a creare ricchezza ma anche
uguaglianza? Questa possibilità dev’esserci, risponde il Bazoli cristiano. Il libro raccoglie tre conferenze tenute
tra il 1988 e il 2004 e ci mostra l’operatore di banca, il cultore del diritto applicato alla politica e il
cristiano militante in serrato dibattito tra loro. Si parte dalla
globalizzazione, di cui vengono tratteggiati “problemi e prospettive”, si passa per “mercato e democrazia” e si approda all’“ispirazione cristiana in un’economia libera e solidale”. L’attitudine è quella — disincantata e insieme volitiva— con cui Bazoli aveva redatto il volume di letture bibliche pubblicato l’anno scorso presso la stessa editrice bresciana con il titolo
Giustizia e uguaglianza: la storia “quasi sempre” riscontra una “grande distanza” tra l’utile e il giusto, ma noi uomini “abbiamo il dovere di continuare a credere e a impegnarci perché tale distanza sia colmata, anche quando ci sembra incolmabile”. Bazoli non ama i riflettori e propone le sue riflessioni in cenacoli
ristretti, ma non fugge le scelte. La sua è una posizione liberal e solidale, che emerge con chiarezza nella discussione
delle singole questioni ma che almeno una volta si profila anche polemicamente,
nei confronti dell’esponente cattolico più noto dei neoconservatives americani, Michael Novak: l’accusa senza mezzi termini di non “rendersi conto” di “snaturare” la posizione della Chiesa cattolica quando “plaude con entusiasmo” ai riconoscimenti nei confronti del “sistema economico di mercato” che sono venuti recentemente dal magistero pontificio (il riferimento è all’enciclica
Centesimus annus pubblicata da papa Wojtyla nel 1991), ma “dichiara impropri e inaccettabili i richiami alla solidarietà e ai connessi possibili interventi dell’autorità politica”, che quel magistero continua a proporre. Il liberal bresciano invece quei
richiami li condivide e gli interventi “politici” li auspica anche a dimensione planetaria: considera necessario che “siano rafforzati sia i poteri sia la rappresentatività democratica dei maggiori organismi di governo soprannazionali” se vogliamo che “le situazioni più gravi di disuguaglianza siano rimosse”. Egli ritiene sia compito dell’umanità di oggi, caduta l’utopia comunista, di trovare la via perché gli “obiettivi solidaristici” risultino “compatibili con quelli del mercato”. Le democrazie dovranno “assumere la promozione dell’uguaglianza e della libertà dei cittadini tra i propri stessi fini: un’uguaglianza effettiva e non solo davanti alla legge”. Si tratta di considerare “l’uguaglianza non solo come presupposto essenziale dello stato democratico, ma
come suo fine”, com’è affermato per esempio dalla nostra costituzione»
• Marco Tosatti (La Stampa): «Fa un meditato “mea culpa” sui rapporti fra cattolici e affari. Una riflessione approfondita, a tutto
campo, sulla società, sul mercato e sulla Chiesa e una riflessione anche sulle libertà che la logica del sistema economico lascia ai singoli. “Se guardiamo alla prova fornita sotto il profilo etico dagli imprenditori
cattolici italiani negli ultimi decenni, dobbiamo riconoscere che essa è risultata alquanto deludente, così da indurre ad una risposta dubitativa. Invece di riscontrare comportamenti
esemplari, si è dovuta lamentare persino l’inosservanza di quei valori etici ‘minimi’, che sono radicati nella coscienza comune e che sono codificati nelle leggi. La
diffusione di pratiche illegali nei rapporti tra affari e politica era
accettata dai più come normale o inevitabile, senza suscitare una tempestiva attenzione e una
forte reazione di rigetto da parte del mondo cattolico”. E la Chiesa? Secondo Bazoli in realtà c’è stata - e probabilmente c’è ancora - una carenza di guida; si è parlato molto, nella
Dottrina Sociale della “centralità dell’uomo”, e della solidarietà; ma nel passaggio dalla teoria alla pratica, si sono rivelati grossi limiti. “In questo modo la ‘dottrina sociale’ non riusciva ad offrire agli operatori cattolici, nel campo economico, una
chiara guida etica — ed è forse da riferire anche a tale motivo il fatto che essi non si siano distinti
dagli operatori non credenti nella vicenda di Tangentopoli”. E non solo; l’insegnamento dei pontefici ha colto alcuni aspetti della situazione, ma non
tutti: “Si può pensare all’attenzione che veniva insistentemente centrata sui problemi del lavoro e, solo
subordinatamente, su quelli dell’impresa, mentre manca ancor oggi un’attenzione adeguata ai problemi del risparmio; a un certo favore mostrato verso
pratiche assistenzialistiche; all’incertezza nella ricerca di utopistiche ‘terze vie’”. Bazoli si dice convinto però che anche nel “settore dell’economia e della finanza, pur caratterizzato da una logica di dura competitività”, ci sia spazio “per una testimonianza di coerenza e di fede”. Il punto di riferimento è la difesa dei valori umani coinvolti: “In questa prospettiva chi opera delle scelte entro margini ristretti di
compatibilità con le regole dell’efficienza è impegnato a rispettare vari ordini di valori umani: da quelli più noti e ampiamente trattati del lavoro e dell’occupazione a quelli, cui finora il pensiero cattolico ha prestato insufficiente
attenzione, della tutela dei risparmiatori. Un altro banco di prova dove può essere misurata la libertà di scelte che incidono su importanti valori umani è quello delle crisi aziendali”»
• «Nei cenacoli spirituali Bazoli conta come un’icona teo. Conta pure in altri circoli, per esempio in quello del patto di
sindacato Rcs che controlla via Solferino, dove il presidente di Banca Intesa è stato, almeno finora, proprio deus ex machina» (Denise Pardo) • Indicato da alcuni come il possibile “socio traditore” del patto di sindacato Rcs nel momento in cui Ricucci rastrellava Rcs in Borsa
(estate 2005). Ha sempre smentito o fatto smentire seccamente • Quando alla vigilia delle elezioni politiche 2006, il direttore del Corriere
Paolo Mieli annunciò ufficialmente che avrebbe appoggiato Prodi, Maurizio Belpietro, direttore del
Giornale scrisse, alludendo a Bazoli: «Mentre il Corriere scende in campo per la sinistra, nel mondo bancario c’è chi si prepara a scendere in campo per ridisegnare gli equilibri finanziari». Bazoli rispose: «Premesso che mi pare offensivo nei confronti di una persone del prestigio e del
livello intellettuale del direttore del Corriere (che non vedo e non sento da
mesi) insinuare che i suoi orientamenti possano essere frutto di influenze o
peggio di richieste esterne, ritengo che l’autonomia della linea editoriale affidata al direttore di un giornale sia un
valore fondamentale da garantire». Nel 2005 ha guadagnato poco più di 820 mila euro
• è sposato, ha tre figli.
POLITICA «A parte lo storico rapporto con Romano Prodi, paritario perché passava dal magistero politico che Beniamino Andreatta esercitò su entrambi, Bazoli è al centro di molti snodi unionisti: relazioni eccellenti con Piero Fassino, con
Carlo De Benedetti, con i quarantenni della Margherita Enrico Letta e Filippo
Andreatta. Osserva una persona che lo conosce bene: “Il ruolo di Bazoli padre nobile dell’Ulivo va tenuto separato da quello di grande protagonista del sistema bancario”» (Il Foglio)
• Nel 99 se ne parlò come di un possibile leader dell’Ulivo in vista delle politiche 2001: «Voci forse interessate, perché chi lo conosce bene, come il cognato Sandro Fontana, presidente nazionale dei
Ccd, non esclude affatto che a certe condizioni Bazoli possa accettare un
invito a scendere in politica. “Se glielo chiedesse un vasto schieramento dell’Ulivo e se l’invito avesse il tono di una richiesta di servizio al paese, allora è possibile che accetterebbe. Poi però dovrebbero anche consentirgli di farsi un programma di governo come vuole lui”. Giovanni Bianchi, che lo conosce e che è stato un amico di suo fratello Luigi: “Il politologo francese Duverger ha spiegato che nel sistema bipo
lare vince il candidato che appare più vicino politicamente all’altro polo. Bazoli ha questa caratteristica, lui inoltre potrebbe intercettare i
voti dei credenti poiché rappresenta meglio di ogni altro quel cattolicesmo nordista, che sa fondere
internazionalismo, modernità e solidarismo”» (Renzo Di Rienzo)
TIFO è tifoso del Brescia: «Tifoso focoso, di quelli che preferiscono la gradinata alla tribuna d’onore perché gli piace discutere con la gente. Anche se col passare degli anni la comodità vuole la sua parte e rende più sopportabile lo sforzo dell’autocontrollo, pedaggio che Bazoli si impone in tribuna» (Enrica Speroni) • «Mi piace vedere il Brescia giocare bene. Sono appassionato, sono tifoso, ma se
non c’è bel gioco vado in altri stadi. Giocare soltanto per il risultato non mi piace.
Sono refrattario a una mentalità cinica, al risultato separato dal modo in cui lo si ottiene» • Ha appoggiato, anche con una dichiarazione pubblica, la scelta di Corioni di
licenziare un allenatore che stava facendo bene (Rolando Maran) per chiamare
Zeman: «Corioni lavora per il futuro: valorizzare i giovani, insegnare il calcio. E
Brescia ha un vivaio di notevolissimo valore. è una scelta che mostra coraggio e lungimiranza».