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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

ZEICHEN

Valentino Fiume (Croazia) 24 marzo 1938. Poeta • «Un perfetto equilibrista: si tiene, con la sua poesia, su una linea sottile, che
tira il collo a eloquenza e lirismo senza, per questo, soffocare lo slancio
della scrittura. Fra le voci più felici della generazione che ha esordito negli anni Settanta, non smette di
mordere e sbeffeggiare le belle lettere nostrane, con illuministico distacco e
ironico sorriso. Una misura in crescendo di cui si apprezza già tutta la portata in Gibilterra (Mondadori, 91). In Metafisica tascabile (Mondadori, 97) alto e basso si fondono: il pensiero filosofico (metafisico) si
sposa al quotidiano in un affettuoso intreccio. Rilievi sul mondo e interventi
personali convivono, equilibrandosi a vicenda. Nella poesia dedicata al rito
del bagno, per esempio, le piccole bolle d’aria, che schiumano sotto le mani del poeta su una bellezza nuda, lasciano
subito il posto alle osservazioni intorno alla marca quasi cancellata e alle
crepe, simili a geroglifici, delle Saponette: “Non oso manometterle, / come se mi vedessi osservato / dal custode di un museo
egizio / ma vorrei lavarmi le mani...”. E così, deliziosa, finisce la poesia» (Ermanno Krumm) • «Prendiamo, ad esempio, quello che sembra niente più che uno svagato divertissement, raccolto in Museo interiore (Guanda, 1987): “Stimolati all’erettilità/ i suoi capezzoli s’impuntano fino/ a somigliare ad appendici carnali/ di luminosi bulbi liberty;/ s’abbassano sul mio petto come le appuntite testine/ d’un monumentale grammofono,/ girano su invisibili microsolchi/ incisi sul piatto
sterno./ La musica è trascinante;/ le chiedo di tornare indietro./ Voglio risentire quel motivo,/ e
se fossero due, o è lo stesso?/ Ma più d’ogni altra eventualità/ temo che le grossolane testine/ mi graffino i dischi” (
Chiudi i tuoi occhi). Qui la pulsione erotica, che dà una sua evidente impronta alla poesia, slitta immediatamente nelle immagini
giocose dei “bulbi liberty” e delle “appuntite testine”, non senza però che nel passaggio dall’una all’altra si adombri quello ben più tangibile che conduce da un puro contatto visivo a un contatto pienamente
corporeo. A quel punto — e siamo ormai alla “narrazione” di un ripetuto amplesso — l’analogia col “grammofono” può produrre una genuina metafora (“La musica è trascinante... Voglio risentire quel motivo”) che approda a un’ulteriore battuta giocosa sui possibili graffi inferti ai dischi. E tuttavia
proprio in quella potente avversativa, in quel “Ma” che riporta improvvisamente a zero la tensione con la sua “musica trascinante”, si cela un nuovo slittamento dal gioco analogico all’introspezione “seria”: dal rapporto sessuale temo di riportare un danno, ho paura di concedermi,
tengo più di ogni altra cosa alla inscalfibilità dei miei sentimenti e del mio istinto di conservazione» (Stefano Giovanardi)
• «La mia famiglia è dell’Istria. Siamo adriatici dalmati. Mio padre era giardiniere ad Abbazia, vicino a
Fiume. Siamo andati via dopo la guerra, perdendo tutto. Prima a Parma, dove
eravamo trattati con ostilità perché stranieri, poi qui, a Roma, nel 50. Mio padre ha trovato una vecchia stalla a
Villa Borghese e l’ha riadattata. Mia madre era già morta da tempo e mio padre si è risposato. Faceva fatica a starmi dietro. Ero inquieto, instabile, scappavo
sempre. Sono stato tre anni a Firenze in una casa di rieducazione. Lì ho studiato un po’, chimica, ma soprattutto leggevo. La biblioteca del reclusorio aveva tanti
libri. Li divoravo»
• «Sul nome di Zeichen — in tedesco significa “segno” — aleggia un mistero. In una antologia poetica Giorgio Manacorda ha scritto che
il suo vero nome è Giuseppe Mario Moses, cognome quasi sicuramente ebreo. Gli chiedo se è vero. “No, sono delle fantasie”» (Marco Belpoliti) • «Vive in una baracca abusiva ormai a Roma leggendaria e dice “io sono uno che rispetta la legge perché la teme”, lo dice convinto. Si professa povero, probabilmente lo è. “Sono un cortigiano”, dice anche: “Vado dove mi danno da mangiare e da vivere, lavoro su commissione”. Degli editori, dei mecenati, delle ricche signore che amano la sua
conversazione e (meno) di una sofisticata committenza che ordina poesie come
fossero ritratti da appendere in salotto: “La piccola borghesia fa fotografare i figli, l’alta borghesia si fa ritrarre a olio. L’aristocrazia del sapere commissiona poesie dedicate. Io le scrivo. Alcune mi
vengono bene altre no, comunque loro non se ne accorgono”» (Concita De Gregorio)
• Sul cinema: « Il mio regista preferito è Muccino, un talento assoluto. Un genio. Vedo i suoi film. Sono un suo fan
assoluto. Su Ricordati di me ho scritto una poesia per San Valentino. Moretti mi piaceva prima, l’Autarchico, Bianca: quel moralismo lì. Lo preferivo alla politica. Almodòvar mi stanca, non ha la genialità di Bu uel. Tarantino è il migliore: il dialogo delle Iene è la quintessenza dell’insensatezza. L’insensatezza della realtà è fantastica: me ne alimento» • Sulla poesia: «Il più grande del secolo resta Montale. Pasolini non mi interessa. Le donne, poi, vedo
che vanno molto di moda. Valduga, Cavalli, Frabotta. C’è la par condicio, no?» • Quali sono le doti di un poeta? «Immaginazione, fantasia. Senso dell’umorismo, senso della forma. Ribellione» • «Io sono un poeta civile. Mi interessa che tutti pieghino i cartoni quando li
buttano nei cassonetti, non lo fanno mai li riempiono di aria. Sono preoccupato
per il sottosuolo: l’inconscio della terra» • «Vicino a me c’è un albergo con una buca davanti al garage. Io andrei a comprare l’asfalto per riempirla, sono un uomo del Nord» • «Non so se mi vengono meglio le polpette o le poesie. Fritte, innanzitutto.
Manzo, non vitellone. Pane sciapo spugnato nel latte, prezzemolo, aglio battuto
fino, niente noce moscata, sono contrario alle spezie. Parmigiano. Piccole però, trenta con un chilo, se no non cuociono dentro. Ci vuole del tempo ma poi
durano anche due giorni. Anche per le poesie vale la regola delle polpette: per
farle bene ci vuole tempo, e poi se son venute bene durano» • «La poetica è un fatto igienico. è velocità, sintesi, cura. Somiglia alla chimica farmaceutica. Deve essere rapida ed
efficace come l’aspirina. Manicure della poesia ci ho messo dieci anni a scriverla. Cercavo il passo del verso, volevo fosse
perfetto. Il peggio in poesia sono gli aggettivi: la prolissità, la descrittività. Ogni aggettivo è un fulmine, invece» • Nel tagliarmi le unghie dei piedi/il pensiero corre per analogia/ alla forma
della poesia.