NELLO AJELLO , la Repubblica 6/7/2011, 6 luglio 2011
LA VECCHIAIA È UN NAUFRAGIO SOLO SCRIVERE MI CONSOLA"
Aprile 2011, tre mesi fa, un romanzo intitolato In un amore felice e firmato Guido Ceronetti. In maggio un volume di pensieri e citazioni dedicato al mondo e ai personaggi del Novecento. Titolo, Ti saluto, mio secolo crudele. Stessa firma. Finora Ceronetti era sembrato agli amici e ai lettori uno scrittore cauto, intermittente, se non addirittura avaro di sé. E adesso questa presenza assidua nelle librerie. Che cosa ti capita, Guido?, gli chiedo. A ottantaquattro anni – li compirai fra breve, in agosto – ti ha preso la paura di passare di moda?
«Ma no. Non ho nessuna spiegazione complicata da darti», risponde Ceronetti. «Non ho obbedito a nessun calcolo, a nessun disegno, è capitato così senza una ragione precisa. Quasi mi indispone sentirmi chiedere dei perché. Rientrano in questi miei anni di ottuagenario altri libri oltre a quelli da te citati: sono La ballata dell´angelo ferito, pubblicato nel 2008 dal Notes magico, un editore di Padova, e poi, un po´ più tardi, un´antologia di traduzioni, Trafitture di tenerezza, per Einaudi e Insetti senza frontiera, per Adelphi. Einaudi e Adelphi: da qualche tempo mi divido fra questi due editori. La verità è che cerco di lavorare per non sentirmi un naufrago della vecchiaia. Che vuoi, il passaggio del tempo è fatale. "Inesorabile tempus"».
Le marionette, un´attività ceronettiana per eccellenza. Esse, mi hai detto una volta, "sono la faccia dell´umanità". Nella tua vita, le marionette ci sono ancora? Continuano a farti guardare in faccia il mondo?
«Nella spiritualità d´una persona, cose come queste non hanno né data né fine. Io marionettista sono stato e tale rimango. Sono e resto un artista di strada, anche se quei miei spettacoli vanno in scena al chiuso. Dopo tanti anni che le facevo vivere in casa, quelle marionette sono andate fra la gente. Invitate qua e là. Sono comparse nelle sale e nei teatri per merito dello Stabile di Torino. Hanno percorso una tournée tutta settentrionale, Francia, Svizzera, Romania, anche se non sono mai state chiamate a Firenze o a Roma, quasi non esistessero. Eppure si tratta di scenografie e personaggi del tutto nuovi o rinnovati. I vecchi Misteri di Londra che, come certo ricorderai, avevano una versione a soggetto, ora sono diventati un testo sul quale chiunque può lavorare. Adesso, infatti, la regia non è mia. La cura Manuela Tamietta. È una ex marionettista del Teatro dei Sensibili»
"Mistero e sopravvivenza del XX secolo" è il sottotitolo del tuo ultimo libro, quello saggistico. Dov´è secondo te il mistero del Novecento? E perché, quel secolo, lo definisci crudele?
«Prova a ricordartelo e capirai l´aggettivo. E´ stato crudele, tragico, disperante. Non capisco perché mai l´hanno chiamato "il secolo breve". È stato l´opposto. Lungo per la sua crudeltà. Lunghissimo di misfatti. Si direbbe che prometteva bene per il successivo, quello che stiamo vivendo. Ma il mio secolo è ancora quello».
Magari il "secolo breve" sarà proprio questo qui, il ventunesimo.
«Non faccio profezie. Forse l´attuale secolo si rivelerà corto, senza lasciare rimpianti. La fine di un massacro simile non sarebbe tanto da temere, in fondo. Ora corriamo su binari più veloci. Noi il meglio l´abbiamo già fatto. Abbiamo fatto anche il peggio. Non ci resta tanto da fare».
Da bambino, a dieci anni, tu giocavi con l´alfabeto Morse: lo ricordi appunto in Ti saluto mio secolo crudele. Adesso consideri il telegrafo con affetto, come un felice cimelio del Novecento.
«Giocavo, sì. Ero radiotelegrafista nei "balilla alpini". Adesso conosco soltanto lo "esse o esse" e lo lancio in tutte le direzioni. Conservo un vecchio manuale dal quale posso trarre qualunque messaggio. Mi dicono che presso le poste esistono magazzini gremiti di telegrafi d´un tempo. Quello che io posseggo è un telegrafino manuale: l´ho trovato in un mercato delle pulci. Ha in bel suono, commovente, emozionante, quasi fosse uno strumento musicale a percussione. L´ho usato anche in teatro. Sarebbe una bella cosa se potessi disporre di un vero telegrafo di ottone, di quelli che una volta c´erano nelle stazioncine».
Ecco un´altra suggestione della tua fantasia (e, certo, non solo della tua): il cinema. Vi scorgi "un mito eroico" del secolo passato, la "vittima emblematica di un destino di sciagura". Per te, insomma, il cinema non c´è più.
«Ha dato, infatti, quel che poteva. Adesso possono fare gli effetti speciali, ma il cinema poetico è tramontato. In quella meraviglia che è il Museo del Cinema di Torino ho organizzato una settimana dedicata appunto al cinema. L´ho chiamato "il festival dei disperati". Perché? Non può sfuggirti che nei capolavori di quell´arte c´è un profondo senso di disperazione. Perciò quelle opere appartengono di diritto al secolo crudele».
Un tuo personaggio "storico" è Marilyn Monroe. "Venne punita", scrivi, "per aver segnato l´epoca con la sua nociva bellezza".
«La Monroe l´ho amata come caso umano. È una donna che ha sofferto tanto. Ma la mia preferita, come attrice e come donna, è Barbara Stanwyck. Aveva molto charme. Siamo fra i Trenta e i Cinquanta, gli anni magnifici dello schermo. Il mio regista più amato è stato Alessandro Blasetti. Sognavo di essere Blasetti. Sua figlia Mara è stata una frequentatrice del mio teatro d´appartamento».
L´avere pubblicato un romanzo, In un amore felice, sembra abbia sorpreso te per primo. Un´intera vita, hai scritto, spesa a fabbricare aforismi, poesie e articoli di giornale. E adesso, "ad un´età avanzata, avventurarsi in una terra ignota", il romanzo. Un intreccio d´amore, un insieme di "storie intricate"…
«Mi stai chiedendo perché l´ho scritto. Posso risponderti solo che non lo so. Io ho prodotto un fiore, un fiorellino e tu mi chiedi come mai l´ho fatto. La trovo una domanda scabrosa, che mi turba. Io sono come la "foglia frale" di Leopardi».
Il protagonista di quel libro appartiene alla prima metà del secolo scorso, come tante tue memorie e fantasie.
«Quel romanzo, ripeto, proviene da qualcosa che sfugge a me per primo. Le mie elucubrazioni non devono essere prese alla lettera. C´è dentro il gioco, l´ironia. Lo stile ironico è un campo largo, un pelago esteso. Più in generale, l´arte è sempre trascendente anche per chi la pratica. Viene, chissà, dall´anima del mondo, da Dio, dagli angeli. Il mistero letterario è sempre stato insondabile. È ancora così».