Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
COMENCINI
Luigi Salò (Brescia) 8 giugno 1916. Regista. «Il cinema è una professione, non un’arte. Il film è uno spettacolo, solo raramente raggiunge la poesia» • Tra i suoi film: Pane amore e fantasia (53), Pane amore e gelosia (54), Tutti a casa (60), A cavallo della tigre (61), La ragazza di Bube (63), Le avventure di Pinocchio (72), Lo scopone scientifico (72), Mio dio come sono caduta in basso! (74), La donna della domenica (75), Quelle strane occasioni (76), Un ragazzo di Calabria (87) • «Quando si parla di Comencini, ci si imbatte in due etichette: “uno dei maestri della commedia italiana” e “il regista dei bambini”. Per la prima basterebbe citare Pane amore e fantasia (53), il prototipo esaltato e vituperato del “neorealismo rosa” e uno dei più alti incassi nella storia del cinema italiano. Con l’infanzia cominciò subito. Bambini in città (46) è il suo primo corto documentario, Proibito rubare (48) il suo primo film lungo. Ha diretto una quarantina di film lunghi senza
contare gli episodi, gli sceneggiati e le inchieste a puntate per la Rai. Ha
praticato molti generi e quasi tutte le lunghezze del cineracconto: la
commedia, il dramma, il melodramma, il giallo, il poliziesco, il grottesco, il
film in costume, la spy-story, il film opera (La Bohème, 87), il comico (L’imperatore di Capri, 50, con Totò). In un’intervista all’inizio degli anni Ottanta dichiarò di essere disposto a difendere una decina dei suoi film, che, però, “non sarebbero mai nati se non avessi fatto altri film sbagliati, in parte o
completamente”. Disse una volta: “Non ci tengo né a esaltare né a dissacrare, né a tuffarmi nel riflusso né a recuperare i buoni sentimenti [...] Ho sempre cercato di evitare tanto il
conformismo che l’anticonformismo”. In quest’ultima frase, forse, c’è la chiave per capire Comencini e il suo cinema» (Morando Morandini)
• «è uno dei pochi autori italiani capaci di realizzare film che considerino il
bambino come mondo, sappiano assumerne il punto di vista, accostarvisi in punta
di piedi con amore, sincero desiderio di capirli, e profonda ammirazione.
Truffaut, altro grande regista capace di osservare l’infanzia in modo non banale, ha scritto che non si tratta di filmare i bambini
per comprenderli meglio, ma di filmarli perché li si ama. Non c’è dubbio che Comencini è spinto verso il mondo infantile anzitutto da un sentimento d’amore che vibra in ogni immagine» (Giampiero Brunetta)
• «Figlio di famiglia borghese, nato a Salò, aveva studiato in Francia segnalandosi come brillante promessa delle
matematiche e della scienza, si era laureato in Architettura al Politecnico di
Milano. L’amore per il cinema gli era nato durante il periodo universitario, quando aveva
appassionatamente imparato a conoscerne i capolavori e scoperto che si potevano
comprare coi soldi: aveva cominciato perciò a comprarli, a proiettarli in privato per un piccolo pubblico di amici (Renato
Castellani, Giulio Macchi, Luciano Emmer, Alberto Lattuada, Ferdinando Ballo).
Una copia del
Monello di Chaplin la comperò per cinquecento lire, Il vampiro di Dreyer andò ad acquistarlo a Parigi per seicento franchi. Dette tutto alla Cineteca
Italiana, ad esempio Femmine folli di Stroheim, Agonia sui ghiacci di Griffith, molte comiche di Charlot e anche Rapsodia satanica, un film di folle estetismo interpretato da Lyda Borelli e tutto colorato a
mano, fotogramma per fotogramma, con gli acquerelli. Dal cinema lo distrasse un
poco la passione politica dell’immediato dopoguerra. Diventò redattore dell’Avanti! di Milano: erano in quattro compreso il direttore, facevano tutto, non
dormivano mai. Comencini distribuiva persino il giornale, ma poteva pure
capitargli di scrivere articoli firmati Pietro Nenni. La linea telefonica
Roma-Milano infatti s’interrompeva spesso durante la dettatura dell’articolo, nessuno aveva il coraggio di dirlo, pareva più semplice incaricare Comencini di mimare lo stile giornalistico e politico del
segretario del partito socialista, il quale del resto non se ne accorse mai. Al
cinema lo riportarono i bambini. Nel 46 il suo documentario
Bambini in città (in cui la Milano di rovine e macerie si trasformava per i ragazzi in un
tragico ma libero e misterioso campo di giochi) venne subito premiato a Venezia
e a Cannes. I bambini erano protagonisti del primo film Proibito rubare, 48, malriuscito tentativo di un prete veneto di organizzare una Città dei ragazzi all’americana per i ribaldi sciuscià napoletani, scritto dall’esordiente Suso Cecchi d’Amico; dedicati ai bambini erano Heidi e poi Incompreso, tratti da classici per l’infanzia; un bambino era al centro de La finestra sul Luna Park, l’unico film che Comencini considerasse davvero suo. Più tardi il meraviglioso Pinocchio e il bellissimo Voltati, Eugenio confermarono una vocazione che il regista spiegava così: “Mi interessano i bambini. Sono adulti senza leggi, senza morale, senza
autocontrollo, senza condizionamenti psicologici e sociali: quindi, l’uomo nella sua essenza più autentica e originaria”. Asciutto, colto, ben vestito, ipocondriaco, ombroso, di abitudini semplici, un
po’ svizzero, Comencini ha diretto alcuni dei successi cinematografici più clamorosi, da quel Pane, amore e fantasia che gli costò il soprannome di “killer del neorealismo” al grande Tutti a casa con Alberto Sordi, alla Ragazza di Bube dal romanzo di Carlo Cassola, a La storia dal romanzo di Elsa Morante» (Lietta Tornabuoni) • Marito dal 49 sempre della stessa moglie, padre di due registe (Cristina,
Francesca), di una costumista e scenografa (Paola), di una produttrice di news
per il Tg5 (Eleonora).