Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
MASO Pietro San Bonifacio di Verona (Verona) 17 luglio 1971. Il 17 aprile del 91 insieme agli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano B
MASO Pietro San Bonifacio di Verona (Verona) 17 luglio 1971. Il 17 aprile del 91 insieme agli amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano B. (minorenne) ha ucciso a sprangate il padre Antonio e la madre Maria Rosa. Movente: l’eredità (a Montecchia di Crosara, tranquillo paesino del Veneto). Condannato a trent’anni di carcere • «Mercoledì, ventitré e trenta. A Montecchia di Crosara, 4 mila abitanti, a 35 chilometri da Verona, Antonio Maso, 56 anni, contadino, e la moglie Maria Rosa Tessari, 48, casalinga, tornano a casa per l’ultima volta. Ad aspettarli ci sono Pietro, l’unico figlio maschio, 20 anni ancora da compiere, e tre amici appena più giovani: Paolo Cavazza, Giorgio Carbognin, Damiano B., minorenne. In mano hanno due bastoni, un bloccasterzo e una padella. In testa, un miraggio: l’eredità. Un miliardo, un miliardo e mezzo tra la villetta a due piani e gli undici vigneti di Antonio. Da spartirsi dopo aver ucciso anche Nadia e Laura, le sorelle maggiori di Pietro. Lo scempio dura un’ora. le indagini un giorno solo. Poi il processo, i giornali, le tv. E una foto scattata in aula, prima della condanna (30 anni a Maso, 26 a Casazza e Carbognin, 13 a Damiano): Maso era elegante, giacca firmata, capelli pettinati con cura, un foulard intorno al collo. Sorrideva» (Davide Perillo) • «Pietro e i suoi amici avvertono l’auto che arriva. E rallenta. Finché il motore non si spegne. Pietro gli fa un cenno d’intesa. Immobile e quieto. Indifferente, all’apparenza. Rosa entra per prima. “Oh, Gesù”, sussurra, accorgendosi che la luce non funziona. “Mancherà la corrente”, la rassicura Antonio, pacato, al solito. “C’arrangeremo con le candele”, ancora, e chissà perché, sussurra lei. Camminano al buio, forse tenendosi per mano, a piccoli passi, come fanno i ciechi, strascicando i piedi sul pavimento per evitare ogni ostacolo. L’uomo entra in cucina. Pietro lo colpisce col tubo di ferro. In testa, per due volte. Damiano con una pentola e una tal foga che il manico si spezza. Pietro preme un piede sulla faccia del padre, adesso. “Ma questo qua non muore mai”, forse pensa, nei meandri d’un cervello che ormai s’è fatto buio. Suo padre ancora rantola, difatti, mentre di là arriva l’eco di quell’urlo stravolto di dolore e meraviglia. Giorgio e Paolo han colpito alla testa anche la donna, evidentemente. Paolo col bloccasterzo, senza guardarla. Giorgio con la furia delle mani: ai fianchi e sullo stomaco. Ma lei continua a muoversi, e a lamentarsi, tentando di trascinarsi sul pavimento. E poi ancora urla. A scanso di rischi, Giorgio le infila in bocca il sacchetto di nylon, cacciandoglielo poi giù con le mani, lungo la gola. Accorre anche Pietro. E con la stessa spranga con la quale ha massacrato il padre, la percuote sul cranio. In cucina, il vecchio continua ad ansimare, e chiede aiuto. Paolo torna di là e gli preme un piede sulla bocca, con le mani aggrappate al camino per non cadere» (Lina Colotti) • Nel luglio 2006 un permesso di 12 ore, grazie al quale avrebbe incontrato le sorelle, concesso dal giudice di sorveglianza Roberta Cossia, è stato negato dal pm Claudio Gittardi. Sarebbe stato il primo allentamento della pena dopo 15 anni di carcere.