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 2011  luglio 06 Mercoledì calendario

COLANINNO

Roberto Mantova 16 agosto 1943. Imprenditore. Presidente del gruppo Piaggio. «A uno che ha gestito mille miliardi di fatturato nessuno offrirà mai un’azienda da 10 mila miliardi se questi 10 mila miliardi non sono marci». [ajy]


Ultime «Il risanamento del gruppo (Piaggio, Aprilia, Moto Guzzi, Gilera, Vespa, Derbi) è finito e ora guardiamo con fiducia al futuro» (al Corriere della Sera, marzo 2007). Nel 2008 è stato invece costretto a posticipare di un anno gli obiettivi del piano
industriale: «Abbiamo rivisto le aspettative di vendita nei prossimi anni perché riteniamo che il ciclo negativo non sia finito. L’importante è che l’impresa generi cassa, controlli i debiti e sia altamente innovativa»
• All’inizio di giugno 2008 spunta il suo nome tra gli industriali italiani nella
cordata per il salvataggio di Alitalia, ma per lui è pregiudiziale una scelta precisa sul partner internazionale. «Oltre a questa, l‘ex alfiere della razza padana ha messo altre due condizioni: essere lui a
comandare, e conoscendolo la cosa non sorprende affatto, visto che da sempre
ritiene la sua propensione ad aggiustare giocattoli rotti imprescindibile dal
suo pieno e diretto coinvolgimento. Inoltre che lo Stato, ovvero il venditore,
non sia esoso e crei un contesto favorevole all’operazione, cosa su cui il futuro acquirente, chiunque esso sia, può già contare» (Paolo Madron). Alla fine è entrato da presidente nella Cai, la società costituita apposta per rilevare le attività di Alitalia e Air One (vedi BERLUSCONI Silvio, PADOA-SCHIOPPA Tommaso e TOTO
Carlo)
• è uscito dal cda di Capitalia dopo la fusione con Unicredit (non prima di aver
fatto da mediatore nella disputa tra Geronzi e Arpe) • Il sultano dell’Oman ha commissionato ai suoi cantieri navali Rodriquez cinque catamarani per 90
milioni di dollari • Ha affidato a Massimiliano Fuksas, «architetto di fiducia della famiglia Colaninno» (La Nuova Sardegna), il progetto del Museo storico della Vespa: una gigantesca
bolla rossa lunga 300 metri che galleggerà a mezz’aria dentro la fabbrica di Pontedera • In quanto ex consigliere della Banca agricola mantovana, condannato in primo
grado a 4 anni e 1 mese, più l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per il crac Italcase.



Vita Figlio di un sottufficiale dell’esercito e di una sarta, studi di ragioneria al Pitentino, università a Parma interrotta per lavorare. «Cosa poteva fare, nei primi anni Sessanta, un giovane ragioniere appena
diplomato? Per prima cosa una domanda di assunzione in banca. Ma all’Agricola, la banca per antonomasia per un mantovano, gli risposero picche. Con
la formula burocratica usuale: “Al momento non abbiamo disponibilità di posti in organico”. Ventiquattro anni dopo Colaninno sarà nominato consigliere di amministrazione di quella stessa banca. Una bella
rivincita. A scoprire che quel giovane poteva avere del talento fu qualche
tempo dopo Walter Francesconi, imprenditore, titolare di una piccola azienda,
la Fiaam Filter, produttrice di accessori per auto. La conoscenza fu quasi
casuale. Colaninno, abbandonata l’idea di fare il bancario, era entrato in uno studio legale specializzato in
problematiche fiscali, al quale si rivolgevano industriali, commercianti e
artigiani per risolvere i loro problemi con il fisco. E lì Francesconi, cliente dello studio, si accorse del giovane praticante brillante
e discreto, già abituato a districarsi tra denunce Iva e ritenute d’acconto. Gli propose di occuparsi a tempo pieno della contabilità dell’azienda. Cosa che Colaninno fece talmente bene da meritarsi, passo dopo passo,
la fiducia dell’azionista di controllo. Da lì a qualche anno avrebbe scalato le gerarchie interne fino a diventare
amministratore delegato. L’esperienza in Fiaam è importante per capire la filosofia operativa di Colaninno. Uno che non si
accontenta di lavorare per conto terzi, ma vuole entrare in prima persona in
tutti i business. Quando Francesconi decide di vendere la società per ritirarsi dagli affari e dedicarsi alla pittura, è Colaninno che si preoccupa di trovare il compratore: la britannica Turner & Newall. Come mediazione ottiene una piccola quota del capitale. Qualche anno
dopo la storia si ripete: gli inglesi lasciano e lui si dà da fare per collocare altrove la maggioranza. Questa volta la strada di
Colaninno si incrocia con quella di Carlo De Benedetti: il finanziere
piemontese, al culmine del suo successo, accetta di rilevare la Fiaam,
collocandola nella Sogefi, altra società, mantovana di origine, concentrata sull’attività immobiliare e destinata a diventare il secondo polo industriale del gruppo,
dopo l’Olivetti. è l’inizio di un sodalizio di successo. Per oltre quindici anni Colaninno guida da
plenipotenzario la Sogefi. La società cresce rapidamente e da piccola holding diventa una multinazionale della
componentistica auto, quotata in Borsa. De Benedetti lo lascia fare. E i
successi permettono al ragioniere di Mantova di conquistare i galloni di uomo
di fiducia dell’ingegnere. Fino a quando, nel 1996, viene chiamato a gestire la stessa Olivetti» (Giacomo Ferrari).
[ajz]


«Di telefoni il ragionier Colaninno non si era mai occupato in vita sua fino all’età di 53 anni quando, in ventiquattr’ore, giusto il tempo di consultarsi con la moglie Oretta Schiavetti, accetta l’offerta di De Benedetti che lo vuole alla guida di un’Olivetti ormai con l’acqua alla gola. Nel 1997, dopo qualche mese di noviziato (dice all’Espresso, ndr) : “Qui sono troppo intelligenti, hanno inventato tante cose, ma un’azienda non è un laboratorio e la Olivetti non ha le forze per coltivare tutti questi
business: Omnitel e forse Infostrada hanno un domani, il resto è da vendere o da chiudere”. I telefoni sono il futuro da conquistare. Conclude Colaninno: “In questa posizione hanno fallito grandi nomi, se andrà male anche a me, nessuno mi metterà in croce”. è una missione impossibile, almeno in apparenza. E Colaninno si accontenta di uno
stipendio nemmeno troppo elevato (2,5 miliardi di lire dichiarati nel bilancio
1998) anche perché spunta da De Benedetti una stock option robusta: in pratica può acquistare a mille lire l’una 12 milioni di azioni Olivetti. Facendo leva su questa stock option costruirà le sue fortune di capitalista. Quella che è chiamato a condurre Colaninno è la liquidazione della Olivetti come gruppo industriale. I conti vengono
risanati. Il titolo si rianima, anzi si esalta. I computer passano all’avvocato Edward Gottesman, la società Op Computers, che ha rilevato Scarmagno e gli altri stabilimenti, è in stato fallimentare, anche il diritto ventennale d’utilizzo del marchio Olivetti per queste produzioni è messo in vendita come un tornio, nella primavera del 1998 Colaninno vende alla
Wang Laboratories di Joseph Tucci la Olsy, la vecchia Olivetti System & Networks che ancora ha 11 mila addetti e in cambio riceve il 20 per cento di
Wang, un anno dopo, quando una sconosciuta società olandese lancia un’Opa sulla Wang, tutti sono felici di aderire: in testa Colaninno che si sdebita
con Tucci chiamandolo nel consiglio Telecom. A questo punto - siamo ormai in
estate - Colaninno comincia ad avere chiaro il quadro della situazione. L’emergenza Olivetti è finita. C’è ancora da sistemare la Olivetti Lexicon, la Olivetti Ricerca, un po’ di servizi centrali senza futuro: ottomila dipendenti, tutte aziende che
perdono, ma perdono poco se paragonate ai computer e alla Olsy. E poi la
telefonia è decollata. Alla grande. Omnitel è una storia di successo. Infostrada vale già tanti soldi. Il titolo si sta risvegliando: dalle 600 lire del 1997 viaggia
verso le tremila. Grazie alla stock option, il Ragioniere è miliardario. La moglie, che si è comprata quasi un milione di Olivetti, è forse la più ricca insegnante di lettere di Mantova» (Massimo Mucchetti)
• «Trovatosi quel tesoro in tasca avrebbe potuto tenerselo, magari comprandosi il
49 per cento che era della Mannesmann. Si sarebbe ritrovato la Omnitel, che è una delle aziende di maggior successo d’Europa e che macina utili a più non posso. Consigliato da banchieri d’affari assai bravi a fare il loro mestiere che è quello di guadagnare commissioni miliardarie, e incoraggiato dal primo ministro
del tempo, Massimo D’Alema, ha scelto invece di vendere Omnitel e Infostrada e tentare la conquista
di Telecom. A Palazzo Chigi in quei mesi si ragionava in grande, si
teorizzavano i campioni nazionali, vista da fuori sembrava una merchant bank (
vedi anche ROSSI Guido - ndr), ma dentro ci si immaginava un ruolo di modernizzatori e architetti del nuovo
capitalismo italiano. Colaninno in quel contesto era l’uomo che ci voleva, era quello che con il suo coraggio, la sua determinazione,
la sua spregiudicatezza avrebbe dato la spallata al grande capitalismo
facendolo apparire all’improvviso vecchio, esangue, superato. Si decise, il profeta del nuovo
capitalismo italiano sarebbe stato lui. L’Opa del secolo, la madre di tutte le scalate, per qualche tempo fu vera gloria.
Il ragioniere mantovano era diventato l’idolo dei piccoli azionisti, dei day trader, dei bocconiani, il mondo intero
sapeva della sua esistenza e delle sue gesta. Passati i mesi, le cose si sono
fatte più complicate. Colaninno si trovava a fare molti mestieri, quello del manager,
quello dell’imprenditore, quello del socio-gestore, e con un’azienda da guidare
di dimensioni neanche lontanamente comparabili con quelle che nella sua vita
gli era capitato di guidare» (Marco Panara) • Sulla scalata Telecom (opa lanciata il 21 febbraio 1999) vedi anche GNUTTI
Emilio e RICUCCI Stefano • Fu della gestione Colaninno anche il tentativo di Telecom di creare con La 7 un
polo televisivo alternativo a Mediaset «che, pur abortito sul nascere, portò a una improvvisa impennata dei prezzi sul fronte dei contratti ai teledivi che
a Cologno monzese non gradirono. Fu allora che Colaninno bollò la levata di scudi del centro destra come un incomprensibile starnazzare di
oche esagitate» (Paolo Madron) • Venduta Telecom (nel 2001, vedi TRONCHETTI PROVERA Marco) «ha incassato il colpo del rientro nel semianonimato di gente ricca, ma senza
potere. La Fiat, raccontò a un’amica giornalista, poteva essere la grande occasione, ma non è andata. Segno che il format dei favolosi anni 1988-98, quelli in cui i raider
specializzati diventavano imprenditori grazie a una buona intuizione, è ormai finito, azzerato dai nuovi modelli dell’era globalizzata. Che cosa poteva restargli, se non il suo motto: back to the
basic? La Piaggio, sospira lui, è solo il primo passo» (Monica Setta)
• “Colaninno sale in Vespa” è il titolo dei giornali nel luglio 2003. Il finanziere conclude l’accordo di acquisizione con il fondo Morgan Grenfell, il proprietario di allora,
e batte la concorrenza di un altro fondo, l’americano Cerberus: il marchio delle due ruote famoso in tutto il mondo torna in
mani italiane. Il 24 settembre la firma. Nel 2004 lo sbarco in Cina (l’intesa con il gruppo Zongshen prevede la produzione e la commercializzazione di
oltre 300 mila veicoli l’anno) e soprattutto l’acquisto dell’Aprilia, altro storico marchio del settore. Colaninno è alla guida del quarto polo motociclistico mondiale, il primo europeo: «600 mila moto l’anno, fatturato di oltre 1,5 miliardi di euro, 8 stabilimenti nel mondo, seimila
dipendenti» (Valerio Berruti). Nel luglio 2006 porta l’azienda di Pontedera in Borsa
• Sposato dal 1969 con Oretta Schiavetti, «bella ragazza di buona famiglia, lombarda doc» (Giancarlo Mazzuca), conosciuta durante un’escursione in montagna a metà degli anni Sessanta. Laureata in Lettere, con la passione dei mobili antichi,
lei si presentò anche nella lista dei Popolari (prima dei non eletti) alle amministrative di
Mantova. Due figli, Matteo (1970, vedi) e Michele (1977). Il secondogenito,
laurea in Economia alla Cattolica, è direttore generale dell’Immsi, consigliere d’amministrazione della Piaggio e dei cantieri navali Rodriquez di Sarzana,
amministratore delegato di Omniaholding, cassaforte di famiglia. Il 17 ottobre
2007 il matrimonio con Anna Di Salvo, amante dell’arte e della cultura, responsabile delle relazioni esterne del Centro di Palazzo
Te, in quella che fu la basilica di corte dei Gonzaga.



Commenti «[Sono] allibito che Colaninno definisca le critiche del centrodestra come “starnazzamento”. Gli faccio sommessamente presente che noi non siamo oche e che lui non è al di sopra del giudizio politico» (Marco Follini dopo un’intervista di Colaninno al Tg1 sull’operazione Seat Telemontecarlo) • «Il Ragioniere mantovano (Roberto) è talmente legato all’Ingegnere (Carlo De Benedetti - ndr) da citarlo in 23 pagine su 211 (più di quanto faccia per Enrico Cuccia, Massimo D’Alema o gli Agnelli) nell’intervista-libro-memoriale (Primo tempo, Rizzoli 2006) con Rinaldo Gianola, giornalista ex Repubblica, da anni
vicedirettore dell’Unità» (Fabio Dal Boni) • «Alla Piaggio Colaninno ha realizzato un’operazione di risanamento industriale, che alcuni paragonano al lavoro di Sergio
Marchionne in Fiat. Ha riportato in utile una società che dagli anni Novanta era entrata in un tunnel dal quale sembrava che non
sarebbe più uscita» (Il Foglio) • Gianni Agnelli a Luca Cordero di Montezemolo che richiesto di un parere aveva
detto di veder bene Colaninno alla Fiat: «E se questo poi lancia un’Opa sulla General Motors?». [aka]