Il Catalogo dei viventi 2007, 6 luglio 2011
SAMPÒ
Enza Torino 14 febbraio 1939. Conduttrice tv. Vista di recente in Uno mattina • «È la faccia femminile della Rai che ha resistito più a lungo: più di Nicoletta Orsomando, più della Carrà, più della Goggi. Campanile sera la rese popolarissima ancora ragazzina. Cordialmente, a metà degli Anni 60, la incoronò intervistatrice di buone maniere e buona grazia, con quel pizzico di ironia
indispensabile per non esser melensi. Ma la Sampò ha anche condotto il festival di Sanremo in coppia con Paolo Ferrari, ha letto
i giornali al mattino con Mario Pastore, ha turbato i benpensanti con l’avveniristico Io confesso voluto da Guglielmi. Imperturbabile, elegante, cortese. Un miracolo
paragonabile solo a Elsa Martinelli: ossa messe bene, sguardo vivace, classe.
La sua voce, con un lieve strascico sommesso, fece inventare ad Achille
Campanile la locuzione “Parlar sampese”, oggi passata di moda visto che non esiste più il bell’italiano, l’accento puro, l’annunciatore» (La Stampa) • «Nel mio palazzo a Torino abitava il regista Corgnati, quello che poi sposò Milva. Io facevo qualcosa come l’indossatrice, lui doveva organizzare un programmino sui giovani intitolato Anni verdi. Era il 57. Essere in video tutti i giorni ti fa sentire una star. E questo mi
provoca insieme un sentimento di delizia e di rabbia. Per dieci anni ho
lavorato dietro le quinte e mi È assolutamente chiaro che il successo di un programma dipende solo in parte da
chi lo conduce. Ma esser riconosciuta per strada, ricevere lettere, avere chi
chiede il tuo parere regala scariche di adrenalina. Dalla tv non sono mai
uscita: in qualche modo l’ho sempre praticata. C’ero quando si faceva tutto in diretta ma doveva esser perfetta, poi tutto
registrato e se sbagliavi si rifaceva, adesso che È sempre in diretta e se c’È un errore meglio perché È più vivace. Vorrei una via di mezzo: allora era troppo ingessata, oggi troppo
sbracata. Mi mancano le prove. Sono una precisina, io, molto torinese: se
potessi preparami sarei più contenta»
• «Incontro un giovane giornalista siciliano, bello, galante, capelli neri, occhi
scuri: Emilio Fede. Teneva una rubrica di motori sulla Gazzetta del Popolo e
arrivava sgommando su una spider. Fu il mio primo fidanzato. Durò fino a quando mi accorsi di non essere sola. Salgo sulla spider e lui mi dice:
tieni Enza, hai dimenticato i tuoi occhiali da sole. Non erano i miei. Sono
scesa sbattendo la porta e non l’ho mai più voluto vedere. Fede non capì. Gliel’ho spiegato solo poco tempo fa, quando mi ha telefonato: Enza, perché quel giorno mi hai sbattuto la portiera in faccia? Gli occhiali, Emilio, gli
occhiali. Cambiai città, da Torino a Milano. In corso Sempione mi presentai all’usciere: cosa potrei fare? Lui mi introdusse alla signora Marta, la segretaria
della direzione varietà. Lei mi disse che non ero adatta e mi smistò ai programmi culturali: il mio si chiamava
Lei e gli altri. Alle prove veniva a vedermi un ragazzo con gli occhiali spessi, non bello ma
molto simpatico. Umberto Eco. Nacque un rapporto tenero, sognante. Sembravamo i
fidanzatini di Peynet. Umberto era talmente lontano dall’idea del successo che per gioco fece la comparsa nella Notte di Antonioni. Io di politica non sapevo nulla, lui me ne parlava sempre. Un
giorno incontrammo un corteo socialista e Umberto mi diede una lezione di lotta
di classe, rivoluzionaria più che riformista: non bisogna aiutare l’operaio a spingere il carro, meglio che capisca quanto È sfruttato; solo allora si ribellerà. La cosa mi colpì: io ero stata educata dalle salesiane di Maria Ausiliatrice, sapevo che lui
veniva dall’Azione cattolica, non lo pensavo così. Mi faceva leggere Moravia e Nabokov. Ma quando mia madre mi trovò in camera
La noia e Lolita si infuriò e insistette perché lo lasciassi. Allora lui le scrisse una lettera molto bella, per dirle che era
importante per me leggere tutti i libri, anche quelli» (da un’intervista di Aldo Cazzullo).